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Dell’accordo per trasportare i maschi maggiorenni soccorsi in mare in un centro di Shengjin si sa poco, se non che difficilmente potrà garantire i diritti delle persone, dall’accoglienza all’asilo

Dal rapporto privilegiato col premier britannico Rishi Sunak, Giorgia Meloni deve aver tratto anche l’idea del “ricollocamento” – chiamiamolo così – dei migranti. Il piano annunciato il 6 novembre insieme al primo ministro dell’Albania Edi Rama, infatti, somiglia molto poco a qualcosa di realmente fattibile e parecchio a una manovra di pressione su Bruxelles. A dirla tutta, è una specie di Frankenstein giuridico che a detta di molti esperti non potrà avere vita più lunga di qualche mese di propaganda. Per la serie: se non possiamo implementare un blocco navale parcheggiamo le persone in una succursale estera, e per giunta extra-Ue, dallo status giuridico appunto sospeso e mostruoso.

In sostanza, i migranti salvati da imbarcazioni della Guardia costiera o della Finanza potrebbero essere sbarcati direttamente nel porto albanese di Shengjin, anche noto come San Giovanni di Medua, nel Nord del paese non distante dal confine con il Montenegro. Su quelli soccorsi dalle ong, invece, continueranno per l’indicazione dei porti di sbarco – sotto la regia del ministero dell’Interno – le vergognose manovre di massimo allontanamento possibile dalle zone di soccorso.

Il presidente albanese Edi Rama e la presidente del Consiglio Giorgia Meloni firmano l'accordo sui migranti
Prevede la costruzione di due centri di detenzione e rimpatrio. Ma i limiti legali non sono chiari e la conformità alle regole europee è già stata contestata

L’exclave della migrazione

Nella mente della presidente del Consiglio, che così sigilla il privilegiato rapporto con Tirana, dovrebbe essere un modo per alleggerire Lampedusa e i porti siciliani e calabresi. Senza alcun passaggio preventivo in Italia e senza identificazione possibile: ciò che ne esce costituisce di fatto un respingimento in mare verso un paese terzo sicuro, effettuato da mezzi militari italiani verso un territorio extracomunitario. La novità è che il paese terzo sicuro sembra essere d’accordo e mette a disposizione un’infrastruttura locale per chiudere l’operazione, oltre che forse una parte della sua sovranità. Il tutto in un quadro nel quale alcun accordo internazionale preveda una qualche forma di extraterritorialità, a meno che l’Albania non ceda al nostro paese una fettina del suo territorio.

In questa scivolosa exclave italiana della migrazione, nella sostanza un carcere lontano dagli occhi dei connazionali, potrebbero (perché rimane da capire se l’accordo si concretizzerà, a Bruxelles dicono di non conoscerne ancora i dettagli) finire solo uomini maggiorenni. Secondo una pervicace e insistente logica di sbarco selettivo, pure questo sanzionato dai giudici che hanno più volte contestato (come nel caso della nave della ong tedesca Humanity 1 lo scorso anno) la classificazione fra migranti di serie A e di serie B. Solo una volta in Albania, in un centro di cui non si capisce bene la natura, i “selezionati” potranno chiedere asilo politico. Senza, evidentemente, alcuna possibilità di essere inseriti nel sistema primario di accoglienza, visto che si troveranno dall’altro lato dell’Adriatico.

Non solo. Oltre la natura di questo meccanismo di accoglienza non si capisce da chi dovrà essere gestito il centro (aziende del posto? organizzazioni italiane?), si sa che verrà presidiato da forze dell’ordine italiane che dunque andranno inviate in missione con relativo impegno di spesa e soprattutto non si capisce come possa essere sottoposto alla giurisdizione italiana. Per essere trattenuti serve infatti una motivazione e un ordine di un questore italiano, con conferma di un giudice entro 48 ore. Chi si occuperà di queste pratiche? I giudici albanesi di certo non possono farlo, per questioni di convenzioni internazionali sulla giurisdizione statale. Stesso discorso per la valutazione di quelle richieste d’asilo: apriremo tribunali e commissioni territoriali in Albania?

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La mancata tutela dei diritti

E, come fanno giustamente notare in molti, il diritto alla difesa come potrà essere garantito? Avremo anche avvocati d’ufficio a disposizione a Shengjin? Tutto questo varrà anche per un secondo centro, un cpr destinato al rimpatrio delle persone a cui è stato negato il diritto d’asilo: quali garanzie potrebbero far valere i ricorrenti? E come si dovrebbe comportare l’Albania in caso di rilascio? Questa roba, a meno di aprire un polo giudiziario italiano extraterritoriale in Albania che di fatto corrisponda a un territorio a sovranità italiana e quindi europeo, non sta in piedi. “Al di là del fatto che si possa o non si possa fare – spiega la giurista Vitalba Azzollini a Wired Italiail problema è la tutela dei diritti dei migranti. È necessario spostare in Albania una pletora di persone affinché tali diritti siano loro assicurati. Cioè il tema non è tanto se un giudice italiano possa svolgere la propria attività in un territorio dedicato al di fuori del paese. Quanto l’effettivo rispetto dei diritti delle persone”.

Non abbiamo infatti precedenti su una situazione tanto caotica che non solo si pone in contrasto con una quantità di norme comunitarie e internazionali oltre che nostrane, da diversi articoli del regolamento di Dublino sul diritto d’asilo alle direttive in materia di accoglienza fino al nostro Testo unico sull’immigrazione, ma mette alla prova la tenuta di quei diritti che già non riusciamo a garantire sul territorio italiano. Fra l’altro, nei mesi scorsi Bruxelles aveva di fatto bloccato un simile accordo messo in cantiere dal governo danese niente meno che con l’onnipresente Rwanda.

Ma i segnali di questa tendenza all’”esternalizzazione” dell’accoglienza sono numerosi e preoccupanti. L’intento di Meloni è chiaro: nell’immobilismo di Bruxelles l’obiettivo è impiegare il pasticciaccio albanese per fare pressione sull’Unione europea, che sarà costretta a bloccarlo o a pretendere forti garanzie per lasciarlo partire. Nella prima ipotesi il governo sarà pronto a scatenare la lamentatio vittimistica perché “l’Europa non ci lascia fare”. Questo non toglie che il sistema dell’accoglienza continentale sia tutto da ricostruire: bisogna capire se nella pericolosa direzione “esotica” dei sovranisti, con arcipelaghi di centri sparsi nei paesi costieri del Mediterraneo e del nordAfrica, o in quella di un’accoglienza davvero diffusa e solidale dei 27 Stati membri e che si fondi sulla revisione del regolamento di Dublino.

Sorgente: Albania, l’accordo di Meloni sui migranti è un gran pasticcio | Wired Italia

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