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Da sempre il presidente turco simpatizza per l’organizzazione che governa a Gaza. La sua definizione arriva il giorno dopo la ratifica dell’ingresso della Svezia nell’Alleanza

Gabriella Colarusso

BEIRUT – Il giorno dopo aver firmato il protocollo che autorizza l’ingresso della Svezia nella Nato, con una mossa che ha gratificato gli Alleati, ma che deve essere ancora ratificata dal Parlamento, Erdogan fa una delle sue giravolte spettacolari e si schiera a muso duro contro le posizioni europee, americane e di altri membri dell’Alleanza: “Hamas non è una organizzazione terroristica”, ha detto il presidente turco in un discorso in Parlamento, sono “patrioti”, mujahiddin li ha definiti, che “combattono per la liberazione della loro terra”. Uno colpo per Israele che con Ankara pensava di aver recuperato i rapporti dopo il disgelo diplomatico di un anno fa e la visita del presidente Herzog in Turchia.

 

Nelle ore immediatamente successive alla strage di israeliani compiuta da Hamas il 7 ottobre, Erdogan aveva cercato di tenere una posizione equidistante, condannando le uccisioni di civili e chiedendo a tutte le parti di “esercitare moderazione”. Ankara puntava a ritagliarsi un ruolo da mediatore, con i buoni auspici dell’Egitto, tanto che il ministro degli Esteri Fidan aveva anche proposto un sistema di garanti per arrivare a un cessate il fuoco e poi a una discussione politica sulla proposta dei due Stati.

BEIRUT – Il giorno dopo aver firmato il protocollo che autorizza l’ingresso della Svezia nella Nato, con una mossa che ha gratificato gli Alleati, ma che deve essere ancora ratificata dal Parlamento, Erdogan fa una delle sue giravolte spettacolari e si schiera a muso duro contro le posizioni europee, americane e di altri membri dell’Alleanza: “Hamas non è una organizzazione terroristica”, ha detto il presidente turco in un discorso in Parlamento, sono “patrioti”, mujahiddin li ha definiti, che “combattono per la liberazione della loro terra”. Uno colpo per Israele che con Ankara pensava di aver recuperato i rapporti dopo il disgelo diplomatico di un anno fa e la visita del presidente Herzog in Turchia.

 

Nelle ore immediatamente successive alla strage di israeliani compiuta da Hamas il 7 ottobre, Erdogan aveva cercato di tenere una posizione equidistante, condannando le uccisioni di civili e chiedendo a tutte le parti di “esercitare moderazione”. Ankara puntava a ritagliarsi un ruolo da mediatore, con i buoni auspici dell’Egitto, tanto che il ministro degli Esteri Fidan aveva anche proposto un sistema di garanti per arrivare a un cessate il fuoco e poi a una discussione politica sulla proposta dei due Stati.

La campagna di raid aerei sulla Striscia che ha fatto finora più di 5mila morti, e il sostegno degli occidentali a Israele che Ankara condanna come “incondizionato” hanno offerto la leader turco l’occasione per l’escalation retorica.

 

Sulla questione palestinese, Erdogan è tornato ai vecchi discorsi incendiari che tanto consenso trovano anche tra i suoi alleati più radicali. “Avevamo buone intenzioni, ma sono state mandate in malora. Avevamo in programma di andare in Israele, ma non ci andremo. La metà delle vittime palestinesi sono bambini, cui vanno aggiunte donne e anziani. Un massacro che sta raggiungendo le dimensioni di un genocidio”, ha tuonato. E via con un’altra serie di accuse nei confronti dell’Occidente – Le “potenze occidentali versano lacrime per Israele e non fanno altro”, sono “incapaci di fermare Israele”, “hanno mobilitato il mondo a favore dell’Ucraina ma non si sono pronunciati contro i massacri Gaza, il segno più evidente della loro ipocrisia”, l’Onu è caduto “in un triste stato di impotenza”.

C’è un motivo semplice che spiega la posizione di Erdogan: il presidente turco simpatizza da sempre con la causa di Hamas. Nel 2018, in un tweet diretto al primo ministro israeliano, scrisse: “Hamas non è un’organizzazione terroristica e i palestinesi non sono terroristi. È un movimento di resistenza che difende la patria palestinese contro una potenza occupante”. Hamas mantiene incarichi politici in Turchia, e i leader dell’organizzazione, tra cui Khaled Mashal, Ismail Haniyeh e Saleh al-Arouri, si sono incontrati apertamente con Erdogan molte volte. Arouri e Haniyeh hanno anche passaporti e residenza turchi.

 

Ma Erdogan, come spesso accade, naviga tra due mari e da due anni lavora a ripristinare le relazioni con Israele per ragioni di sicurezza – ci tiene alla collaborazione con il Mossad – commerciali ed energetiche. A settembre aveva anche incontrato Netanyahu a New York.

