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Lo sappiamo tutti che la rivoluzione neolitica è iniziata circa 10.000 anni fa, alla fine dell’ultima glaciazione. Consisteva nella transizione dalla caccia e raccolta all’agricoltura e allevamento.
Non avvenne in tutto il pianeta, ma solo in alcune sue aree, quelle nei pressi dei grandi fiumi, prive di foreste, paludose a causa delle ricorrenti esondazioni, e quindi poco o nulla abitabili dagli umani.
Uno può pensare che la disgrazia del genere umano sia correlata a quella rivoluzione, ma sarebbe un errore. Infatti, perché nascessero le prime civiltà schiavistiche, occorsero altri 4.000 anni. Finché agricoltura e allevamento sono state attività gestite in maniera collettiva, non hanno costituito un problema per la sopravvivenza del genere umano e della natura; anzi, sembravano l’unica soluzione possibile per quelle popolazioni uscite dalle foreste.
Certo, uno può pensare che senza quelle nuove attività non avrebbe mai potuto nascere lo schiavismo. Questo perché quelle attività creavano ricchezza (il cibo era più abbondante e sicuro). Ma resta il fatto che le prime civiltà schiavistiche (lungo per es. il Nilo, il Tigri, l’Eufrate ecc.) risalgono a circa 6.000 anni fa.
Il vero problema è che da allora non ce ne siamo più liberati. Infatti dallo schiavismo siamo passati al servaggio e da questo al capitalismo (privato e statale). Ogni volta si era convinti d’aver risolto i problemi della civiltà precedente. Anche col socialismo statale di marca sovietica si è pensato di aver superato le contraddizioni del capitalismo, ma è stato un fallimento. Oggi si pensa di farlo col socialismo mercantile di marca cinese, ma sarà inevitabilmente un altro fallimento.
C’è qualcosa di fondamentale che non funziona. Questo qualcosa è il rapporto con la natura. Con caccia e raccolta non si “sfrutta” la natura; con agricoltura e allevamento sì. E quando questo sfruttamento diventa intensivo, le risorse diminuiscono: non ce ne sono abbastanza per tutta la popolazione, che nel frattempo è cresciuta parecchio (2.000 anni fa la popolazione dell’intero pianeta aveva raggiunto soltanto i 200 milioni di abitanti).
Agricoltura e allevamento ci avevano abituato a un benessere inaspettato, ci avevano fatto superare la precarietà di una vita al di fuori della foresta. Il venir meno di certe sicurezze ha inciso sui rapporti tra agricoltori e allevatori, tra stanzialità e nomadismo. Le leggende parlano chiaro: l’agricoltore Caino uccide l’allevatore Abele; lo stesso con Romolo e Remo, ecc.
Lo schiavismo è legato soprattutto all’agricoltura. Le prime città sorgono là dove l’agricoltura è intensiva. Un’agricoltura del genere confligge coi grandi allevamenti di ovini, caprini, bovini… che hanno bisogno di spazi aperti, non soggetti a privatizzazione.
Quando ci si specializza in una particolare attività economica, e non c’è spazio per tutti, cominciano a sorgere problemi seri. Infatti la natura, finché ci si limita a sfruttarla in superficie, più di tanto non può dare.
I nativi nordamericani non erano né agricoltori né allevatori, a differenza degli abitanti delle tre civiltà schiavistiche dell’altra parte del continente: inca, maya e azteca. Erano cacciatori e seguivano lo spostamento periodico, spontaneo, delle mandrie di bisonti. Quando si scontrarono con gli europei, agricoltori e allevatori intensivi, la loro sorte fu segnata.
Noi abbiamo iniziato a parlare di “progresso” quando l’agricoltura non solo ha eliminato la caccia e la raccolta spontanea dei frutti della natura, ma anche quando ha eliminato il potere degli allevatori nomadi. A tutt’oggi i 3/4 dell’alimentazione mondiale dipendono da appena 12 specie vegetali e 5 specie animali.
Stanzialità, agricoltura intensiva e urbanizzazione hanno posto le basi per la nascita dello schiavismo, cioè per la progressiva deforestazione e desertificazione del pianeta (che attualmente colpisce 1/3 di tutte le terre emerse).
La dimensione delle risorse, a fronte di una popolazione sempre maggiore, ha indotto a cercare mezzi sempre più sofisticati per cercare di ottenerle, ma si tratta di mezzi del tutto innaturali, frutto di sperimentazioni tecnico-scientifiche.
Oggi la violenza sulla natura si è estesa all’intero pianeta. Di tanto in tanto gli esseri umani, per ottenere lo sfruttamento esclusivo delle ultime risorse rimaste, sono disposti a sterminarsi a vicenda. Ma anche dopo averlo fatto, si continua ad avere nei confronti della natura lo stesso atteggiamento violento di sempre.
L’antropizzazione della natura è diventata così forte che non conosciamo più la differenza tra naturale e artificiale. Ancora oggi pensiamo che le foreste, nel migliore dei casi, vanno tutelate perché offrono ossigeno. Si è dimenticato completamente che per milioni di anni esse hanno garantito la vita.

Sorgente: INDYMEDIA ITALIA | Facebook

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