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Guerra, chi ci guadagna? Sicuramente non i soldati che la guerra in genere sono costretti a farla e dove spesso muoiono. «I conti record dell’industria bellica», su Avvenire.
«Ancor più della corruzione, i conflitti sono capaci di concentrare i benefici in un’esigua minoranza e di ripartire i costi sul resto della società. Non in modo uniforme ovviamente», l’analisi critica dai dati Sipri, l’Istituto di Stoccolma per la pace.

Armi: profitto per pochi, distruzione per molti

Chi vince davvero le guerre? la domanda chiave da cui partire. A conti fatti, non vincono davvero neppure gli Stati che, alla fine, riescono a imporsi sui rivali. Il potere conquistato deve fare i conti con il fardello delle vittime e della ricostruzione, spesso non solo economica. Basta pensare a ciò che sta accadendo in Ucraina, guerra ancora senza fine, e alla sua futura ricostruzione che prima poi dovrà comunque avvenire.

Non è vero che in un conflitto perdono tutti

Alcuni – pochi – trionfano, con la guerra si ingrassano. E non è ingenuo pacifismo ma dettagliati conti economici. «Una lista esaustiva dei ‘grandi vincitori’ della ‘terza guerra mondiale a pezzetti’ – per parafrasare papa Francesco – dagli ultimi dati dello Stokholm international institute for peace», scrive Lucia Capuzzi.

 Sipri con i conti in mano

L’escalation in corso – dall’Ucraina a Gaza – ha portato a livelli record la spesa militare e i profitti dei colossi delle armi: 2.240 miliardi di dollari di spesa nel 2022, l’ultimo con rilevazioni ufficiali. Per la prima volta, gli investimenti europei hanno superato quelli dei tempi della Guerra fredda. La Russia di Putin peggio dell’Unione sovietica di Breznev? O qualcosa è cambiato anche in casa occidentale?

Le 15 ‘super armiere’, +76%

Le 15 maggiori aziende mondiali ‘per la difesa’, hanno visto schizzare il proprio portafoglio ordini a quota 777 miliardi di dollari, oltre 76 in più rispetto a due anni prima. E in due anni, sono stati investiti quasi mille miliardi di dollari in armamenti: il 2,2% del Pil mondiale. Con un F35 che costa come 3.244 letti in terapia intensiva, un sottomarino come 9.180 ambulanze. «E sono in alternativa»: o quelle super armi o la difesa della salute pubblica.

Peggio della corruzione (spesso a braccetto)

«Ancor più della corruzione, i conflitti sono capaci di concentrare i benefici per una esigua minoranza e di ripartire i costi sul resto della società». Non in modo uniforme ovviamente. La cronaca dal Medio Oriente e da Gaza parla per tutti. Bambini, donne, anziani, minoranza, poveri, disabili – i gruppi sociali con meno risorse – pagano un prezzo tragicamente più alto. Perdite indirette di vario tipo, dai danni ambientali alle ricadute sul commercio globale che ricadono a cascata anche su quanti risiedono a migliaia di chilometri dal teatro bellico.

Tra il giusto e il conveniente

Guerre quasi sempre ingiuste ma sempre convenienti, almeno per qualcuno. Quelli in grado di condizionare il dibattito pubblico, facendo apparire lo scontro armato come inevitabile e la sola alternativa. In realtà è una delle scelte possibili, non l’unica. «E non si tratta di aspirazioni ingenue di qualche benintenzionato. Fra i primi a sostenerlo – e a puntare il dito verso il ‘complesso militare industriale’ –, è stato il presidente Usa Dwight Eisenhower».

Soluzioni non violente, ‘regola del 3.5%’

Esistono studi accademici sull’efficacia delle soluzioni nonviolente. La politologa di Harvard Erica Chenoweth – solo per fare un esempio illustre – ha coniato, sulla base di centinaia di analisi empiriche, la regola del 3.5 per cento: nessuna mobilitazione disarmata è mai fallita quando ha riunito il 3,5 per cento della popolazione in modo continuativo. Non solo quella dei grandi movimenti nonviolenti, a cominciare dalla rivolta pacifica contro il maggior impero coloniale dell’epoca guidata dal Mahatma Gandhi.

Agire, non subire

Troppo spesso il rifiuto delle armi è associato all’inerzia o, peggio, alla resa, annota il quotidiano dei vescovi italiani. Al contrario, ci vuole impegno, ostinazione, coraggio. Evocato un improbabile coraggio da parte del mondo finanziario per rifiutare i profitti dell’industria delle armi. E il coraggio da parte della politica internazionale per dare seguito alla proposta di impiegare il denaro delle spese militari per costituire un Fondo mondiale per lo sviluppo dei Paesi più poveri. «La pace è una scelta. Incompatibile con il business delle armi», conclude Avvenire.

Come sarebbe bello poterci credere

Dubbio da parte di chi, come noi, cerca di occuparsi delle vicende internazionali ed è costretto ad inseguire troppe guerre non per colpa sua. Sentimenti nobili quelli di cui vi abbiamo raccontato. E credenti o meno, a noi Papa Francesco piace. Ma vi viene in mente un solo esponente politico di un minimo di rilievo in Europa e nell’occidente, di cattolici a rosario esibito in tv come bandiera, da cui avete sentito discorsi minimamenti vicini a quelle idealità di cui sopra?

 

Sorgente: La sorte dispari tra chi nella guerra muore e chi invece ci si ingrassa –

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