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Il governo Meloni lo ha promesso: in Italia devono sbarcare meno migranti possibile. I numeri con cui ci stiamo confrontando sono questi: nel 2022 105.131 arrivi, nel 2023 157.651 e al 20 marzo 2024 sono 8.629 (qui), poco meno della metà rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

Questo calo con ogni probabilità è frutto del Memorandum d’intesa con la Tunisia del 16 luglio 2023 (qui), con cui l’Ue dà al Presidente Kaïs Saïed105 milioni di euro per il controllo delle frontiere. Il progetto è quello di dirottare gli sbarchi dall’Italia all’Albania, con cui il 6 novembre 2023 viene firmato un Protocollo per costruire a nostre spese due strutture: una per le procedure di sbarco e di identificazione nel porto di Shengjin, l’altra, su un’area di 77 mila mq a Gjadër, dove i migranti staranno in «stato di trattenimento» sul modello Cpr (qui art. 7 bis), in attesa di approvazione della domanda di asilo o del provvedimento di espulsione. Sono a carico delle autorità italiane le misure necessarie ad assicurare la permanenza dei migranti all’interno delle aree, impedendone l’uscita sia durante le procedure amministrative sia al loro termine. Vediamo come funziona l’accordo che ha una durata di 5 anni, ed eventualmente rinnovabile.
Chi va dove: come funziona lo smistamento

Lo smistamento avviene in acque internazionali in concomitanza al salvataggio da parte dei mezzi di soccorso italiani (e non delle Ong) (qui). In Albania vengono portati solo maschi adulti provenienti da Paesi considerati sicuri (come Tunisia, Marocco e Algeria, qui la lista completa) L’ipotesi è di disporre i nostri assetti navali in mezzo al mare dove separare i minori, le donne e gli anziani, che sbarcheranno in Italia poiché per legge non possono andare nei centri albanesi(qui art. 2). Uno smistamento complicato da fare in mezzo al mare, visto che i migranti viaggiano senza documenti.

Le video-udienze in collegamento con Roma

Una volta condotti nei centri ubicati al porto di Shengjin e poi a Gjadër, dove la capienza massima è di 3 mila migranti (qui art. 4), si procederà all’identificazione e definizione dello status da parte delle nuove Commissioni territoriali. I tempi sono quelli previsti dalle nuove «procedure accelerate di frontiera» entrate in vigore il 6 maggio 2023 con il decreto Cutro (qui art. 7 bis): 28 giorni per l’identificazione e la verifica dei requisiti per l’asilo. Entrando nel dettaglio: la decisione per il riconoscimento della protezione internazionale dovrà essere presa entro 7 giorni, tramite video-udienze in collegamento da Roma; in caso di diniego il richiedente potrà presentare ricorso entro i successivi 14; ed entro altri 7 giorni il giudice dovrà decidere se accogliere o respingere. A quel punto chi ha diritto all’asilo entra in Italia regolarmente; per tutti gli altri deve essere effettuato il rimpatrio, che avverrà comunque dall’Italia. Quindi – è il ragionamento della premier Giorgia Meloni – «ogni mese 3 mila entrano e 3 mila escono, pertanto in Albania possono essere gestiti 36 mila migranti l’anno» (qui). Un auspicio difficilmente praticabile.

Le «porte girevoli» che li riportano in Italia

Recita l’articolo 4 del Protocollo (qui): «Il limite temporale di permanenza del singolo migrante non potrà mai essere superiore al tempo strettamente necessario a espletare le procedure di accertamento dei requisiti per l’ingresso e soggiorno in Italia e, nei casi previsti, le procedure di rimpatrio». Cosa vuol dire? Che se ogni mese 3 mila migranti escono dai centri albanesi e tornano in Italia, e fra loro mille hanno ottenuto il diritto di asilo, gli altri 2mila sono da rimpatriare. E’ qui che la porta girevole si inceppa. Siccome per queste operazioni ci vuole un accordo con il Paese d’origine, mediamente ogni mese ne rimpatriamo 400. E infatti nel 2023, su 150 mila arrivi, ne abbiamo riportati a casa 4.753 (vedi Dataroom del marzo 2019).

