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Sale continuamente la tensione nel Golfo Persico. Evitato di un soffio lo scontro tra i “pasdaran” e una fregata inglese che proteggeva una petroliera. E’ la conformazione stessa dello Stretto e il Diritto sulla sua navigazione a rendere possibili eventuali incidenti

Hormuz, il ‘Grande risiko’ Iran Occidente

Hormuz, ‘gran risiko’ Iran Occidente, fatti, rischi veri e provocazioni
Il Golfo Persico continua a essere, in questa fase, il “core” (nocciolo) di tutte le aree di crisi planetarie. Anche perché basta poco, molto poco, a fare schizzare alle stelle il costo del greggio e, transitivamente, quello dell’energia. Dunque, la notizia di stamattina non fa altro che aggiungere inquietudine a inquietudine, sollevando l’ennesimo polverone in cui si fa fatica a capire veramente come siano andate le cose. L’Ammiragliato britannico e, successivamente, il Ministero della Difesa di Londra, hanno comunicato che una fregata lanciamissili inglese, la “HMS Montrose”, ha impedito, minacciando di aprire il fuoco, il possibile dirottamento di una petroliera (la “British Heritage”, per l’esattezza) all’imbocco dello Stretto di Hormuz. All’azione ha partecipato anche un aereo da ricognizione dell’US Navy.

La ritorsione iraniana

L’arrembaggio sarebbe stato tentato da almeno tre barchini delle Guardie rivoluzionarie di Teheran, che avrebbero chiesto al “tanker” di cambiare rotta e dirigersi immediatamente in acque territoriali iraniane. Naturalmente la Marina dei “pasdaran” smentisce a tutto tondo e parla di attività di controllo “routinario” esercitato dai suoi barchini nel Golfo Persico. Il Ministro degli Esteri, Javad Zarif, accusa gli inglesi di “provocazione con l’obiettivo di far aumentare la tensione in tutta l’area. Certo, la vicenda lascia gli analisti perplessi. Alcuni pensano che potrebbe essere una sorta di ritorsione per la petroliera di Teheran bloccata a Gibilterra dai britannici la settimana scorsa. Altri ritengono che il sequestro di una nave fatto così, alla luce del sole, sarebbe un vero e proprio casus belli.

Provocazione di chi contro chi?

Insomma, un atto di pirateria internazionale che non converrebbe in alcun modo alla causa degli ayatollah. Una possibile spiegazione dell’accaduto, in punta di diritto (ma molto risicata), potrebbe essere quella che l’ipotetico tentato arrembaggio sarebbe avvenuto vicino l’isola di Abu Musa, poco più di uno scoglio, la cui sovranità è rivendicata dall’Iran. Ergo: forse i “pasdaran” pensavano di agire contro una nave che si trovava nelle acque territoriali di Teheran. In definitiva, però, le perplessità sull’accaduto permangono. Secondo alcune fonti la petroliera stazionava in acque saudite già da un po’ di tempo. In attesa di una scorta. In effetti, gli alleati occidentali hanno elaborato un nuovo protocollo d’intervento nello Stretto di Hormuz, che impone a tutte i tanker commerciali di farsi scortare da navi da guerra americane, inglesi o francesi.

Base di ‘Mina Salman, Bahrein

A elaborare una tale strategia è stato il Capo di Stato maggiore delle forze armate Usa, generale Joseph Dunford, durante una riunione tenutasi martedì scorso. Dal canto suo, l’Ammiragliato britannico mantiene nel Golfo una forza composta dalla “Montrose”, da quattro cacciamine (evidente la paura di un possibile “blocco” di Hormuz grazie proprio alla creazione di campi minati) e da una nave appoggio. La base utilizzata è quella di “Mina Salman” in Bahrein. La fregata britannica (una Type 23, con un’autonomia di 7.500 miglia) è bene armata, ma insufficiente ad assicurare un efficiente monitoraggio delle acque nel Golfo Persico. Secondo gli analisti della BBC, gli inglesi dovrebbero spedire nell’area altre navi da guerra. Ma ciò comporterebbe una escalation che Londra (per ora) vuole evitare.

Bottleneck di Hormuz

D’altro canto, è proprio il “bottleneck”, il “collo di bottiglia” di Hormuz a facilitare possibili incidenti “di sovranità”. Lo Stretto è largo solo 39 chilometri ed è praticamente diviso in due corsie: da un lato la fascia che ricade nello spazio nazionale dell’Oman e, dall’altro, quella che interessa le acque territoriali iraniane. Il passaggio è regolato dalla “Convenzione internazionale sugli Stretti” secondo il modello del “Traffic separation scheme”. In sostanza, le navi entrano ed escono da due corsie diverse (anche per evitare disastrose collisioni) e devono accontentarsi di sfruttare una rotta obbligata, larga appena due miglia in un senso e due miglia nell’altro. Aggiungeteci anche il già citato contenzioso per l’isola di Abu Musa e, per soprammercato, anche quello per le Greater e Lesser Tunbs (con gli Emirati Arabi) e il puzzle diventa diabolico.

La fregata lanciamissili inglese, lHMS Montrose, coinvolta

Guerra Usa&Co a ogni costo?

Scontrarsi (o sconfinare) è facile. E ognuno pensa di avere ragione. Nei mesi passati tra Iran e Usa non si è arrivati alle mani (eufemisticamente parlando) per un pelo, in diverse occasioni. Adesso il Pentagono ha detto basta. Vorrebbe creare una forza navale di protezione anti-Iran da subito, per garantire il passaggio dello Stretto di Hormuz. Ma da quest’orecchio, per ora, gli alleati non ci sentono. Ecco perché gli ayatollah devono stare attenti a non fornire a Trump l’aggancio giusto: quello per attaccare e risolvere la “pratica” definitivamente. Secondo la filosofia, inquietante, del “o la va o la spacca”. Anche perché, finora, “The Donald” le ha proprio spaccate tutte.

 

AVEVAMO DETTO

Sorgente: Hormuz, ‘gran risiko’ Iran Occidente, fatti, rischi veri e provocazioni –

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