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Oggi, noi #tutticheamiamolaPalestina, non possiamo non ricordare RACHEL CORRIE, L’ATTIVISTA PRO-PALESTINA UCCISA DA UN BULLDOZER ISRAELIANO..
Lunghi capelli biondi, una kefiah bianca e nera, un giubbotto catarifrangente e un megafono tra le mani per urlare ancora più forte le sue ragioni.
La figura di Rachel Corrie anche in quel tragico 16 marzo del 2003 probabilmente si presentava in questo modo agli occhi delle Forze di Difesa Israeliane.
Siamo a Rafah, in uno dei campi profughi in cui vivono stipati migliaia di Palestinesi.
Rachel, appena ventitre anni, è una degli otto attivisti dell’International Solidarity Movement (ISM), che manifesta per impedire ai bulldozer di distruggere le abitazioni palestinesi che secondo le autorità israeliane hanno dato asilo ai terroristi o nascondono gallerie per il contrabbando di merci.
Era arrivata in Terra Santa in gennaio ed era rimasta scioccata dalla realtà che le si presentava dinnanzi ogni giorno. “Nessuna lettura, presenza a conferenze, visione di documentari e testimonianza diretta avrebbe potuto prepararmi per questa situazione. Non puoi immaginarla, a meno che non la vedi.”
Prima attivista per l’ambiente, poi volontaria nel sostegno domestico ai pazienti mentali, infine pacifista convinta, Rachel aveva aderito all’ISM e lavorava ad un progetto per gemellare Olympia e Rafah.
Era partita per la Palestina nel bel mezzo della Seconda Intifada perché sentiva che fosse suo dovere andare lì dove c’era più bisogno di lei.
Per questo aveva scelto. Rafah. Per questo Rachel era salita su un cumulo di detriti con il suo giubbotto catarifrangente, frapponendosi tra un bulldozer e una casa palestinese. Prima seduta e poi in piedi, la ragazza era infine scivolata lungo il pendio mentre uno dei due caterpillar utilizzati quel giorno avanzava verso di lei.
Il guidatore del veicolo testimoniò di non essersi accorto della sua presenza poiché era scivolata dalla sua visuale. Fatto sta che il bulldozer non si fermò davanti all’esile corpo di Rachel. La travolse coprendola di terra e poi facendo marcia indietro le ripassò sopra. Secondo Tom Dale, testimone oculare, tutti gli attivisti vedendo il caterpillar avanzare verso la ragazza si erano precipitati urlando all’autista di fermarsi, ma questi aveva lo stesso proseguito la sua corsa.
Sia l’esercito, sia la giustizia israeliana scagioneranno il guidatore, sostenendo che si era trattato di un incidente del tutto casuale provocato dall’atteggiamento irresponsabile che i manifestanti avevano messo in atto.
Di diverso avviso la famiglia e i compagni di Rachel, convinti che sia trattato di un atto volontario.
In una delle ultime mail alla madre aveva scritto.
“In passato ho scritto tanto sulla delusione di scoprire, in qualche misura direttamente, di quanta malignità siamo ancora capaci. Ma è giusto aggiungere, almeno di sfuggita, che sto anche scoprendo una forza straordinaria e una straordinaria capacità elementare dell’essere umano di mantenersi umano anche nelle circostanze più terribili.

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