Significa che tutti gli altri dovranno stare fino a 18 mesi nei Cpr italiani, dove in totale i posti disponibili sulla carta sono 1.359, ma nella realtà sono meno a causa dei lavori di ristrutturazione in corso, per esempio a Torino e Trapani (qui pag. 53); mentre i nuovi posti annunciati dal governo non sono pronti (qui). Poi trascorsi i 18 mesi, chi non si riesce a rimpatriare torna a piede libero e diventa clandestino.
L’alternativa fa acqua

L’alternativa è lasciare nei centri di detenzione albanesi chi è in attesa di espulsione, e in assenza di nuovi accordi, riportare in Italia quelle poche centinaia rimpatriabili. In tal caso però non si liberano posti nei centri di Shengjin/Gjadër , e allora il numero di migranti accolti si allontana parecchio dagli annunciati 36 mila l’anno. Comunque alla fine la storia è sempre la stessa: passati 18 mesi i migranti che non si è riusciti a espellere devono essere riportati in Italia e a piede libero.

I conti senza l’oste

Questo andirivieni deve anche fare i conti con la Corte di giustizia europea che dovrà decidere se il «trattenimento» previsto dalle «procedure accelerate di frontiera» del decreto Cutro (evitabile solo se il migrante versa 5 mila euro di cauzione) è in linea con i diritti umani salvaguardati dalle norme europee. La decisione arriverà a tempo debito, verosimilmente non prima di un anno. Sarebbe un azzardo portare nel frattempo dei migranti in Albania perché c’è la possibilità che i giudici (la competenza è della sezione specializzata del Tribunale di Roma) possano non convalidare il trattenimento entro le 48 ore previste, come già hanno fatto in Italia. E a Shengjin/Gjadër i migranti non possono girare a piede libero. Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi va comunque avanti: «Nelle more del giudizio siamo disponibili a rivedere la norma sulla cauzione per i migranti che ci pare l’unico dubbio sollevato. Il crono programma procede e il nostro genio civile come i vigili del fuoco sono già al lavoro per una rapida realizzazione dei centri». Ma quanto ci costa questo giro per il Mediterraneo?

I costi: 653 milioni di euro

Tra costruzione, gestione e apparati telematici le due strutture costeranno quasi 69 milioni di euro: «Poiché sono frequenti i casi di blackout, è necessario dotare l’area di gruppi elettrogeni – si legge nella relazione tecnica che accompagna il Protocollo –. Poiché sono frequenti i casi, soprattutto nei mesi estivi, di sospensione delle forniture idriche, è necessario dotare l’area di serbatoi di accumulo; l’intera zona non è dotata di fogna pubblica; pertanto, per lo scarico delle acque nere è necessario realizzare un serbatoio di accumulo di idonea capacità da svuotare periodicamente con autospurgo; serve inoltre il collegamento per la rete telefonica e la rete Internet». Altri 25 milioni ci vogliono per la struttura penitenziaria. All’Albania dobbiamo dare 94 milioni per la sorveglianza esterna: la giurisdizione sarà italiana, ma Edi Rama collaborerà con le sue forze di polizia per la sicurezza fuori dalle strutture. Per il viaggio, la diaria, il vitto e alloggio degli uomini dell’Arma dei Carabinieri, della Polizia di Stato e della Guardia di Finanza, i costi in più sono di 260 milioni e 200 mila euro. Per le 5 nuove commissioni territoriali che dovranno esprimersi sul diritto di asilo: 17 milioni e 970 mila. Per 152 nuove assunzioni tra funzionari del ministero dell’Interno e della Giustizia, magistrati, giudici di pace e dirigenti sanitari 42 milioni 507.739. Per l’affitto delle aule a Roma per le video-udienze, luce e riscaldamento 2 milioni e 920 mila euro.

Per costruire e allestire 20 aule per le udienze in Albania e per i collegamenti telematici dall’Italia dei difensori 8 milioni 730 mila. Spese di viaggio per avvocati e interpreti 29 milioni 160 mila. «Al termine delle procedure di accertamento – dice l’articolo 9 del Protocollo – le autorità italiane provvedono, a proprie spese, all’allontanamento dei migranti dal territorio albanese» (qui). Ovvero li riportano in Italia, e la spesa di noleggio navi, mezzi ed equipaggiamenti è di altri 104 milioni. Costi totali in cinque anni: 653,5 milioni di euro.

Sorgente: Accordo Italia-Albania: uno spot da 650 milioni | Milena Gabanelli- Corriere.it

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