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Si evita la procedura e la presidenza dell’Europarlamento va al dem Sassoli. Per ora Salvini è il grande sconfitto e la partita per il commissario alla Concorrenza è solo iniziata

by Angela Mauro

David Sassoli è rosso in viso quando prende la parola nell’aula dell’Europarlamento che lo ha eletto presidente, gli si rompe la voce per l’emozione: “E’ un onore…”. “Visto che ce l’abbiamo fatta?”, ci dice raggiante l’eurodeputata del Pd Alessandra Moretti uscendo dall’aula in un tripudio di gente che va e che viene, respiri di sollievo perché l’ansia sulle nomine Ue è finita, accordo trovato ieri, tutto quasi fatto: il 16 luglio c’è il voto sulla presidente della Commissione Ue designata, la tedesca Ursula von der Leyen. Quasi in contemporanea, a 440 km da Strasburgo, Bruxelles, il commissario europeo agli affari economici Pierre Moscovici annuncia la decisione di chiudere la procedura per debito minacciata contro l’Italia. In Italia lo spread scende a 197 punti.

A Roma festeggia il Pd, festeggiano Giuseppe Conte, Giovanni Tria e anche Sergio Mattarella che contro la procedura si è speso molto. Esulta su Facebook pure Luigi Di Maio, con un Movimento che ormai si è messo sulla scia del premier, non potendo contare nemmeno su un gruppo proprio in Europa dopo la debacle elettorale di maggio. L’unico che mugugna è Matteo Salvini: il ‘vincitore’ delle europee in Italia, anche lui voleva evitare la procedura, ma l’obiettivo raggiunto gli viene a costare tanto. Il governo ha dovuto mettere da parte oltre 7 miliardi di risparmi che non potranno essere toccati nella prossima manovra economica 2020, a meno di ulteriori scontri con l‘Ue. Flat tax complicata da fare. E c’è da dire che, nonostante la parte da protagonista giocata dal governo italiano nella confezione del pacchetto ‘nomine europee’ ieri al Consiglio, la maggioranza pentastellata deve ancora conquistare una posizione di rilievo a Bruxelles: la battaglia per il commissario leghista – con portafoglio alla “Concorrenza”, sperano Conte e Salvini – è solo iniziata.

Inaspettatamente l’Italia non finisce nello scantinato d’Europa. Ma per ora la posizione certamente conquistata nelle istituzioni europee parla un linguaggio opposto al governo in carica. Sassoli vuole “aprire il Parlamento al dialogo anche con le ong” che soccorrono migranti in mare, spiega in conferenza stampa, a proposito della protesta stamane di Open Arms che è arrivata con un’imbarcazione in uno dei fiumi proprio davanti all’Eurocamera per chiedere lo stop alla criminalizzazione di chi salva la gente nel Mediterraneo. E come primo passo propone la “riforma del regolamento di Dublino”, che impone all’Italia di esaminare le domande d’asilo di chi arriva, riforma approvata dal Parlamento nella scorsa legislatura (con il no di Lega e M5s) e mai adottata dalle discussioni in seno al Consiglio europeo. “Serve che gli Stati cedano sovranità al Parlamento – insiste Sassoli – l’Europa ha bisogno di cambiare per ascoltare la voce dei cittadini e anche la loro rabbia”.

E infine il nuovo presidente non nasconde l’amarezza, che non è solo sua ma molto sentita in Parlamento, per la scelta dei leader Ue di far fuori i capolista dei partiti (prima Manfred Weber del Ppe e poi il socialista Frans Timmermans) dalla corsa per la presidenza della Commissione: “Ci aspettavamo che scegliessero uno Spitzenkandidaten”, legittimato dalle urne, “e invece abbiamo visto che questo intervento è ancora appannaggio del Consiglio. E allora bisognerà fare una discussione su alcuni strumenti della democrazia europea”.

Dopo incontra von der Leyen, venuta già oggi in Parlamento per placare la rabbia di una parte del Ppe, in particolare di Weber, che ha sperato fino all’ultimo di diventare presidente della Commissione e che ora – se va bene – dovrà accontentarsi di presiedere l’aula dell’Europarlamento per la restante metà della legislatura, dopo Sassoli. Pantalone nero, giacca bianca, scarpe con un tacco minimo, la tedesca incontra solo la sua famiglia politica, seminando altro malcontento tra i socialisti: i tedeschi soprattutto sono ancora arrabbiati perché il nome di von der Leyen è venuto fuori da un’intesa Macron-Merkel benedetta dal gruppo di Visegrad. Lei fa una breve presentazione di sé al gruppo dei Popolari, alterna il francese all’inglese e al tedesco, non riesce ad assorbire tutte le perplessità (in Germania i quotidiani salutano l’accordo come una vittoria solo sua e non del paese).

Il tutto non rende semplice la sua conferma da parte del Parlamento il 16 luglio. Ma per l’Italia il punto è il carattere della nuova presidente: tedesca, filo-austerity, un osso duro per i conti pubblici italiani. E’ vero che c’è la promessa di una vicepresidenza alla Commissione Ue per l’Italia – ne ha parlato anche il presidente uscente del Consiglio europeo Donald Tusk ieri – ma la casella è tutta da negoziare: prima von der Leyen deve ottenere l’ok del Parlamento a metà luglio e poi comporrà la squadra che pure dovrà passare il test all’Eurocamera a settembre.

Non sarà semplice. Oggi a Strasburgo la leghista Mara Bizzotto si è candidata alla vicepresidenza dell’Europarlamento, ha ottenuto 130 voti, ben 57 in più del suo gruppo sovranista ‘Identità e democrazia’, ma non sono bastati per arrivare alla meta. Il pentastellato Fabio Massimo Castaldo, vicepresidente uscente, ce l’ha fatta al secondo scrutinio con 248 voti, una vittoria se si considera che i 14 eletti cinquestelle non hanno un gruppo al Parlamento europeo. Insomma il cordone sanitario anti-sovranista costruito dalla nuova maggioranza Ppe-Socialisti-liberali ha funzionato: strada sbarrata per i leghisti nei posti di comando. Il commissario leghista ha davanti a sé le ‘forche caudine’ del Parlamento: dovrà essere promosso dalla sua commissione di competenza dopo l’estate e poi, insieme a tutta la squadra von der Leyen, dovrà ricevere l’ok dell’aula.

Paradossalmente, l’opposizione del Pd riesce a conquistare lo scranno più alto del Parlamento, un posto certo in una delle istituzioni europee. E incredibilmente la spinta maggiore è arrivata proprio da Visegrad: l’Ungheria di Orban, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia hanno benedetto l’intesa tra Merkel e Macron sul pacchetto von der Leyen e seminato così tanto scontento nella famiglia socialista che il Ppe non ha potuto che appoggiare il loro candidato alla presidenza dell’Europarlamento. A quel punto, il resto è stato automatico: la delegazione italiana è la seconda nel gruppo Socialisti&Democratici dopo quella degli spagnoli che hanno ottenuto il posto di Alto Rappresentante per la politica estera al loro Josep Borrell. Sassoli candidato e vince.

La maggioranza nazional-populista, nonostante il risultato di aver evitato la procedura sul debito, deve ancora farsi largo nelle istituzioni europee. Conte è soddisfatto del pacchetto nomine, ma si è accodato alla scelta di Visegrad, dandole il lustro dell’appoggio italiano contro l’asse franco-tedesco. Il resto è tutto da conquistare.

Sorgente: A Bruxelles vince l’altra Italia | L’HuffPost

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