Vediamo perché. La proposta Iezzi vuole introdurre un nuovo comma all’articolo 339 del codice penale, che elenca le circostanze aggravanti dei reati di resistenza, violenza o minaccia a un pubblico ufficiale o a un corpo dello Stato. Al momento le pene, che di base possono arrivare a sette anni, “sono aumentate” in modo generico dal primo comma “se la violenza o la minaccia è commessa nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico ovvero con armi, o da persona travisata, o da più persone riunite, o con scritto anonimo, o in modo simbolico“. Inoltre, in base al secondo comma, “se la violenza o la minaccia è commessa da più di cinque persone riunite, mediante uso di armi anche soltanto da parte di una di esse, ovvero da più di dieci persone, pur senza uso di armi”, il minimo diventa di tre anni e il massimo di 15. A queste aggravanti le emendamento ne aggiunge un’altra: “Se la violenza o minaccia è commessa al fine di impedire la realizzazione di un’opera pubblica o di un’infrastruttura strategica, la pena è aumentata da un terzo a due terzi”.
Insomma, se la proposta diventerà legge, chi protesterà in gruppo contro un’opera pubblica con manifestazioni simboliche, se queste verranno considerate “minacciose o violente”, rischierà fino a 25 anni di carcere (la pena massima del secondo comma aumentata di un terzo). Una mannaia che potrebbe calare facilmente su manifestazioni come quelle contro il Tav in Valsusa, il Ponte sullo Stretto, la nuova diga di Genova o i rigassificatori. Nella relazione tecnica all’emendamento, piuttosto tautologica, si legge che “la norma è volta a intercettare comportamenti violenti posti in essere nell’ambito delle manifestazioni di protesta per l’esecuzione di opere pubbliche o di infrastrutture di interesse strategico”. “Siamo in una vera emergenza democratica“, commenta il leader dei Verdi, annunciando “dura opposizione in Parlamento e nel Paese non solo in relazione a questa norma, ma anche contro chi sta devastando il territorio con opere dannose come il ponte sullo Stretto”.
Quello sulle manifestazioni contro le “grandi opere”, però, non è l’unico emendamento di stampo repressivo presentato da Iezzi. Un’altra proposta mira a considerare sempre responsabili del delitto di violenza privata (punito con la reclusione fino a quattro anni) i lavoratori che in occasione degli scioperi mettono in atto i cosiddetti picchetti, schierandosi all’ingresso delle aziende per ostacolare l’entrata dei colleghi. Spesso, infatti, i procedimenti aperti nei loro confronti finiscono in archiviazioni o assoluzioni, perché la norma punisce “chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa”: violenza e minaccia quasi sempre assenti nel comportamento di chi ostruisce gli ingressi delle fabbriche. La norma suggerita dalla Lega, invece, detta un’interpretazione autentica di segno opposto: “L’articolo 610 del codice penale deve interpretarsi nel senso che il reato di violenza privata ivi previsto si configura anche nel caso in cui una o più persone impediscano l’entrata o l’uscita da uno spazio aziendale ostruendone il transito con la sola interposizione dei propri corpi e la resistenza attiva o passiva opposta a chi intenda passare. Non costituisce esimente o scriminante il fatto che il detto comportamento sia tenuto per sostenere un’azione di sciopero”.