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FORUM L’ESPRESSO

Sì, ha ragione Prodi quando dice che in Italia c’è un’opposizione ma non c’è un’alternativa. E non credo che si riferisca all’esistenza di un’opposizione partitica, parlamentare: se parlasse di quella, ci sarebbe anche un’alternativa.

Invece l’opposizione parlamentare oggi è un Pd allo stremo – allo stremo di idee e proposte, prima ancora che di voti – e (vabbeh) quel che resta di Forza Italia, penosamente abbarbicata al prolungamento biologico del suo fondatore senza eredi.

Non è quella l’opposizione.

C’è invece un’opposizione – seppure sfrangiata, orfana a tratti perfino molecolare – in una buona parte del paese. Probabilmente minoritaria, ma assai più viva e cospicua del Pd o dei partitini alla sua sinistra.

C’è opposizione ad esempio nei milioni di persone che non si identificano con l’accanimento stronzista di Salvini verso i migranti e chi li aiuta.

C’è opposizione in tantissime associazioni di donne che non riescono a credere che il “cambiamento” sia il ritorno al passato patriarcale dei Fontana e dei Pillon.

C’è opposizione in tanti tra quanti avevano sperato nel M5S come strumento di stimolo e cambiamento della sinistra e oggi lo vedono tristemente appiattito sul sovranismo leghista, ma anche strutturato gerarchicamente con criteri e dirigenze aziendali, super verticali – altro che democrazia diretta e uno vale uno.

C’è opposizione tra quanti avevano creduto nelle battaglie ambientaliste del Movimento stesso, o in quelle antimilitariste, e adesso vedono entrambe queste issue totalmente abbandonate (giusto in questi giorni il sottosegretario Tofalo è negli Stati Uniti a “rimodulare” l’acquisto dei famosi F35, in sostanza li prenderemo con uno sconto).

C’è opposizione tra quanti ricordano un Movimento 5 Stelle ispirato a Stefano Rodotà e Gino Strada, e oggi piegato a Bannon o peggio al croato Pawel Kukiz, il leader ultranazionalista, ultracattolico e omofobo con cui Di Maio vuole allearsi in Europa.

C’è opposizione nei molti che credono nell’utilità collettiva delle competenze e della cultura, e quindi diffidano di quell’antintellettualismo irridente di cui i gialloverdi hanno fatto una bandiera ma ha tracce in altri capi del passato, da Mussolini fino a Renzi (sì, con i suoi attacchi ai “professoroni” ha aperto la strada all’antintellettualismo becero dei gialloverdi oggi).

C’è opposizione – soprattutto – nei milioni di persone che credono nella funzione sociale dei corpi intermedi, a iniziare dal sindacato, e oggi probabilmente la maggiore forza d’opposizione organizzata è la Cgil di Maurizio Landini.

Quindi sì, c’è opposizione ma non c’è alternativa: perché tutto quanto sopra non ha un perimetro politico di proposte, prima ancora di un partito o di un leader.

La questione è quindi se e quale perimetro ci sarà, perché i pericoli opposti sono due, entrambi pessimi.

Da un lato c’è il vecchio settarismo e divisionismo della sinistra, il tic secondo il quale il peggior nemico è sempre quello che mi è più vicino, quindi vai di litigi, scissioni e controscissioni.

All’estremo opposto, c’è l’illusione di prendere dentro tutti quelli che sono “contro Salvini” o “per l’Europa”, perimetro tanto ampio da risultare una notte in cui tutti i gatti sono bigi, e come diceva Popper più l’ambito dato è vasto più il contenuto è ridotto.

Quest’ultimo, per capirci, è il manifesto di Calenda e altri, ovviamente a modesto avviso di chi scrive. Un manifesto la cui vaghezza contenutistica è del resto ben simboleggiata dalla varietà politica di proponenti, dal falco di Confindustria Bombassei all’ex sindaco di Milano Pisapia.

Non è una questione personale, però: è una questione politica, di contenuto. Vale a dire che il perimetro di una futura opposizione che sia anche alternativa passa per alcune domande che al momento restano inevase.

Cos’è stato sbagliato nella sinistra degli ultimi trent’anni?

C’è o no un’autocritica all’adeguamento al modello liberista iniziato con Blair e altri? Si vedono o non si vedono i danni prodotti da quella storica resa culturale?

E venendo al presente: si pensa o no di affrontare il tema gigantesco delle disuguaglianze e se sì come?

Si crede ancora – come legittimamente fanno i liberisti – che la priorità assoluta sia la produzione di ricchezza o si è capito che un balance con la sua redistribuzione è urgente?

Si pensa che il reddito di cittadinanza grillino – con tutti i suoi difetti, a tratti polizieschi – sia solo un regalo elettorale ai fancazzisti meridionali divanati o al contrario si sanno proporre strumenti più radicali, solidi ed efficaci di redistribuzione, in un’era di enorme concentrazione di redditi e patrimoni, in un’era in cui il salario lavorativo non è più uno strumento universale di redistribuzione?

Si è capito cosa non ha funzionato – per le classi medie e basse – nella costruzione di questa Ue e della sua moneta o si pensa che tutto è stato fatto bene e che la ribellione “populista” sia stata causata dal nulla?

Non so, fatemi sapere.

Io il perimetro in questione non lo so certo definire, sono solo un giornalista rompiscatole e un cittadino politicamente orfano. Sono però convinto che senza questo perimetro non ci sia nemmeno il resto, cioè la rappresentanza partitica e – quindi – la possibilità di un leader e di una alternativa elettorale.

Ma forse sbaglio, e oggi basta un brillante twittarolo trentenne per rovesciare tutto, come avvenuto nel cambio di guardia tra Renzi e Di Maio.

Sorgente: Di Prodi e Landini, perimetri e gatti – Piovono rane – Blog – L’Espresso

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