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A Milano il primo di sei concerti: «Una fuga dalla realtà per qualche ora, un rock contro i tempi duri. Si cavalcano le paure. Il caso cannabis? Vergogna»

«Un concerto duro e puro: i tempi sono duri e quello puro sono io». Così Vasco Rossi riassume il senso dei suoi concerti in arrivo: sei spettacoli in due settimane a San Siro, debutto sabato sera, e due date a Cagliari. La purezza la spiega così: «Faccio un mestiere che mi permette di rimanere nel mio mondo senza fare compromessi. Scrivo canzoni non perché piacciano, ma perché ho bisogno di comunicare. Ti devi spogliare, metterti a nudo, per avere diritto a stare sul palco. Non basta essere bello o fare il bello». Sui tempi duri il ragionamento è più complesso. Viene in aiuto la scaletta. «È già tutto nelle parole delle canzoni». Sembra semplice. Sarà «Qui si fa la storia» ad attaccare la spina. Vasco cita le strofe. «La disperazione tu proprio non lo sai/… la disperazione la soffochi con me». «È il concetto dello spettacolo: la musica che consola. Ai miei concerti vedo gioia. Spinoza diceva che il potere ha bisogno della tristezza. Oggi aggiungerei anche della paura. Così può giustificare sé stesso. E allora noi musicanti abbiamo il compito di portare gioia». Sempre in quelle strofe si parla di fuga… «Con il rock per qualche ora scappiamo da questo mondo grigio, brutto, antipatico, pieno di rabbia e stress. Non mi piace questo mondo, non è quello che vorrei e continua ad andare sempre peggio».

Tutto nelle canzoni, si diceva. E allora Vasco passa a «Mi si escludeva». «La sento attuale anche se ha più di 20 anni. È stata una mia immaginazione che si è realizzata in maniera drammatica. Io ho provato a sentirmi estraneo. Ti aggiunge un problema al vivere, che è già un problema. Bisogna cercare di capire le esigenze di tutti. Non è politica, ma la mia esperienza personale». Non si sottrae al dibattito. Se l’esclusione allora era ad personam, tutti contro Vasco, adesso è un fenomeno su grande scala. «In Italia sento malessere e rabbia. Vedo guerre fra poveri, io la chiamo disperazione. E vedo che qualcuno cavalca la paura della gente, anzi la alimenta. Non è una bella storia. La migrazione di massa dall’Africa è un fenomeno che si doveva capire anni fa: bisogna trovare un modo per gestirlo senza perdere umanità. Lo capirebbe anche un bambino…».

Torna a spulciare la scaletta. Si sofferma su «La verità». «Viviamo la post-verità: una balla ripetuta più volte diventa vera. Sento politici che dicono cose non vere con la faccia tranquilla: chi la spara più grossa ha ragione». Dopo il record (mondiale) di biglietti venduti con Modena park nel 2017, ecco quello (italiano) di stadi nella stessa città. Sei San Siro. «Non lo aveva mai fatto nessuno. Nemmeno Vasco Rossi», scherza. Le canzoni saranno 29, come gli anni dalla sua «prima» qui a San Siro. «Fu una rivoluzione copernicana. Solo le star straniere facevano gli stadi. Adesso tutti devono bussare prima di entrare». Manca un anno per fare cifra tonda. Altro record in arrivo? «Chi vivrà vedrà».

Il successo non lo ha logorato. «È straordinario, è la conferma che quello che fai è giusto. La celebrità all’inizio è divertente, la cerchi, poi diventa fastidiosa. Tutti ti conoscono e ti guardano. Pensa cosa significa per uno che ha le stesse paure e fragilità di prima, al limite amplificate». Ecco perché fugge a Los Angeles. «Lì mio lusso è essere normale; guardare senza essere guardato. Al sabato sera a casa faccio sempre un party: mangiamo, beviamo e chiacchieriamo. Vita sana: a letto presto e sveglia presto. Incredibile… Sono le stagioni della vita. Si cambia». Non cambia invece la sua presa di posizione pro cannabis. «Quello che sta accadendo con la cannabis light è una vergogna. La cannabis non andrebbe messa fra le sostanze stupefacenti, la divisione andrebbe fatta fra ciò che fa morire. Negli anni Venti chi aveva in mano l’alcol mise in piedi una campagna di sciocchezze non scientifiche per demonizzare la marijuana». Saluti. Sorriso. «Vado a farmi una canna».

Sorgente: Vasco Rossi: «Sento politici che sparano falsità, cavalcano le paure»

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