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La condizione di progressiva alienazione dell’Europa dalla realtà, si trova oggi conficcata in una ragnatela di impossibilità pratiche e culturali basate su una sostanziale nevrosi da negazione del tempo e del mondo circostante.

Europa nel dramma della realtà

– Pierluigi Fagan*

Europa ed USA si trovano su linee divergenti di condizione, prospettiva e tradizione.  Ma se gli Stati Uniti fanno o tentano di fare la realtà in molti modi, l’Europa è semplicemente in fuga dal reale.

Cosa è successo, cosa sta succedendo, cosa del reale spaventa irrimediabilmente l’Europa, perché sembra che improvvisamente ci troviamo assediati da “difficoltà insormontabili”? tanto da fuggire da ogni consapevolezza in maniera tanto più patologica tanto più avanzano le contrarietà degli eventi?

1. PROSPETTIVA INTERROTTA. Una prospettiva è una proiezione nel tempo della continuità dell’esistente. L’essenza della prospettiva è la prevedibilità. Per almeno sessantacinque anni (1945-2010), la società europea ha vissuto in un ordinamento sociale sufficientemente stabile e funzionante basato su una sostanziale affidabilità e costanza degli indici di crescita economica, una tendenza continuata allo sviluppo, il che per una società basata sul gioco economico e suoi vantaggi sociali è stata sicuramente una ottima intonazione di prospettiva.

Per decenni, questo ha tenuto in sufficiente equilibrio i rapporti tra lavoro e vita personale, individuale e sociale, in un quadro di sostanziale tenuta e prevedibilità. Dagli impeti consumo-sviluppisti anni ’50-60, alla loro critica anni ’70, al rilancio edonistico anni ’80, ai trionfi o supposti tali del modello fine della storia sfociante in un globalismo ingenuo anni ’90 si è poi finiti in un decennio iniziato con l’11/09 e terminato con gli effetti dello scoppio di una gigantesca bolla di valore finanziario che qui in Europa (non essendo il luogo in cui s’era prodotta e quindi in gran parte ignari della sua natura, natura nuova inquadrata tra gli altri dal concetto di “finanzcapitalismo” da L. Gallino, 2011 anche con un vistoso ritardo rispetto al fenomeno) non si è gestita affatto a differenza degli americani. Anzi, la si è gestita con terapia di logica di ciclo economico (austerity), quando di per sé era un fenomeno di tutt’altra natura (finanziaria).

Del resto, gli USA sono uno Stato, EU è un mercato di Stati differenti. In questa torsione alla “finanziarizzazione”, le nuove ricchezze determinano diseguaglianze sociali inarrivabili e l’ulteriore crisi ontologica di quella cosa che chiamano “democrazia” ne è ovvia conseguenza. Europa ha perso progressivamente il suo ordine sociale, economico e politico portante degli ultimi sessanta anni, goccia a goccia, pezzo a pezzo, nodo per nodo, come un sistema che ha smesso di reagire al suo circostante.

Con l’implosione sovietica, l’intera tradizione di pensiero di “sinistra”, storico frattale coordinato dell’insieme che diciamo “Europa”, crolla in un silenzioso dissipamento verso le regioni più gelide e poco frequentate del pensiero sempre più alieno all’azione, scompare per sfarinamento ideologico, si disintegra mostrando incapacità intrinseca di riflessione anche e soprattutto su sé stessa. L’XI Tesi voleva cambiare il mondo, il mondo è cambiato ma ci è sfuggito di mano.

In un’altra inquadratura della stessa condizione, negli ultimi venti anni, i rilievi sociosanitari di base (OMS 2022), dicono di una vera e propria epidemia di depressione e vari tipi di malinconia, accompagnati da un sovra-consumo farmaceutico e varie patologie mentali. Il fenomeno Covid con un +25% di picco delle patologie ne è solo il culmine accidentale, l’intonazione di fondo era pregressa.

Questo piano dell’esistenza è ritenuto strettamente privato ed è negato dalla fabbrica dell’immaginario pubblico. Pubblicità, cinema, internet, discorso pubblico, non hanno alcuna apertura a riflettere questi progressivi stati di incertezza umana, l’ansia, la paura, la mancanza di senso, la solitudine affollata, infelicità senza desideri, la precarietà dilagante. Alla natura corrosiva del problema psicosociale, si aggiungono gli effetti del non riconoscimento e possibile condivisione dello stesso.

La contraddizione, la “coscienza” del problema, è repressa poiché inammissibile ai fini della prorogabilità di questo sempre più sbilenco sistema. Gli è negata condivisione sociale, quindi è confinata sempre più negli angusti limiti individuali che non possono che subirla in silenzio e financo negandone l’evidenza per totale incapacità e possibilità stessa ad affrontarla.

2. CONTRAZIONE DEMOGRAFICA. Naturalmente, nessuno “sente” sulla pelle condizione ed andamento demografico che è un mero indicatore statistico, tuttavia il fatto sociale c’è. Da almeno la fine degli anni Sessanta, le società abbienti (circa 50 su 200 nel mondo) risultano al contempo le più ricche, sviluppate e progressivamente infertili, ben sotto l’indice di sostituzione, quindi in contrazione relativa.

Società che si contraggono certo non crescono sul piano economico al di là delle dinamiche intrinseche dell’andamento economico in quanto tale. Altresì, rivelano strappi e buchi di funzionalità interna (lavori meno pagati o gratificanti o di forza, sbilancio contributi spesa sociale e pensionistica) che si cerca di compensare importando demografia in esubero da vicini di altre civiltà che di contro, rispetto alla loro condizione, continuano a coltivare il loro “sogno europeo”.

Ma non ci sono solo effetti economici e sociali, ce ne sono anche di culturali, la società e la sua intonazione psichica invecchia e va alle prese con problemi pratici di convivenza con altri sistemi culturali forti (islam, africanità). Il nuovo e l’anziano sono stati divergenti in essenza.

Da segnalare che, storicamente, nessuno s’è mai dovuto occupare, prima di oggi, della fine della crescita naturale della popolazione, trattasi di inedito storico, quindi culturale.

Tra questioni di riequilibrio dei ruoli famigliari nei rapporti di coppia, al rapporto tra felicità individuale immediata e costruzione di progetti famigliari, alle rese delle pratiche sessuali sempre più invitate alla libera esplorazione, al peso di prender impegni in una società che altresì richiede improvvisa piena disponibilità a singhiozzo, alla conciliazione lavoro-cura, a questioni meramente tecniche (asili, carriera, lavoro, etc.), alle questioni del supporto pubblico e spesa sociale, sostenibilità economica e precarietà/prevedibilità, la questione riproduttiva investe tipi di società molto varie (sebbene, come detto, tutte affluenti), ma quella europea sembra quella che ne ha risentito prima e ne risente più di ogni altra.

Sorgente: Il più grande problema dell’Europa? La realtà – Kulturjam

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