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I capigruppo hanno smussato i rispettivi programmi: compatibilità su temi come fisco e ambiente, distanza su Unione Europea e migranti

ROMA. Se il governo Conte con Pd e Cinque Stelle non nascerà, non sarà certo per colpa di insanabili divergenze sul programma. A ben guardare i 35 punti programmatici – 20 dei pentastellati, 15 dei democratici – diffusi tra venerdì e sabato sembrano assolutamente compatibili. Va da sé che in molti casi a ben vedere i «punti» dei due partiti sono poco più semplici titoli, brevissime enunciazioni che poi in concreto vanno declinate e sviluppate.

Che cosa dovrà prevedere effettivamente, tanto per fare un esempio, la «seria legge sul conflitto d’interessi» di cui parlano grillini e zingarettiani? E la «riforma del servizio radiotelevisivo»? Sugli sbarchi e i migranti, i due partiti intendono allo stesso modo il termine «contrasto all’immigrazione clandestina»?

E’ evidente che – come al solito – il diavolo si nasconderà nei dettagli, e toccherà in corso d’opera sciogliere divergenze e interpretazioni contrastanti. Facile prevedere guai. Per fare un confronto con altre esperienze di accordi programmatici, vale la pena di ricordare il caso tedesco: dopo le elezioni del 24 settembre 2017, il lavoro per l’elaborazione del programma della Grosse Koalition cominciò a novembre: dopo due mesi e mezzo, il 12 gennaio 2018, Cdu-Csu-Spd produssero un programma comune di 28 pagine, che poi venne ancora dettagliato in un librone di 177 pagine, diviso in 14 capitoli.

Fatta questa premessa, è abbastanza evidente che i quattro capigruppo – D’Uva e Patuanelli per M5S, Delrio e Marcucci per il Pd – hanno fatto un discreto lavoro per smussare i punti più controversi. Lasciando da parte le cinque o sei voci indicate solo dai Cinque Stelle (tutela dei minori, stop alla vendita di armi, tutela degli animali, sostegno alle filiere agricole, su cui però sostanzialmente è difficile immaginare un veto dei dem), sul resto dei temi principali più o meno i due programmi appaiono molto vicini, o comunque genericamente compatibili.

Qualche esempio? Il taglio del numero dei parlamentari, punto uno dei grillini: è il settimo del Pd, che dice sì purché «si avvii contestualmente un percorso per incrementare le opportune garanzie costituzionali, di efficientamento istituzionale e di rappresentanza democratica, garantendo il pluralismo politico e territoriale». Cioè il ridisegno dei collegi e la proporzionale pura. E sulla manovra finanziaria per il 2020: stop all’aumento Iva, salario minimo, taglio del cuneo fiscale, sburocratizzazione, famiglie, disabilità e emergenza abitativa, dicono i pentastellati. Con un po’ di dettagli in più chiedono la stessa cosa anche i democratici, che ad esempio vogliono tutto lo sconto sul cuneo fiscale ai salari, e sul salario minimo proteggere i contratti firmati dai grandi sindacati.

Stessa «facile» sintonia pare esserci sull’ambiente, in cui i due partiti invocano concordemente un Green New Deal; ma stavolta sono i democratici ad essere più generici, e i Cinque Stelle a citare l’obiettivo 100% elettricità da rinnovabili, e parlare di stop a trivellazioni e nuovi inceneritori. Tutti d’accordo anche su conflitto di interessi e riforma del sistema radiotelevisivo (vai a sapere come), così come sulla riforma del Csm e della giustizia (i grillini difendono il progetto Bonafede). Consenso anche sul piano straordinario di investimenti nel Mezzogiorno e sulla lotta all’evasione fiscale. Sulla carta, non ci sono problemi neanche sui «beni comuni» (l’acqua pubblica, che però il Pd osteggia in Parlamento) o la cittadinanza digitale. Addirittura sull’autonomia differenziata delle Regioni vale la pena di notare che le proposte dei due partiti sono identiche parola per parola, e dicono sì «istituendo contemporaneamente i livelli essenziali di prestazione per tutte le altre regioni per garantire a tutti i cittadini gli stelli livelli di qualità dei servizi. Va anche avviato un serio piano di riorganizzazione degli enti locali abolendo gli enti inutili».

Dove sorgono i problemi più evidenti? Primo, sull’immigrazione. Tutti vogliono la riforma delle regole di Dublino, ma se i Cinque Stelle parla di «contrasto al fenomeno dell’immigrazione clandestina», il Pd vuole «una nuova legge che affronti i temi dell’immigrazione, contrastando le pratiche della clandestinità, e i temi dell’integrazione, seguendo le osservazioni del Presidente della Repubblica in materia di sicurezza». Secondo, le banche: M5S vuole «separare le banche di investimenti da banche commerciali», il Pd propugna «politiche per la tutela dei risparmiatori e del risparmio». Il Pd chiede «un’Italia protagonista del rilancio e del rinnovamento dell’Unione Europea», mentre i grillini di Europa non dicono una parola, e vogliono che gli investimenti in deficit siano scomputati dai criteri di Maastricht. 

Sorgente: Dal taglio dei parlamentari alle banche. M5S e Pd, così vicini e così lontani – La Stampa

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