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Una volta, all’inizio degli anni Novanta, quando la pancia del Nord Est del Paese era dolente, impressionava il cambio di casacca, con armi e bagagli di migliaia di operai e sindacalisti dalla “sinistra” più o meno storica alla Lega Nord. Lombardia e Veneto prima e poi, a macchia di leopardo  tutto il Nord e poi giù verso il centro e il sud del Paese Interi blocchi sociali si sono trasferiti verso la Lega. Non più solo cittadini attratti dal messaggio di una prospettiva di un Paradiso territoriale, il Nord, autonomo e indipendente, scisso dal resto del Paese dalla zavorra di un sud mafioso e “sfaticato”. Era questo il manifesto politico è razzista della Lega che abbiamo conosciuto a cavallo della fine del secolo scorso e dell’inizio del nuovo Millennio.

Oggi, ma questa è cronaca di questi mesi, la Lega dal 4% è saltata al 18% dei consensi. Oggi è forza politica nazionale. E il suo stratega è artefice, Matteo Salvini, ha dovuto riconvertire le basi ideologiche e programmatiche del partito. Non più territoriale ma nazionale. Sempre contro gli immigrati ma non più razzista come prima. E tutte le battaglie propagandistiche una volta contro la mafia un’altra contro Roma ladrona si sono andate affievolendo.

Il libro di Berizzi

Fa impressione leggere il libro di un bravo cronista, Paolo Berizzi, appena uscito. Lo ha scritto per “Baldini&Castoldi”. Il titolo: «NazItalia. Viaggio in un Paese che si è riscoperto fascista». Non credo che nelle intenzioni dell’autore il libro voglia essere una testimonianza di indignata presa di distanza nei confronti della Lega. Certo è una testimonianza civile, un racconto che non indugia sulla presa di distanza ma è anche una narrazione rigorosa che non tralascia nulla. C’è un passaggio che apparentemente solleciterebbe una condanna perlomeno morale del leader della Lega, futuro ministro (a meno di clamorose retromarce), Matteo Salvini. Perché si tratta di incontri o frequentazioni inopportune per un leader politico, un possibile ministro o addirittura presidente del Consiglio in pectore. Se fosse capitato a un leader della sinistra o allo stesso Berlusconi solo dieci anni fa, sarebbero esplose polemiche a non finire. Diciamo subito che di penalmente rilevante non c’è nulla. Non abbiamo neppure la conferma che lui sapesse l’identità della persona con cui parla e si fa fotografare. Nella pratica della nuova Lega, la politica è una rete a strascico dove può finire di tutto, pesce pregiato ma anche avvelenato.

Salvini e Manomozza

Dunque, il libro di Paolo Berizzi: «Nella sua scalata alla Lega e al centrodestra, attuando una rottamazione graduale e gentile, a suo modo epocale, Salvini ha sfoderato doti di intuito politico, coraggio, disinvoltura e sfrontatezza. Come tutte le corse verso il potere, pure quella del Capitano ha richiesto il turbo. Cambiare pelle a un movimento autonomista chiuso nella roccaforte del Nord fino a cucirle addosso l’abito da sera del partito nazionale, e portarlo dal 4% a quasi il 18%, significa correre su e giù per l’Italia, batterla palmo a palmo, asfaltare confini. Insomma: imbarcare il classico «largo consenso». In politica queste operazioni possono anche tradire una certa frenesia: perché il desiderio di piacere e convincere ha sempre un prezzo». «La storia che racconterò adesso dimostra quanto il rischio sia costantemente in agguato. Anche per un leader politico a cui la mafia e i mafiosi «fanno schifo», che ha sempre condannato senza se e senza ma i criminali, che ha fatto della sicurezza e della legalità uno dei concetti chiave della campagna elettorale e che ha più volte associato questi temi a una propaganda basata sul sillogismo: immigrazione uguale criminalità uguale insicurezza». «I protagonisti della storia sono Matteo Salvini e Salvatore Annacondia, detto «Manomozza».

