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Sono 6 contro 76 tra i rettori, mille su 8mila tra i sindaci, 5mila contro 17mila tra i manager: lo scandalo di un Paese in cui ai vertici della società e delle istituzione restano ancora gli uomini

di MARIA NOVELLA DE LUCA E LUISA GRION

L’università? Sei rettrici e settantasei rettori. La politica? Cinque ministre e tredici ministri nel governo giallo-verde. La magistratura? Centodiciannove donne contro trecentoquindici uomini nei ruoli direttivi. Le imprese? Cinquemila amministratrici delegate contro diciassettemila amministratori. La pensione di una donna? Il 37% in meno di quella di un uomo. E se questi numeri vi sembrano pochi, in questo otto marzo simile a una rivoluzione incompiuta, tra venti di restaurazione che attaccano parità, divorzio, aborto, libertà di scelta, la lista delle diseguaglianze potrebbe continuare. Perché se le donne sono sempre di più, in ogni ruolo intermedio della società, è invece la porta stretta del potere a restare ancora socchiusa.

Il soffitto di cristallo
Nove anni fa, nel 2011, entrava in vigore la travagliatissima legge Mosca-Golfo sulle quote rosa. Ossia l’obbligo per le aziende pubbliche e per quelle quotate in borsa, di riservare un terzo dei posti di vertice alle donne. Infatti, se nel 2011 la presenza femminile nei consigli amministrazione era bloccata al 6%, oggi è del 33,5%, ma le amministratrici delegate, nelle grandi aziende, sono soltanto il 17%. Una legge sperimentale però, che scadrà il prossimo anno. “Soltanto allora, quando non ci sarà più l’obbligo delle quote, capiremo se la società italiana è cambiata davvero”, avverte Daniela Del Boca, ordinaria di Economia all’università di Torino e Fellow del “Collegio Carlo Alberto”.

“A livello medio la partecipazione femminile al mercato del lavoro è migliorata, del resto le donne studiano moltissimo, ma adesso siamo in una sorta di stagnazione. La domanda è bassa e i maschi fanno lobby: sia in un Cda che in un concorso universitario gli uomini votano per gli uomini”. Perché, ancora oggi, dati alla mano, siamo obbligate a parlare di “soffitto di cristallo”. Anche se non si può parlare di potere femminile se non si analizza il punto di partenza: l’occupazione femminile in Italia è ormai ferma da anni al 49% contro il 68,5% di quella maschile. Ma al Sud i dati sono quelli di un disastro sociale: il 70% delle donne non lavora.

Spiega Linda Laura Sabbadini, esperta di statistica sociale: “Dove si ferma la corsa delle donne? I maschi scelgono i maschi. E le donne stesse, pur con alti livelli di istruzione, spesso fanno scelte di ripiego, magari per poter seguire la famiglia. Un prezzo che poi si riflette sui loro stipendi e sulle loro pensioni. A parità di salari iniziali le donne, tra aspettative, part time, altre interruzioni, accumulano svantaggi contributivi, che portano le loro pensioni ad essere inferiori del 37% rispetto a quelle maschili”.

La politica

La presenza delle donne nel Parlamento è in aumento: in questa legislatura hanno raggiunto il 35,7% alla Camera e il 34,4% al Senato. Ma restano pochissime invece le ministre, 5 contro 13 ministri. “Il vero problema è che le donne in politica entrano soprattutto per cooptazione, manifestare autonomia non paga. C’è una decisa resistenza maschile a cedere spazio. Anche nel mio partito, il Pd, e questo è senza dubbio uno dei problemi della sinistra italiana” commenta Cecilia D’Elia promotrice dei comitati Zingaretti. “Le donne sanno mobilitarsi, come è successo contro la giunta Raggi a Roma, o a favore della Tav a Torino, ma restano ai margini. Forse perché i programmi dei partiti le interessano sempre di meno, scostati come sono dalla realtà che le riguardano”.

Le imprese

Nelle stanze dei bottoni dell’economia, come dicevamo, c’è un prima e un dopo: 2011, anno della entrata in vigore della legge Golfo-Mosca sulle quote rosa. Anche qui fatta la legge trovato l’inganno: la presenza femminile è lievitata, ma ci sono meno amministratori delegati e più consiglieri. Il divario sale mano mano che l’azienda diventa più importante.

Cosa blocca le carriere? Francesca Bettio, professore di Economia all’Università di Siena parla di “networking” ovvero della capacità di crearsi una rete di contatti. “Le competenze da sole non bastano. Le posizioni si scalano tessendo rapporti. Consiglio alle ragazze di essere meno educate e di imparare a sgomitare”. Donatella Prampolini, vicepresidente Confcommercio in corsa per la presidenza. “Bisogna coltivare il territorio, essere preparate, delegare, controllare. E certo, difendersi”.

L’università e la ricerca

Gli atenei italiani sono ancora roccaforti maschili. Su 82 rettori, soltanto 6 sono donne. Eppure le laureate oggi sono il 59% contro il 41% dei laureati, il loro voto finale è di 2 punti superiore a quello dei loro compagni di corso. Invece a 6 anni dalla laurea risultano occupati il 91% dei maschi contro l’84% delle donne. Spiega Cristina Messa, rettora dell’università Bicocca di Milano: “Dentro le università il cambiamento c’è ma è lento. Ai vertice è ancora preponderante la componente maschile che continua a proteggere il proprio potere. Arrivare in alto è durissimo, lo ammetto. E sono molte le donne che arrivate a un certo punto della carriera si fermano, preferendo magari la possibilità di conciliare lavoro e famiglia. Ma sono ottimista: oggi le associate sono il 42% e le ricercatrici in numero quasi pari ai maschi. È solo questione di tempo”.

La magistratura

Nell’ambito della Giustizia i dati di genere sono macroscopici e contraddittori. Il numero delle magistrate ha superato quello dei magistrati, il 52% contro il 48%. La rivoluzione è avvenuta nel 2015, esattamente cinquant’anni dopo il primo concorso aperto alle donne. Ma gli incarichi direttivi sono nel 73% dei casi in mano maschile e nel 26% femminile. In Cassazione, ad esempio, le giudici sono 14 contro 35 uomini, e nessuna è mai stata finora presidente della Suprema Corte. Ha raccontato Gabriella Luccioli, una delle prime 8 donne entrate in magistratura, autrice della sentenza del 2007 su Eluana Englaro: “La nostra presenza ha portato enormi cambiamenti nel diritto, rendendolo più umano e concreto”.

Sorgente: Alla faccia della parità, ecco perché in Italia il potere non è donna | Rep

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