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Negoziazioni e mediazioni da una capitale all’altra mentre si allarga lo scontro all’interno di Israele. Ma ora, dopo aver consesso tutto e troppo, gli USA vogliono garanzie scritte da parte d’Israele circa l’uso delle loro armi. Biden che sulla condiscendenza con la destra teocratica e suprematista israeliana di sta giocando la presidenza, prova timidamente a rimediare, anche se insiste a mettere il veto alle risoluzioni Onu di condanna, isolandosi nel mondo.

Un severo Eric Salerno che cita il New York Times. «Con gli occhi spalancati, Israele sta camminando ciecamente verso la creazione di uno stato bi-nazionale… l’apartheid…». Nuovi insediamenti in Cisgiordania nascono ogni giorno. Piani per altri devono essere approvati e finanziati. E lo scontro tra ebrei laici e messianici si fa più evidente, sia a Gerusalemme che in Cisgiordania.

‘Possiamo fare lanci umanitari?

«Gli Stati Uniti faranno lanci aerei di aiuti umanitari agli abitanti di Gaza se l’aeronautica israeliana accetta gentilmente di non abbattere gli aerei americani sopra Gaza». La frase è molto più di una battuta.

Israele in guerra col mondo

La guerra tra Hamas e Israele è diventata ormai anche una guerra di parole e azioni, non militari, tra il presidente degli Stati Uniti e il premier israeliano. Robert Ford, l’ex ambasciatore degli Stati Uniti in Algeria e Siria ha scritto in un post sui social media che «a parte un raid aereo israeliano del 1967 sulla USS Liberty, che ha ucciso 34 membri dell’equipaggio americano, costringere gli Stati Uniti a fare lanci di aiuti a Gaza sabato sono stati la peggiore umiliazione israeliana degli Stati Uniti che abbia visto».

Biden umiliato, ma sino a quando?

Biden, quasi in ginocchio, chiede a Netanyahu, leader del paese che forse è il maggiore alleato e beneficiario degli aiuti economici e militari USA, di fermare il massacro dei palestinesi di Gaza e riceve raffica dopo raffica di no, blindati da un pubblico, americano, non solo del Partito Democratico, che appare incerto e confuso. La prossima settimana ha inizio la festa del Ramadan, uno dei momenti più importanti del calendario islamico, e pochi giorni prima, il 7 marzo, i calendari segneranno cinque mesi dal feroce attacco di Hamas a Israele e dall’inizio della distruzione della ‘striscia’ di Gaza. E della sua popolazione.

Chi racconta più frottole

Le agenzie di stampa, radio e TV di mezzo mondo, aggiornano continuamente il conto alla rovescia. Tregua o no? Rilascio degli ostaggi in cambio di prigionieri stipati nelle carceri israeliane? Washington dice che Israele ha accettato le condizioni e che ora sta alla leadership di Hamas decidere, ma non sarebbe vero. Ci sono ancora distanze notevoli tra le posizioni negoziali dei due contendenti. Hamas vuole la fine della guerra, non una tregua limitata. Israele, come continua a ripetere Netanyahu e anche il suo ministro della difesa, vogliono una pausa di sei settimane al massimo nei combattimenti per poter, sostengono, eliminare fisicamente militanti e leadership di Hamas.

E il ‘governo di guerra’ va in frantumi

Negoziazioni e mediazioni saltano da una capitale all’altra mentre oltre allo scontro tra Netanyahu e Biden, si allarga lo scontro all’interno di Israele, dove, ricordiamo, oltre ai ministri eletti ci sono altri nominati provvisoriamente a ottobre. Il ministro della guerra, Benny Gantz, vecchio antagonista di Netanyahu, è considerato suo probabile successore se si dovesse tornare alle urne. Ieri, senza chiedere il permesso come avrebbe dovuto, ha fatto sapere che va a Washington e poi a Londra. Netanyahu, dicono i suoi collaboratori, ‘è furioso’ e ha ‘chiarito al ministro Gantz che lo Stato di Israele ha un solo primo ministro’.

‘Israele Stato binazionale dell’apartheid’

«La posizione di Israele nel mondo si sta erodendo e la sua legittimità si sta corrodendo rapidamente – non solo nel Sud globale, nell’Europa occidentale liberale o nei campus statunitensi, ma in luoghi come l’India», ha sottolineato un noto editorialista del quotidiano israeliano Haaretz parafrasando un commento sul New York Times. «Con gli occhi spalancati, Israele sta camminando ciecamente verso la creazione di uno stato bi-nazionale… Israele si avvicinerà apertamente all’apartheid…». Nuovi insediamenti in Cisgiordania nascono ogni giorno. Piani per altri devono essere approvati e finanziati. Lo scontro tra ebrei laici e messianici si fa più evidente, sia a Gerusalemme che in Cisgiordania.

E nel resto del mondo occidentale è in corso un altro conflitto attorno ai fatti di Gaza: il termine genocidio è corretto o no? Non credo che importi molto ai trentamila morti palestinesi della striscia, agli oltre centomila feriti, ai bambini senza più braccia, gambe, alle donne che hanno perso i loro figli, agli uomini che come loro non hanno futuro.
Daniel Hagari inside a tunnel

Ultim’ora. Ondata di dimissioni tra i portavoce dell’esercito

Il numero due dell’unità di portavoce delle Forze di difesa israeliane (Idf), il tenente colonnello Daniel Hagari, e un gran numero di alti funzionari del sistema informativo delle Idf hanno annunciato le loro dimissioni: lo riporta l’emittente israeliana Channel 14. Fonti di Channel 14 affermano che le dimissioni sono dovute a questioni ‘professionali e personali’. L’emittente da parte sua definisce “insolita” un’uscita dall’esercito di tale portata nel pieno di una guerra in corso. Oltre ad Hagari le dimissioni riguarderebbero anche l’altro tenente colonnello Richard Hecht, portavoce delle Idf per i media esteri. Tra gli altri, Channel 14 fa poi i nomi degli ufficiali Merav Granot e Tzupia Moshkovich. 

Sorgente: Biden-Netanyahu a rischio forse ora litigano su serio. Israele verso l’apartheid –

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