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L’agenzia di rating Moody’s ha declassato Israele e la sua affidabilità creditizia prevedendo scenari finanziari sfavorevole, e prospettive negative. Significa che la guerra sta mettendo in ginocchio l’economia del Paese.
Netanyahu con l’elmetto nega: «tutto deriva dal fatto che siamo in guerra. Il rating tornerà a posto non appena vinceremo. E lo faremo».
Per altri, invece, nello Stato ebraico, il giudizio di Moody’s è una sirena d’allarme da non sottovalutare.

Haaretz, il noto quotidiano di Tel Aviv, tra i più duri: «Ogni parola della risposta di Netanyahu – scrive – è una dissimulazione criminale. Innanzitutto, la decisione di Moody’s non si riferisce solo al fatto che è in corso un conflitto, ma anche al modo in cui questo viene condotto e al modo in cui viene gestita l’economia». Insomma, la guerra da sola non basta a giustificare le cifre dello scasso. Ma, soprattutto, secondo la società di rating, ciò che appare più inquietante in tutta la vicenda, relativa al ‘sistema-paese’ israeliano, è la palese mancanza di una seria prospettiva geopolitica di lungo periodo. In sostanza, più della stessa guerra, nel giudizio di Moody’s, pesa il ‘day after’. Che nel dibattito (e nelle carte) del governo israeliano non compare mai all’orizzonte.

Dopoguerra ignoto oltre la propaganda

Durissimo, anche qui, il commento di Haaretz, che suona come una pesante critica per l’attuale establishment ebraico. Il giornale sostiene che colpisce l’assenza di una soluzione a lungo termine, per la crisi di Gaza. «In altre parole – scrive – i rappresentanti di Moody’s hanno parlato con gli alti decisori israeliani, prima di giungere alla triste conclusione che queste persone non avevano un’altra soluzione sostenibile, oltre ai cerotti». Ed è a questo punto, proprio partendo da premesse squisitamente politiche, per spiegare la natura della sua prognosi economica, che l’analisi di Moody’s si fa non solo severa ma anche preoccupante.

Grave rischio politico per Israele

«Il conflitto militare in corso contro Hamas, le sue conseguenze e le ricadute più ampie aumentano materialmente il rischio politico per Israele, così come indeboliscono le sue istituzioni esecutive e legislative e la sua forza fiscale, per il prossimo futuro».

Guerra nascondi tutto, ma dopo?

Quando si parla di ‘rating’, qualsiasi chiacchiera viene messa a tacere dai numeri. I conti saranno aridi, ma dicono la verità e non possono essere né nascosti e nemmeno sottovalutati. Dunque, quest’anno Israele avrà un deficit su Pil del 6,6% (sempre che gli vada bene) e la necessità di aumentare le tasse. O di diminuire le spese. Ma siccome la spesa militare sta diventando gigantesca, nonostante il fiume di dollari americani che arriva tutti i giorni, evidentemente bisognerà tagliare nei settori ‘sociali’. Infatti, con il ‘declassamento’, gli interessi sul debito costeranno molto di più. Per cui, sarà difficile finanziare altra spesa con massicce emissioni di titoli di Stato.

Detto in parole povere, non si può continuare a farsi prestare soldi solo per pagare, in gran parte, i vecchi debiti. È un cane che si morde la coda. Una situazione di questo tipo avrà sicuramente, prima o dopo, gravi ripercussioni sociopolitiche e, quindi, elettorali.

Contro Moody’s a colpi di Bibbia

Con la scusa della guerra si stringe la cinghia, ma quando l’operazione militare israeliana sarà finita non ci saranno più scuse per spiegare l’aumento del deficit. Letteralmente inferocita la reazione del Ministro delle Finanze, il duro estremista Bezalel Smotrich, che alle valutazioni macroeconomiche di Moody’s oppone la forza della Bibbia. Smotrich, che è un sostenitore della guerra ad oltranza e dell’adozione di misure molto drastiche per l’ordine nel Paese, così si è espresso: «La nostra forza nazionale, di sicurezza, sociale ed economica, non deriva da come il mondo ci giudica, ma da una profonda fede nella rettitudine del nostro cammino. Che si basa su un glorioso passato di migliaia di anni, e sull’impegno per un futuro ancora più glorioso».

Atto di fede e di irresponsabilità

Più che un programma di riforme fiscali e di bilancio, una vera e propria omelia. Non dice, per esempio, dove il governo Netanyahu troverà i soldi per cercare di arginare un deficit di bilancio che si aggira sul trilione di shekel, cioè circa 300 miliardi di dollari. Secondo Haaretz, gli specialisti finanziari di Moody’s hanno lavorato per oltre tre mesi, in contatto con le autorità di Tel Aviv, per approfondire il quadro di crisi dello Stato ebraico.

Adesso, si teme che anche gli altri grossi controllori internazionali dell’affidabilità del debito, cioè ‘Fitch’ e ‘Standard and Poor’s’, possano aggiungersi nel degradare la posizione di Israele. Sarebbe un altro colpo inferto dalle politiche del governo Netanyahu, all’immagine di un Paese che, fino a pochi anni fa, era ritenuto almeno finanziariamente ‘virtuoso’.

Sorgente: Problemi interni di Israele: dopoguerra ignoto con rischio crack economico –

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