Non solo: nel tempo, i rapporti con Hamas hanno assunto sfumature diverse, con momenti anche di conflittualità: Ankara non vede di buon occhio l’avvicinamento del gruppo all’Iran e Hamas non ha gradito le aperture della Turchia a Israele. Due giorni fa, al Monitor ha scritto che nelle ore successive alla strage del 7 ottobre, l’intelligence turca ha gentilmente invitato la leadership di Hamas ad accomodarsi fuori dal Paese, perché non poteva più garantire la sua sicurezza contro eventuali rappresaglie israeliane. La presidenza turca si è affrettata a smentire.

Difficilmente Erdogan sacrificherà il suo sostegno all’organizzazione armata palestinese, e difficilmente espellerà l’ambasciatore israeliano come i suoi alleati radicali chiedono. Per ora ha congelato la cooperazione energetica con Israele.

Quello che proverà a fare è accreditarsi come mediatore tra le parti, sfruttando l’influenza che ancora detiene su Hamas e la posizione turca a favore dei due Stati.

Nel discorso al Parlamento il presidente ha proposto una conferenza di pace e un sistema di garanti per mediare tra le parti e arrivare a una soluzione politica del conflitto. Toccherà adesso all’Occidente decidere se è disposto ad accordargli questo ruolo.

La campagna di raid aerei sulla Striscia che ha fatto finora più di 5mila morti, e il sostegno degli occidentali a Israele che Ankara condanna come “incondizionato” hanno offerto la leader turco l’occasione per l’escalation retorica.

 

Sulla questione palestinese, Erdogan è tornato ai vecchi discorsi incendiari che tanto consenso trovano anche tra i suoi alleati più radicali. “Avevamo buone intenzioni, ma sono state mandate in malora. Avevamo in programma di andare in Israele, ma non ci andremo. La metà delle vittime palestinesi sono bambini, cui vanno aggiunte donne e anziani. Un massacro che sta raggiungendo le dimensioni di un genocidio”, ha tuonato. E via con un’altra serie di accuse nei confronti dell’Occidente – Le “potenze occidentali versano lacrime per Israele e non fanno altro”, sono “incapaci di fermare Israele”, “hanno mobilitato il mondo a favore dell’Ucraina ma non si sono pronunciati contro i massacri Gaza, il segno più evidente della loro ipocrisia”, l’Onu è caduto “in un triste stato di impotenza”.

C’è un motivo semplice che spiega la posizione di Erdogan: il presidente turco simpatizza da sempre con la causa di Hamas. Nel 2018, in un tweet diretto al primo ministro israeliano, scrisse: “Hamas non è un’organizzazione terroristica e i palestinesi non sono terroristi. È un movimento di resistenza che difende la patria palestinese contro una potenza occupante”. Hamas mantiene incarichi politici in Turchia, e i leader dell’organizzazione, tra cui Khaled Mashal, Ismail Haniyeh e Saleh al-Arouri, si sono incontrati apertamente con Erdogan molte volte. Arouri e Haniyeh hanno anche passaporti e residenza turchi.

 

Ma Erdogan, come spesso accade, naviga tra due mari e da due anni lavora a ripristinare le relazioni con Israele per ragioni di sicurezza – ci tiene alla collaborazione con il Mossad – commerciali ed energetiche. A settembre aveva anche incontrato Netanyahu a New York.

Non solo: nel tempo, i rapporti con Hamas hanno assunto sfumature diverse, con momenti anche di conflittualità: Ankara non vede di buon occhio l’avvicinamento del gruppo all’Iran e Hamas non ha gradito le aperture della Turchia a Israele. Due giorni fa, al Monitor ha scritto che nelle ore successive alla strage del 7 ottobre, l’intelligence turca ha gentilmente invitato la leadership di Hamas ad accomodarsi fuori dal Paese, perché non poteva più garantire la sua sicurezza contro eventuali rappresaglie israeliane. La presidenza turca si è affrettata a smentire.

Difficilmente Erdogan sacrificherà il suo sostegno all’organizzazione armata palestinese, e difficilmente espellerà l’ambasciatore israeliano come i suoi alleati radicali chiedono. Per ora ha congelato la cooperazione energetica con Israele.

Quello che proverà a fare è accreditarsi come mediatore tra le parti, sfruttando l’influenza che ancora detiene su Hamas e la posizione turca a favore dei due Stati.

Nel discorso al Parlamento il presidente ha proposto una conferenza di pace e un sistema di garanti per mediare tra le parti e arrivare a una soluzione politica del conflitto. Toccherà adesso all’Occidente decidere se è disposto ad accordargli questo ruolo.

Sorgente: “Hamas fatta di combattenti per la liberazione, non terroristi”. Così Erdogan spiazza gli Alleati e ora proverà ad accreditarsi come mediatore – la Repubblica

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