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Lavinia non può insegnare: così è deciso.
Ha perso il ricorso l’insegnante licenziata nel febbraio 2018, perché filmata mentre protestava a muso duro contro la polizia, durante una manifestazione Antifascista, che cercava di bloccare il raduno della feccia fascista di casapound, a Torino.
L’ultimo giudice si è espresso motivando la sua decisione. Non ci si crederà, ma l’ha fatto per noi, e soprattutto come sempre fanno i giudici l’ha fatto “nel nome del popolo italiano”. Non nel mio, ovviamente, non in mio nome.
L’ha fatto perché secondo lui, la scuola è il «mezzo per promuovere la crescita della persona in tutte le sue dimensioni, improntato nel rispetto dell’ordinamento. Sarebbe quindi evidente il contrasto tra le finalità educative e il ruolo dell’insegnante e l’atteggiamento incontrollato e offensivo nei confronti delle forze dell’ordine».
Secondo il giudice, quindi: “la condotta tenuta da Lavinia Flavia Cassaro contrasta in maniera evidente con i doveri inerenti la funzione educativa”.
È una storia triste e dannatamente pericolosa, passata in sordina dopo l’immediata eclatanza quando a lei e a tutti coloro che offrirono la loro solidarietà “social” non solo fu augurata la morte e la tortura, ma furono vomitati gli usuali e ormai noiosi insulti fascisti, che di solito tendono a ledere la dignità delle donne, a sminuirle reintroducendo il pensiero medievale che oggi domina l’ignoranza italica.
È l’ennesima storia in cui si libera il fascismo in uno stato che ormai non si vergogna più di esserlo, in pieno contrasto con quel che dovrebbe essere il rispetto delle regole imposto dalla nostra Costituzione, in contrasto col rispetto che la Pubblica Amministrazione dovrebbe avere non solo nei confronti dei propri dipendenti ma dello stato stesso. Del popolo italiano.
È l’ennesima storia di quest’Italia al contrario, in cui i ministri in tournee tra un arancino e un cannolo (che li possano strozzare) se contestati possono insultare, denigrare, far schedare o arrestare l’oppositore, ma il cittadino non ha più diritto a rivendicare il suo pensiero antifascista, e non può più schierarsi apertamente per difendere quei principi e quei valori che potrebbero aiutarci a tornare ad essere un paese civile e democratico.
È la prosecuzione della rapida caduta agl’inferi già abbondantemente intrapresa in anni e anni di silenzi e alzate di spalle, di tutte le mancate occasioni di rialzare la testa, dell’attesa sconcertata e sconcertante che viviamo passivamente, stanchi e vinti.
È un giudizio poco furbo, l’applicazione malata e deviata del “colpirne uno per educarne cento”, che in una popolazione un poco più scaltra e motivata, avrebbe dovuto portare all’esatto contrario, cioè almeno mille avrebbero dovuto sentirsi colpiti, ma non castigati e pronti a castigare.
Troppe Lavinie ci vorrebbero per riportare un po’ di buon senso nella nuova generazione che sarà un futuro che non riesce a immaginare, perché son troppo pochi gli insegnanti che insegnano, le famiglie che vigilano, le persone che hanno ancora voglia di aprire le menti e invogliarle a pensare, amare , agire e guardare il futuro conoscendo il passato.
La cosa buffa (e mi si passi il termine, perché nulla c’è di buffo) è che la notizia della pena per Lavinia stava accanto a un’altra notizia su un giornale, che pressappoco diceva così: “Il libro intervista del ministro salvini sarà edito dalla Casa editrice ******* vicini ai fascisti del terzo millennio.”
Le parolacce mettetecele voi; io le ho finite.
Rita Pani (APOLIDE)

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