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Genova, 20 luglio 2001. Vent’uno anni fa in piazza Alimonda veniva ucciso Carlo Giuliani, la cui memoria è conservata dalla famiglia e da schiere di compagni e di amici: non dalle istituzioni, dalle quali non è mai giunta una parola di giustizia, come nessuna giustizia hanno avuto coloro che furono assaliti e macellati nella scuola Diaz, o torturati nella caserma di Bolzaneto. Ma proviamo ad oltrepassare le squallide vicende giudiziarie di un diritto completamente assoggettato al potere, e torniamo a quei giorni…
In quei giorni del luglio 2001, concomitanti con la riunione del G8, molti di noi erano confluiti a Genova come un’immensa orda gioiosa, incazzata e vitale, colma di speranza e di progettualità. Un’orda mossa dal desiderio di cambiare, assieme alle regole dell’economia e della politica, anche i percorsi esistenziali, chiedendo con ingenuità vite più dignitose e umane.
E infatti non ci eravamo radunati a decine di migliaia solo per portare voci di dissenso o di protesta verso i potenti, verso quel numero ristretto di persone blindate nelle loro stanze che, con criminale cinismo, si apprestavano a decidere le sorti del pianeta. Eravamo a Genova soprattutto per testimoniare e manifestare, con la materialità dei nostri corpi e con la ricchezza collettiva delle nostre intelligenze, che una visione del mondo totalmente opposta alla globalizzazione neoliberista era pensabile e praticabile.
Fummo sconfitti.
Fummo sconfitti dapprima nei nostri corpi esposti ai pestaggi ed alla violenza, nelle nostre carni che improvvisamente si scoprirono fragili ed inermi di fronte alla forza organizzata del potere.
Fummo sconfitti in seguito nella nostra progettualità, perché quel soggetto nascente che era il movimento no-global si frantumò e si dissolse in mille rivoli presto prosciugati, seguito pochi anni dopo dall’implosione del partito politico che più ne aveva incarnato le istanze, il partito della rifondazione comunista.
E fummo sconfitti infine nelle nostre intelligenze, anch’esse sbriciolate, incapaci di raccordarsi, di comunicare tra loro e di prospettare nuove forme di aggregazione collettiva.
L’ultima utopia del ‘900, giunta con qualche anno di ritardo sullo scadere del secolo, era svanita nel nulla.
Restammo soli a guardare il disastro.
Un disastro che nei vent’uno anni trascorsi dalle giornate di Genova ha assunto dimensioni allora impensabili, segnando il trionfo assoluto di quelle politiche neoliberiste che, con generosità un po’ infantile, cercammo inutilmente di contrastare. Un disastro che, a partire dalla sfera dei rapporti economici di produzione, rigettati in una condizione pressoché ottocentesca, si espande oggi ad ogni spazio della socialità.
Carlo Giuliani per sempre ragazzo

Sorgente: da ricerca Facebook | Gabriella Spada

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