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Dietro lo scontro senza precedenti che ha spaccato la magistratura c’è la lotta per le poltrone di Palazzo dei Marescialli. Se i quattro consiglieri citati nell’inchiesta di Perugia dovessero dimettersi, infatti, Magistratura indipendente perderebbe la maggioranza al Consiglio superiore a beneficio del gruppo di Davigo e di Area, la corrente di sinistra

Una questione di poltrone. Dietro lo scontro senza precedenti che ha spaccato il Consiglio sdella magistratura negli ultimi giorni c’è soprattutto questo: la lotta per le sedie a Palazzo dei Marescialli. L’organo di autogoverno della magistratura è mutilato ormai da dieci giorni, cioè dall’autosospensione di quattro componenti togati. Un quinto, invece, si è già dimesso: è Luigi Spina di Unicost, la corrente di centro, indagato dalla procura di Perugia per favoreggiamento e violazione di segreto. Avrebbe rivelato a Luca Palamara l’inchiesta in corso ai suoi danni per corruzione. Spina è tornato a fare il pm a Castrovillari: per sostituirlo bisognerà votare di nuovo, visto che per i quattro posti riservati ai pm si erano candidati solo in quattro alle elezioni di undici mesi fa.

Il Csm mutilato – È però per gli altri quattro posti in bilico che Magistratura Indipendente ha intenzione di fare le barricate. Tre dei suoi componenti eletti al Csm sono citati nell’inchiesta di Perugia pur non essendo indagati. Sono Corrado Cartoni, Antonio Lepre e Paolo Criscuoli. A loro si aggiunge Gianluigi Morlini di Unicost, che però ha appena abbandonato la sua componente. Insieme a Spina e Palamara incontravano nottetempo Cosimo Ferri, deputato del Pd, ex sottosegretario, magistrato e storico leader di Magistratura Indipendente. E poi Luca Lotti, braccio destro di Matteo Renzi, parlamentare che la procura di Roma vuole processare per favoreggiamento nel caso Consip. Oggetto degli incontri: i giochi e le alleanze di corrente per nominare il nuovo procuratore della Capitale. Cioè lo stesso ufficio che ha chiesto il rinvio a giudizio di Lotti. È per questo motivo che i quattro sono stati costretti ad autosospendersi: non partecipano ai lavori del Csm, ma non si sono ancora dimessi. E oggi hanno confermato l’intenzione: non faranno alcun passo indietro prima di aver letto le carte dell’inchiesta della procura di Perugia arrivate nei giorni scorsi  al vice presidente del Csm e ancora segrete. Una situazione di stallo che paralizza Palazzo dei Marescialli, privato al momento di un terzo dei suoi componenti togati – quelli eletti dai magistrati – e senza un quinto dei componenti totali.

Lo scontro per le poltrone – È per questo motivo che il futuro dei consiglieri autosospesi ha fatto deflagrare uno scontro senza precedenti tra le associazioni di magistrati. Areadg, cioè la corrente di sinistra, Unicost e Autonomia e Indipendenza, il gruppo di Piercamillo Davigo, hanno chiesto ai quattro di dimettersi “per consentire una ripresa dell’attività del Csm a pieno regime, evitandone lo scioglimento”. Uno scioglimento che rischierebbe di essere “anticamera di una modifica della legge elettorale del Csm e dei suoi stessi poteri”. Secondo la legge, per la verità, il Consiglio superiore della magistratura per funzionare ha bisogno di dieci consiglieri magistrati e cinque laici. Numeri che ci sono anche oggi. Magistratura Indipendente, in ogni caso, fa muro. E ha chiesto ai quattro autosospesi di tornare al lavoro. Un appello che ha spaccato la stessa corrente di destra: il presidente dell’Anm, Pasquale Grasso, ha lasciato la sua corrente definendo i colleghi “ballerini che ballano sul ponte mentre il Titanic va verso l’iceberg“. Le altre correnti hanno replicato aprendo la crisi all’interno del sindacato delle toghe. Magistratura indipendente, però, non intende mollare: i quattro consiglieri che incontravano Lotti mentre si discuteva della corsa al vertice della procura di Roma non devono dimettersi.

Con le dimissioni cambia la maggioranza al Csm- A spiegare il motivo è Antonello Racanelli, segretario della corrente e procuratore aggiunto di Roma, l’ufficio al centro delle trame e dei veleni che ha spaccato la magistratura. Intervistato da Il Giornale, Racanelli ha auspicato uno scioglimento di tutto il Consiglio superiore “altrimenti il rischio è che questa vicenda ì venga strumentalizzata per un regolamento di conti all’interno della magistratura“. Il leader di Mi, infatti, ha confermato che se i quattro si dimettessero “al loro posto entrerebbero i primi colleghi non eletti. Che però sono di altre correnti, e questo cambierebbe in profondità gli equilibri interni al Consiglio superiore, mortificando il voto dei magistrati italiani che appena un anno fa hanno scelto di voltare pagina”. In effetti se Cartoni, Criscuoli e Morlini si dimettessero al loro posto entrerebbero al Csm Giuseppe Marra e Ilaria Pepe, entrambi di Autonomia e Indipendenza, la corrente di Davigo, e Bruno Giangiacomo di Areadg, quella di sinistra. Per Lepre, invece, dovranno essere indette nuove elezioni, così come avverrà per Spina. Un voto chiaramente segnato dall’inchiesta di Perugia, che quindi penalizzerebbe i candidati di Mi. Al Csm, dunque, Area passerebbe da quattro a cinque consiglieri, Davigo da due a quattro, mentre Unicost e Magistratura indipendente perderebbero la maggioranza (hanno 5 consiglieri a testa) scendendo rispettivamente a quattro e due poltrone a Palazzo dei Marescialli. Un ribaltone.

I consiglieri prendono tempo e vogliono leggere le carte – Ed è per evitare il ribaltone che la corrente di Ferri ha blindato gli autosospesi. Discorsi più simili alle logiche di un consiglio comunale che alla massima istituzione di autogoverno della magistratura. Al Giornale Racanelli conferma il timore per la sua corrente di perdere la maggioranza: “Per la prima volta il gruppo di potere che era stato egemone all’interno della magistratura, a partire da Area e da Magistratura democratica, è stato messo da parte. È il gruppo che per anni ha trasformato l’Anm in un soggetto politico, che ha preteso di dettare la linea al Parlamento sulle politiche dell’immigrazione”. È anche per questo motivo che i quattro consiglieri autospesi hanno preso tempo. Hanno confermato l’autospensione, sono andati a Palazzo dei Marescialli e hanno chiesto al vice presidente David Ermini di leggere gli atti dell’inchiesta di Perugia. Cioè i documenti che ricostruiscono i loro incontri con Lotti e Ferri. Nel frattempo il Csm rimane mutilato.

Sorgente: Csm, maggioranza in bilico: ecco perché la corrente di Ferri non vuole le dimissioni di chi ha incontrato Lotti – Il Fatto Quotidiano

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