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Di Maio, dopo il flop in Sardegna espulsioni più vicine e ritorno del Direttorio. Una cena segreta di esponenti 5 stelle contro il suo staff

«Spostare la legittima difesa o mi massacrano». Segreteria di 10 persone per ripartire

di Monica Guerzoni e Alessandro Trocino

ROMA Prima Roberto Fico, che se ne esce con un «viva la democrazia». Una formula che nel giorno della disfatta sarda suona, all’entourage di Luigi Di Maio, come uno sberleffo, una lode inopportuna agli elettori che hanno bastonato il leader. Poi l’attacco a testa bassa di Paola Nugnes, che si spinge dove nessun dissidente si era mai spinto finora, cioè a chiedere ufficialmente la testa del capo. Quanto basta per far salire a mille l’irritazione di Di Maio, che fuori dai sorrisi di circostanza, fuori dalle dichiarazioni un po’ surreali tipo «è stato un buon risultato», prova a correre ai ripari, giocando su più fronti.

Da una parte fa sapere all’alleato Matteo Salvini che è più che opportuno far slittare la legittima difesa: «Se la metto in votazione ora, ci massacrano». E dall’altra ottiene di anticipare la formalizzazione della Commissione sulle banche, cavallo di battaglia dei Cinque Stelle, e spinge sul reddito di cittadinanza, perché «dobbiamo puntare tutto su quello». Infine, dà una brusca accelerata alla riorganizzazione. Con una novità che potrebbe essere clamorosa: si studia, infatti, la rinascita del Direttorio, questa volta in grande. Perché sarebbe un Direttorio-Segreteria politica di dieci persone, ognuno con una responsabilità tematica. Persone scelte tra diverse anime del Movimento. A cui si aggiungerebbero altri tre referenti per Regione.

Questa mattina sul Blog delle Stelle dovrebbe arrivare descritta nei dettagli la piccola rivoluzione, che poi finirebbe ai voti di Rousseau a partire da mercoledì. Tre i cardini del restyling, un segnale concreto da offrire in pasto a una base delusa e disorientata: il via libera alle liste civiche, la fine del doppio mandato a livello comunale e il via libera alla struttura tematica. Un tentativo di recuperare terreno sul fronte delle elezioni locali, che costituiscono da sempre (tranne le grandi città) il tallone d’Achille del Movimento. Ma questa riforma, preparata in solitaria da Di Maio, potrebbe non passare così liscia, se è vero che molti parlamentari sono già in agitazione e speravano (invano) di poterne discutere, avanzando delle proposte. Non piace l’alleanza con le liste civiche, considerata un palliativo e anche un cavallo di Troia per inaugurare alleanze con la Lega anche sul territorio. Non piace neanche che la riforma sia calata dall’alto e trasformi il Movimento in un partito con una segreteria politica di fedelissimi di Di Maio. E si teme che la fine del tetto del doppio mandato a livello locale possa preludere all’abbattimento di un altro totem, portando al professionismo della politica. Viatico per una possibile fine anticipata della legislatura, con prosecuzione delle carriere di chi è a fine mandato. A peggiorare la situazione c’è il fatto che Di Maio sceglierebbe i nomi dei nuovi responsabili, sottoponendoli poi al voto. Riuscirà il leader a convincere la minoranza, magari distribuendo qualche poltrona?

Chi sicuramente non è convinta della china che sta prendendo il Movimento, è la senatrice Paola Nugnes. Che attacca: «La base è stata messa da parte. La leadership di Di Maio va messa in discussione». Parole che arrivano come una coltellata al quartier generale, tanto che parte subito la controffensiva di Sergio Battelli: «Leggo che la collega vorrebbe mettere in discussione Di Maio. Un consiglio, affronti e sfati la profezia di Fassino. Si candidi lei per guidare il M5S. Non abbiamo bisogno di picconatori, ma di visione e proposte». Non è un caso che si facciano più insistenti le voci che annunciano la prossima espulsione della Nugnes e di Elena Fattori, da tempo in attesa del verdetto dei probiviri.

Intanto dall’alto parte l’ordine di limitare al massimo le interviste e i gruppi sono un magma che ribolle. La «testuggine», come il capo politico amava definire il suo squadrone di parlamentari, mostra crepe profonde. Prova ne sia una cena segreta in un ristorante tra Camera e Senato che ha visto seduti allo stesso tavolo una decina di parlamentari dei 5 Stelle, in grado di rappresentarne almeno il doppio. C’erano diversi presidenti di commissione e, tra una carbonara e una tagliata, il piatto forte è stata la comunicazione. I commensali sono preoccupati e si sono trovati d’accordo su alcuni punti fermi: «Basta slogan, basta annunci, lavorare di più e andare meno in tv». La riunione era nata per studiare una strategia di voto sui provvedimenti cari alla Lega, ma è diventata un processo agli «spin» del Movimento, che avrebbe un carattere più da opposizione che da partito di governo. I nomi nel mirino sarebbero quelli di Cristina Belotti, portavoce di Di Maio al ministero, e di Pietro Dettori, braccio destro e «ombra» del leader.

La sofferenza della nuova fronda non avrebbe dunque come bersaglio il leader. Perché tutti, o quasi, concordano sul fatto che al momento non ci sia alternativa alla leadership di Di Maio. Ma un deputato che era alla cena lo descrive «solo, circondato da persone che gli vogliono male e che lo consigliano male».

Sorgente: corriere.it

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