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30 April 2024
0 8 minuti 4 mesi

ISRAELE/PALESTINA. Sul corridoio di Salah al-Din Street i palestinesi sono bombardati, fatti sparire e umiliati. Concentrare civili in aree delimitate può essere usato per dirigere l’uso della forza. Come a Srebrenica

«Questa evacuazione è per la vostra sicurezza», ha dichiarato l’esercito israeliano il 13 ottobre, quando ha ordinato a 1,1 milioni di palestinesi nel nord di Gaza di lasciare le proprie case. Migliaia di persone hanno seguito l’avvertimento e si sono dirette a sud, solo per essere bombardate lungo il percorso e all’arrivo.

L’ordine di evacuazione di massa è stato solo l’inaugurazione di una serie di annunci e tecnologie legali sviluppate dall’esercito israeliano e dal suo team legale per organizzare la violenza contro la popolazione palestinese e avvolgerla in una offuscante narrazione di precauzioni del diritto internazionale umanitario.

A NOVEMBRE, poco dopo aver lanciato l’offensiva di terra, l’esercito israeliano ha designato la principale via nord-sud di Gaza – Salah al-Din Street – come «corridoio sicuro». Le forze di occupazione hanno condiviso una mappa con il percorso di evacuazione, sottolineando il loro «sforzo umanitario» per proteggere i civili.

Ma da allora la principale arteria stradale di Gaza è diventata un corridoio dell’orrore dove i palestinesi sono stati bombardati a caso, giustiziati, fatti sparire con la forza, torturati e umiliati. Nel frattempo, l’esercito israeliano ha continuato a bombardare il territorio a sud di Wadi Gaza, che aveva ripetutamente dichiarato «area sicura» dove i palestinesi del nord potevano cercare sicurezza.

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Zone «sicure» nel sud per ammassare civili L’Onu dice di noQuando alla fine di novembre il bilancio delle vittime della guerra ha raggiunto i 15mila palestinesi, molti dei quali erano civili uccisi nelle «zone sicure», l’amministrazione degli Stati uniti ha cercato di nascondere il suo sostegno al bersaglio indiscriminato di Israele sui civili con la richiesta di facciata di «espandere» le cosiddette zone sicure. L’esercito israeliano ha risposto introducendo un nuovo «strumento umanitario»: il sistema di griglie di evacuazione. Ha pubblicato sui social media una mappa a griglia che divide la Striscia di Gaza in 600 blocchi e indica quali aree vanno «evacuate» e quali sono «sicure».

Invece di aumentare le aree di sicurezza per i civili, il sistema – dispiegato mentre Gaza era tagliata fuori da ogni forma di comunicazione dall’esercito israeliano – ha aumentato il livello di caos e di morte.

Aree precedentemente designate come sicure, come Khan Yunis e Rafah, sono state trasformate in campi di battaglia urbani. Di conseguenza, Israele ha ordinato ai civili palestinesi di queste aree di ripartire verso nuove zone sicure. Ma le aree in cui il sistema di griglie di evacuazione diceva ai palestinesi di fuggire sono state immediatamente prese di mira dall’esercito israeliano.

A dicembre, un’inchiesta del New York Times ha rivelato che nel primo mese e mezzo di guerra Israele «ha usato abitualmente una delle sue bombe più grandi e distruttive in aree che aveva designato sicure per i civili». Le bombe da 2mila libbre di fabbricazione statunitense sganciate nelle zone sicure hanno rappresentato «una minaccia pervasiva per i civili che cercavano sicurezza nel sud di Gaza».

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Israele sgancia bombe da 900 kg sui luoghi «sicuri»TUTTAVIA, l’amministrazione Biden ha ripetutamente lodato Israele per i suoi «sforzi» volti a proteggere i civili. Secondo il diritto internazionale, sia le Convenzioni di Ginevra che i Protocolli aggiuntivi, le zone sicure devono essere riconosciute tramite un accordo tra le parti in lotta. Tuttavia, nei conflitti questo accade raramente e le zone sicure – e le tecnologie legali a esse associate – possono diventare strumenti per l’organizzazione della violenza. La concentrazione di civili inermi in aree designate e delimitate su una mappa come protette può essere usata e sfruttata dagli attori sul campo di battaglia per gestire e dirigere il loro uso della forza letale.

Questo è stato il caso della Bosnia, con la famigerata «zona sicura» di Srebrenica. L’area era stata istituita dalle Nazioni unite nel 1993 per proteggere i musulmani bosniaci sotto attacco, ma il disarmo della zona sicura l’ha trasformata in una facile preda per le forze serbe. Queste ultime hanno dapprima ostacolato l’invio di aiuti umanitari nell’area e poi hanno rastrellato e massacrato migliaia di civili musulmani.

Le zone sicure sono diventate letali anche nel caso dello Sri Lanka, dove il governo ha imposto la creazione di zone di sicurezza Tamil in cui ha ucciso migliaia di civili, incolpando le Tigri Tamil di aver presumibilmente usato i rifugiati concentrati nelle zone sicure come «scudi umani».

Allo stesso modo, a Gaza Israele sta imponendo unilateralmente cosa e dove è «sicuro» per i civili palestinesi. In questo modo, sta utilizzando il discorso della sicurezza e le tecnologie legali a esso associate – avvisi, zone sicure, corridoi sicuri, griglie di evacuazione – come strumento letale per attuare la pulizia etnica di diverse aree del territorio designate come sicure/non sicure.

Le aree o parti dei territori definite sicure servono a concentrare la popolazione sfollata e a gestire meglio le operazioni militari e l’uccisione di civili. Come recita un toccante titolo della Reuters, «Israele ordina agli abitanti di Gaza di fuggire, bombarda dove li manda».

In altre parole, mettendo sotto ordine di evacuazione e spopolando vaste aree del territorio di Gaza, Israele ha concentrato la popolazione etnicamente ripulita in zone sempre più ristrette che ha preso di mira subito dopo essere state designate come «aree sicure». Questo dimostra il chiaro intento di liquidare i civili palestinesi dopo averli sfollati e può diventare uno strumento per rendere lo sterminio più efficiente. In aree sovrappopolate come Rafah, con una densità di popolazione estremamente elevata a causa dell’afflusso di sfollati dal nord e dal centro di Gaza, un singolo attacco può uccidere un gran numero di persone contemporaneamente.

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Hezbollah tira il freno. A Gaza volantini, gas e bombe sugli sfollatiOLTRE A SERVIRE un chiaro scopo militare, questa appropriazione necropolitica dell’obbligo umanitario di avvertire e creare spazi sicuri per i civili fa anche parte della strategia legale di Israele per difendersi dall’accusa di aver commesso crimini di guerra e crimini contro l’umanità.

Con la recente richiesta di genocidio presentata dalla Repubblica sudafricana alla Corte internazionale di Giustizia, che accusa Israele di atti «volti a provocare la distruzione di una parte sostanziale del gruppo nazionale, razziale ed etnico palestinese», per il governo israeliano è montata l’urgenza di cercare di presentarsi come rispettoso del diritto internazionale.

Israele ha sempre cercato di dare una parvenza di legalità ai suoi 75 anni di pulizia etnica e di esproprio. Ma stavolta la forza genocida di annientamento che ha scatenato ha raggiunto una tale scala senza precedenti – mettendo 2,3 milioni di persone a rischio concreto di morte – che il suo discorso legale di sicurezza non può camuffare il suo completo disprezzo per lo status civile della popolazione di Gaza.

*Docente di relazioni internazionali all’università di Edimburgo

Sorgente: La gestione letale delle «zone sicure» a Gaza | il manifesto

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