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Un sondaggio pubblicato martedì dall’Israel Democracy Institute, un think tank di Tel Aviv, ha rilevato che il 59% degli ebrei israeliani si oppone alla creazione di uno stato palestinese come parte di un accordo per porre fine alla guerra tra Israele e gli islamici di Hamas. Lettura dei fatti dei Eric Salerno, con occhio ebraico di cultura politica europea occidentale.

La forza che ha ancora Netanyahu

Questo dato dovrebbe essere sufficiente per capire che i negoziati multilaterali per mettere fine al massacro della popolazione di Gaza da parte di Israele, sul futuro della striscia e anche della Cisgiordania occupata e, va sempre ricordato, di Gerusalemme Est, territorio occupato – dove proprio ieri il nuovo, molto discusso, il presidente argentino ha detto a Netanyahu che vuole trasferire l’ambasciata del suo paese – sono soprattutto una maratona della diplomazia, tragica e orribile, per cercare di evitare un conflitto più vasto.

Biden e le varie assenze

Uno dei suoi protagonisti più importanti è ovviamente il presidente americano Biden che proprio ieri, parlando in televisione, non è riuscito a ricordare il nome dell’organizzazione che ha scatenato la guerra con il suo attacco a Israele del 7 ottobre. «C’è del movimento e non voglio, non voglio… beh, forse devo scegliere bene le mie parole. C’è del movimento, c’è stata una risposta da… c’è stata una risposta da parte dell’opposizione…». ‘Hamas?’, è intervenuto un giornalista cercando di aiutare il presidente visibilmente imbarazzato e in difficoltà. «Sì… da parte di Hamas”, ha detto Biden. «Ma sembra un po’ esagerato. Non siamo sicuri di dove sia. C’è una trattativa in corso in questo momento».

Negoziare con chi e su cosa?

Della necessità di negoziare ancora ha insistito il segretario di stato Blinken arrivando in Israele dopo aver fatto l’ennesimo giro del Medio Oriente e dopo aver sentito dal reggente al trono saudita che eventuali relazioni diplomatiche tra il suo paese e Israele restano legate alla creazione di uno stato palestinese a fianco di Israele. Su questo punto Netanyahu risponde con un netto rifiuto. E come abbiamo visto dal sondaggio israeliano, la maggioranza degli israeliani concorda con lui anche se, non necessariamente lo sostiene in materia di politica interna.

Fin dall’altra sera, agenzie di stampa e televisioni avevano già registrato alcune voci che a nome del governo israeliano facevano fatto capire che ci voleva molto lavoro ancora per cercare di avvicinare le posizioni di Hamas e di Israele.

Casa Bianca tra Israele e mondo

La Casa bianca continua a incassare critiche e protestare negli Usa e presso gli alleati americani, per la sua politica ambigua nei confronti del conflitto e di Israele ed è probabilmente per questo che Blinken ha voluto prendere le distanze da Israele. Si è detto preoccupato per i disastrosi effetti che avrà sulla popolazione civile palestinese la nuova operazione militare e di averne parlato con il premier israeliano e con il ministro della Difesa Yoav Gallant. Come era prevedibile, le richieste di Hamas, che includono una cessate il fuoco di quattro mesi e mezzo e la definitiva cessazione delle ostilità, sono state rapidamente e formalmente respinte da Netanyahu.

No di Netanyahu e i ‘forse’ in tre fasi

No, al rilascio di centinaia di terroristi dalle carceri israeliane, no al ritiro completo delle forze israeliane da Gaza, insiste Natanyahu. Ma del piano presentato da Hamas delle tre fasi si continuerà a discutere al Cairo. La prima fase include il rilascio di ostaggi a Gaza -donne e bambini sotto i 19 anni non arruolati nell’esercito israeliano, anziani e malati-, in cambio di tutti i prigionieri palestinesi, giovani, malati e anziani, nonché di 500 prigionieri nominati da Hamas, compresi quelli condannati a vita e per reati gravi.

Uno, ostaggi e aiuti

La prima fase, include l’intensificazione degli aiuti umanitari, lo spostamento delle forze israeliane «al di fuori delle aree popolate», una ‘cessazione temporanea’ delle operazioni militari e della ricognizione aerea, l’inizio dei lavori di ricostruzione consentendo alle Nazioni Unite e alle sue agenzie di fornire servizi umanitari e stabilire case provvisorie. Previso anche il ritorno dei palestinesi sfollati nelle loro case in tutte le aree della Striscia e garantirebbe la libertà di movimento per tutti. Inoltre, durante questa prima fase inizieranno colloqui indiretti sui «requisiti necessari per un cessate il fuoco completo», e negoziati sui dettagli per la seconda e la terza fase.

Due, cessazione delle ostilità

La seconda fase, ha proposto Hamas, vedrebbe la conclusione dei colloqui su una cessazione delle ostilità, il rilascio di tutti gli ostaggi maschi «in cambio di un numero specifico di prigionieri palestinesi». In questa fase -ipotesi più volte respinta da Israele- le forze israeliane dovrebbero uscire completamente dall’enclave. È sufficiente leggere i dettagli delle due fasi della proposta di Hamas per ipotizzare una cessazione del fuoco e un rilascio in tempo breve degli ostaggi.

Terza fase, il forse del mai

Inutile parlare della terza fase che comprende anche una parte più politica che includerebbe l’approvazione di un progetto concreto e ben definito per la creazione di uno stato palestinese nei territori occupati da Israele, compresa la parte orientale di Gerusalemme. La risposta di Netanyahu alle proposte di Hamas è arrivata, come al solito la sera, in prima serata televisiva. Il governo ha ordinato alle forze armate di cominciare l’assalto a Rafah nel sud della striscia di Gaza. La pressione militare, ha detto per l’ennesima volta, è necessaria per garantire il rilascio degli ostaggi israeliani. Tutto quello che Blinken chiedeva di frenare.

La colpa sempre e solo di Hamas

Netanyahu ha ripetuto quello che poco prima il suo ministro della difesa aveva detto a Blinken: «la risposta di Hamas è stata formulata per garantire il rifiuto di Israele», insistendo sulla linea dura. «Arrendersi alle richieste deliranti di Hamas porterà a un altro massacro e a una grande tragedia su Israele che nessuno sarebbe disposto ad accettare».

Sono riprese, come ormai tutti i giorni, le proteste delle famiglie israeliane degli ostaggi che chiedono iniziative concrete per garantire il loro ritorno a casa. Della sorte dei quasi trentamila palestinesi uccisi a Gaza, delle centinaia di migliaia di feriti, della distruzione delle case, degli ospedali, di tutte le strutture pubbliche non si parla.

Sorgente: Israele segnata dall’odio che reagisce nella paura. Eric Salerno –


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