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Le popolazioni arabe guardano con orrore e rabbia la relativa indifferenza dei loro governanti di fronte all’azione israeliana a Gaza. «Gli Houthi si vendicheranno», la previsione di un ricercatore yemenita generalmente cauto, dopo i due attacchi sferrati contro le milizie sciite in Yemen, lungo le coste e nella periferia della splendida e affascinante capitale Sana’a. «E possono», la premessa preoccupante di Eric Salerno.
«Ma chi sono? Domande e risposte sono indispensabili. Non molti conoscono la storia millenaria e nemmeno le complesse vicende politiche più recenti di uno dei paesi più antichi della regione». Nella guerra di Gaza che compie 100 giorni, ieri il numero dei morti è salito ancora: 23.843

Il Paese più bello del mondo

«Lo Yemen, architettonicamente, è il paese più bello del mondo. Sana’a, la capitale, una Venezia selvaggia sulla sabbia senza San Marco e senza la Giudecca, una città-forma, la cui bellezza non risiede nei deperibili monumenti, ma nell’incompatibile disegno… è uno dei miei sogni». Sono parole di Pierpaolo Pasolini nel suo ‘Corpi e Luoghi’. Nel 1970 lo scrittore si era innamorato dello Yemen e della straordinaria bellezza della sua capitale mentre vi girava alcune scene del Decameron (peraltro mai inserite nel film). Quattro anni dopo sarebbe tornato a girare «Il Fiore delle mille e una notte».

Pasolini e il ‘fiore delle mille e una notte’

E tra una fatica e l’altra, Pasolini ha trovato il tempo per mettere insieme un breve documentario-appello all’UNESCO contro l’abbandono dell’antico e la sua sostituzione con ciò che definiva «catapecchie moderne». Catapecchie che oggi, insieme al cuore antico della città, rischiando di finire sotto i missili americani e della coalizione militare che agisce – afferma – a salvaguardia di uno dei mari più importanti, dal punto di vista strategico ed economico, del mondo.

Houthi, chi e perché

Gli Houthi erano in origine un movimento giovanile radicato nello Yemen settentrionale negli anni novanta del secolo scorso. Il gruppo si era immaginato come più di un semplice attore locale, e anche se musulmani sciiti non si consideravano un’emanazione dell’Iran o seguivano necessariamente della politica di Teheran.

La rivolta yemenita 2011-12

Tra il 2011 e il 2012, durante una Rivolta yemenita nell’ampio contesto della Primavera araba, gli Houthi riuscirono a prendere il controllo di tre regioni nel nord del Paese: Saada, da sempre la loro roccaforte, al-Jawf e Hajja; ad esse si aggiunse uno sbocco sul Mar Rosso. Nel settembre 2014 conquistarono San’a’ e altri importanti centri e l’allora presidente fuggì in Arabia Saudita. E una ‘guerra lampo’ voluta da Riyad è diventata un lungo conflitto, che ha causato 250 mila vittime e che è valsa la definizione di «peggior crisi umanitaria del mondo» da parte dell’Onu. Crisi umanitaria e crisi degli Houthi che stanno ora cavalcando la questione palestinese.

Orrore e rabbia delle popolazioni arabe

Le popolazioni arabe non soltanto nello Yemen guardano con orrore e rabbia la relativa indifferenza dei loro governanti di fronte all’azione israeliana a Gaza. I morti continuano ad aumentare; la distruzione delle case, delle infrastrutture ha raggiunto livelli intollerabili; la comunità internazionale è vista come strenuo difensore di Israele o al massimo, impegnata a cercare di impedire un allargamento del conflitto che, ‘non sarebbe conveniente’.

Gli ebrei  yemeniti

Oltre 50mila ebrei yemeniti – praticamente l’intera comunità – lasciarono il paese e si trasferirono in Israele negli anni della fondazione dello Stato e ricordo, in tempi relativamente recenti, di aver avuto una conversazione con un anziano mercante di gioielli di San’a che faceva distinzione tra israeliani e yehudi. I primi cittadini di una nuova nazione, i secondi, per lui, quasi fratelli che, purtroppo dicevano, erano andati a vivere altrove portando via con loro l’arte della filigrana e dell’intarsio. Non sembrava avercela con gli ebrei, molto, invece, contro lo stato di Israele o, quanto meno, a favore del popolo palestinese. La cui causa, oggi, gli Houthi starebbero cavalcando per i propri interessi. Con il rischio di portare a un allargamento del conflitto regionale e coinvolgere sia l’Iran che Hezbollah in Libano.

Allargamento del conflitto, dall’inglese all’ebraico

The Times of Israel, molto vicino al governo, ha sottolineato come l’amministrazione americana è costretta a gestire la propria politica nei confronti di Israele e dei suoi alleati regionali con difficoltà. Netanyahu, scrive, dice una cosa, il suo Gabinetto un’altra. I comunicati in inglese quasi sempre sono diversi da quelli in ebraico. Se sui media stranieri si parla di passare ad una nuova fase di guerra nel nord di Gaza, in ebraico si parla della continuazione della lotta fino alla caduta di Hamas. Battaglie mortali continuano a infuriare nel centro di Gaza ea Khan Younis, e Rafah è stata appena toccata mentre si parla della volontà israeliana di occupare militarmente la zona cuscinetto a cavallo del confine tra Gaza e l’Egitto.

Il rifiuto nascosto di uno stato palestinese

E ancora più grave rispetto al futuro, il giornale sottolinea che al momento né l’opinione pubblica israeliana, tanto meno il governo sono disposti veramente a prendere in considerazione l’idea di uno stato o entità palestinese accanto a Israele. Proprio Michael Oren, l’ex ambasciatore israeliano a Washington, ha fatto capire che pochissime delle richieste americane al suo governo possono essere soddisfatte.

«Non credo che l’esercito permetterà a un numero significativo di rifugiati di tornare nel nord… Non possiamo ancora lasciarli tornare. Se torneranno, Hamas sarà con loro e porterà i suoi militanti».

Sorgente: Houthi, la tragica bellezza dello Yemen e la questione palestinese –

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