Reo confesso di 72 omicidi

Il leader in pectore della nuova destra italiana e l’ex boss sanguinario della criminalità pugliese, reo confesso di 72 omicidi – alcuni eseguiti personalmente, altri come mandante – tutti tra gli anni Ottanta e Novanta. La biografia di Annacondia è quella di un padrino spietato, dotato di uno spessore criminale che l’ha portato ad avere contatti con i boss di Cosa Nostra – alla quale era affiliato – e di altre organizzazioni mafiose italiane, compresa la Sacra Corona Unita. Per questi rapporti «in alto» nel 2015 Annacondia è stato sentito al processo palermitano sulla trattativa Stato-mafia. E la sua testimonianza su quella oscura vicenda continua. Sessantun anni, originario di Trani da dove ha esteso il suo regno criminale basato nel nord barese, «Manomozza» (perse la mano destra durante una battuta di pesca di frodo nel mare di Trani a causa di un’esplosione) si è pentito dopo il crollo della prima Repubblica. Da allora è diventato un super collaboratore di giustizia. Da anni vive con un nuovo nome e con la famiglia in una località segreta dove ha un’attività che gestisce assieme ai figli. Essendo un pentito sotto protezione dello Stato, pur conoscendo nei dettagli tutte le coordinate della sua nuova vita, la seconda identità sua e dei figli, il luogo dove risiedono e il nome della loro azienda, è doveroso ometterle per tutelarne l’incolumità». «Ma che c’entra Annacondia con Salvini? Perché parlare di un ex boss mafioso con 72 omicidi sulle spalle a proposito di un leader politico che in piazza giura sul Vangelo e sulla Costituzione e, dopo avere detto «la mafia mi fa schifo», ribadisce con forza che «uno che spara è un cri- minale e basta»? È il 2015, anno di elezioni. Il segretario della Lega giunge nella località dove vive Manomozza. Il quale, al netto del suo status di collaboratore di giustizia, non sembra condurre una vita ritirata. Conosciuto e apprezzato per la sua attività, che lo porta a contatto con la gente, da sempre rispettato nella regione dove ha deciso di vivere lontano dalla sua Puglia, l’ex boss mafioso sul territorio non fa mistero del suo passato ingombrante. Lo raccontano diverse persone che lo hanno conosciuto.

Forse Salvini non sapeva chi era

Salvini partecipa a una cena e a quella cena spunta Annacondia. I due si fanno fotografare insieme: uno accanto all’altro, sorridenti. Se non fosse che, per motivi diversi, sono due volti noti, sarebbe un’immagine banalissima, come tante. Salvini ha una polo nera e la solita barba lunga, Annacondia una camicia azzurra. Alle loro spalle c’è un giardino curato. È probabile, oltre che auspicabile, che il Capitano della Lega non conoscesse la vera identità di Manomozza. Si sarà trattato quasi certamente di un incontro occasionale, uno dei tanti che capitano al segretario di un partito quando gira l’Italia. Non è dato sapere chi e perché abbia presentato Annacondia a Salvini, forse, anzi, quasi certamente, quella sera stessa. Né è possibile ricostruire se ed eventualmente quale rapporto si fosse instaurato tra i due prima della fotografia scattata insieme: potrebbero raccontarlo, volendo, i due interessati. È evidente: come molti leader politici e personaggi pubblici, anche Salvini – che è molto seguito, e per di più è uno che si presta volentieri ai selfie – si fa fotografare con decine di persone in occasione di uscite pubbliche, manifestazioni, cene elettorali e non».

La domanda da porsi

Ecco, può un (futuro) ministro della Repubblica avere queste frequentazioni? La domanda è giusta, anche se temo che oggi rischia di essere fuori dal mondo. Dal mondo attuale dove non esistono più principi e regole.

Sorgente: “Salvini e la cena con Manomozza, il boss mafioso” – Tiscali Notizie