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Brexit Update. È l’oggetto, proprio dei toni di un bollettino d’apparato, dell’email con cui Jeremy Corbyn ha comunicato nella mattina di martedi a tutti i membri del Partito Laburista la svolta sulla Brexit richiesta dai molti a gran voce, dibattuta da pochi sottovoce e poi finalmente giunta agli occhi di tutti.

Il Labour Party ovvero “il più grande partito politico e movimento sociale” del Paese, come esordisce la lettera di Corbyn, farà campagna per rimanere (nella UE) nella “votazione pubblica” che il partito chiederà su qualunque accordo sulla Brexit negoziato da qualunque nuovo Primo Ministro.

Referendum, se sarà necessario

un Primo Ministro conservatore arrivato al potere senza passare dalle elezioni volesse trascinare il Regno Unito fuori dalla UE senza accordo, come entrambi i candidati alla leadership del Partito Conservatore minacciano da oltre un mese, il Labour chiederà a maggior ragione un referendum con l’opzione di rimanere nell’Unione Europea per bloccare un “no deal” che metterebbe l’intero sistema economico alla mercé di un accordo commerciale con l’America di Donald Trump, con drammatiche conseguenze per il modello sociale britannico, i diritti dei lavoratori, le protezioni ambientali e gli standard per i consumatori, come scrive Corbyn nella sua lettera.

La luce verde dei sindacati

Sono parole nette, chiare e importanti, che arrivano al termine di una discussione lunga e a tratti accesa all’interno del governo ombra tra la schiacciante maggioranza antibrexit e la frangia di irriducibili “lexiters”, culminata nella cruciale riunione dei sindacati di lunedi, dove è arrivata la luce verde alla svolta anche dal leader del sindacato “Unite” Len McCluskey, alleato chiave di Corbyn e strenuo oppositore di un nuovo referendum sulla Brexit. Sulla cui richiesta, il Labour Party ha messo ora tutto il suo peso.

Di fatto, si tratta del compimento di un percorso di riposizionamento del Labour Party sulla Brexit, iniziato alla conferenza di Liverpool del Settembre scorso, quando l’ipotesi di un nuovo referendum appariva come una delle “opzioni sul tavolo” nella mozione approvata all’unanimità.

La crisi di un progetto politico

Già allora del resto appariva evidente la crisi della Brexit come progetto politico, minato alla radice dalla divisione dei brexiteers tra quelli a favore di una Brexit soft negoziata con la UE e gli euroscettici pronti a tutto pur di uscire anche senza un quadro normativo chiaro da unione doganale, su cui si reggono gli accordi di pace del Venerdì Santo tra Repubblica d’Irlanda e Regno Unito, e mercato unico europeo, entro cui transita poco meno del 50% del commercio britannico con il resto del mondo. Da allora Corbyn ha giocato una complessa partita parlamentare per bloccare la Brexit estrema dei conservatori, proponendo una soft Brexit di compromesso e avvicinandosi progressivamente alla proposta di un nuovo referendum.

Il drammatico risultato delle europee

La svolta finale di rendere esplicita la propria posizione pro-remain è arrivata in una riunione del governo ombra dove anche storici alleati di Corbyn come il ministro ombra dell’economia John McDonnell e la sua collega agli interni Diane Abbott avevano esplicitamente chiesto un cambio di linea, resa necessaria sia dal drammatico risultato delle europee, dove la posizione ambigua sul tema Brexit ha generato un’emorragia di voti di elettori europeisti, condannando il Labour Party a uno striminzito 14%, minimo storico, ben 8 punti sotto dei Libdems resuscitati da una chiara posizione antibrexit, e dalle prese di posizioni nettissime delle sezioni scozzese e gallese del partito, quest’ultima al governo della più piccola delle quattro nazioni britanniche. Di fatto, è l’intero mondo del Corbynismo, da Momentum ai gruppi più radicali dell’attivismo giovanile, passando per i principali sindacati, gli opinion leader della sinistra come l’editorialista del Guardian Owen Jones e lo scrittore e giornalista Paul Mason, i deputati che l’hanno sostenuto nella corsa alla leadership, che ha chiesto a gran voce al suo leader una posizione più coraggiosa sul tema che ha rivoluzionato la politica britannica.

Finito il tempo del compromesso

Non c’è più tempo per le posizioni di compromesso. Il fallimento di Theresa May nel convincere i deputati del Partito Conservatore ad approvare l’accordo che aveva negoziato con la UE, che ha portato alle sue dimissioni all’inizio di Giugno aprendo la contesa per la sua successione, è la dimostrazione che la destra del partito non permette nessun tipo di compromesso sulla Brexit. Per questa ragione sia Boris Johnson che Jeremy Hunt, i due candidati alla successione, promettono di portare il Regno Unito fuori dalla UE ad ogni costo entro il 31 Ottobre, la nuova scadenza concordata dal Consiglio Europeo dopo l’estensione chiesta dalla May a inizio Aprile.

La mutazione dei Tories nel partito del No deal riflette la concorrenza del Brexit Party, il nuovo partito di Farage che ha vinto la maggioranza relativa dei voti alle elezioni europee (il 30,5%), facendo egemonia a destra e riducendo i Tories ai minimi termini (l’8,8%). Tuttavia le europee hanno registrato una sconfitta complessiva del fronte pro-Brexit (i cui voti sommati non superano il 45%). Inevitabile dunque per il Labour reagire con una mossa forte volta a riprendersi i voti europeisti in libera uscita verso Liberaldemocratici e verdi.

Le probabili elezioni anticipate

Di fatto si tratta di una mossa volta a posizionarsi in vista di elezioni anticipate sempre più probabili, più che una ragionevole aspettativa di potere combattere una battaglia referendaria a breve (per organizzare un referendum serve un iter parlamentare ben superiore ai tre mesi che ci separano dal 31 Ottobre). Boris Johnson, il superfavorito all’elezione come prossimo leader Tories il 22 Luglio e di conseguenza, prossimo primo ministro, non ha i numeri in Parlamento né per fare passare un accordo di uscita né per uscire senza accordo e dunque il tentativo di andare ad elezioni anticipate potrebbe essere l’unica via di uscita da una crisi parlamentare e costituzionale la cui portata è rivelata dalla proposta shock di sospendere il Parlamento per tre mesi per permettere un no deal. Cosa farà dunque? Posto che una maggioranza per un brexit deal non è realistica in questo Parlamento, tenterà la carta delle elezioni anticipate prima di Ottobre se riesce a trovare un accordo con Farage (a cui potrebbe offrire un ministero, la carica di Lord o, chissà, quella di ambasciatore presso gli Stati Uniti per sostituire quella rimasta vacante o punterà ad un elezione dopo un no deal ad Ottobre, se il Parlamento non lo blocca. Jeremy Corbyn è pronto alla sfida, sia in Parlamento che alle urne. L’Europa socialista non può lasciarlo solo.

Sorgente: Corbyn lancia la sfida finale sulla Brexit, sì a un nuovo referendum – Strisciarossa

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