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Renault ha ceduto mettendo fine, con effetto immediato, alla produzione della sua fabbrica di Mosca. Invece l’impero della famiglia Mulliez, che comprende Auchan, Leroy Merlin e Decathlon, ha annunciato che non lascerà il Paese per non rinforzare economicamente Putin. Ma il dibattito politico interno, a poche settimane dal voto dell’Eliseo, allontana i cittadini dalle urne […]

(DI LUANA DE MICCO – Il Fatto Quotidiano) – Leroy Merlin, Renault, Auchan, Total, Société Générale… Più di 500 aziende francesi lavorano in Russia. E in Francia cresce la pressione su quelle che continuano a fare affari con Mosca a poco più di un mese dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina, accusate di “sponsorizzare” la guerra. Mercoledì, come il giorno prima davanti al parlamento italiano, Volodymyr Zelensky ha parlato in videoconferenza ai parlamentari francesi in diretta da Kiev. E ha fatto nomi: “Renault, Auchan, Leroy Merlin e altri devono cessare di essere sponsor della macchina da guerra della Russia”, ha detto il presidente ucraino. Qui il suo intervento, in cui ha anche paragonato i disastri di Mariupol ai campi di battaglia di Verdun.

Alla fine Renault ha ceduto. In un comunicato lapidario, il gruppo automobilistico francese, che ha per ceo Luca De Meo, ha annunciato di mettere fine, con effetto immediato, alla produzione della sua fabbrica di Mosca, dove vengono prodotte tra l’altro la Duster e la Captur. “Una scelta coerente”, secondo Macron. Renault “valuterà” anche cosa fare della sua partecipazione in AvtoVAZ, primo costruttore automobilistico russo di cui detiene il 67%. Andandosene dalla Russia, il secondo mercato di Renault dopo l’Europa, le prospettive finanziarie per il 2022 del gruppo sono state riviste al ribasso, dal 4% stimato al 3%. È sotto pressione anche l’impero della famiglia Mulliez, che comprende Auchan, Leroy Merlin e Decathlon, più di 400 negozi in Russia. Dopo che un punto vendita Leroy Merlin è andato distrutto nel bombardamento di un centro commerciale a Kiev, i dipendenti in Ucraina della celebre catena di bricolage hanno chiesto di chiudere tutto. Ma il marchio non lascerà la Russia: “Non abbiamo motivo di condannare i nostri collaboratori russi per una guerra che non hanno scelto. Chiudere i negozi – ha spiegato l’azienda – aprirebbe la via a un’espropriazione, rinforzando finanziariamente la Russia”. Una deputata ucraina dell’opposizione, Lesia Vasylenko, ha lanciato su France Info un appello ai francesi a boicottare tutti i marchi che “si arricchiscono sulla vita dei bambini ucraini”. Cresce la pressione anche sulla Société Générale, azionista di maggioranza della banca russa Rosbank (12 mila dipendenti). Nei giorni scorsi già BNP Paribas e il Crédit Agricole hanno sospeso le loro attività in Russia. E poi naturalmente c’è TotalEnergies, attaccato da settimane dagli ecologisti, giudicato “complice” di Mosca. Alla fine il colosso del petrolio ha ceduto, ma solo in parte, e solo dove gli faceva meno male, annunciando che non acquisterà più petrolio russo. Non da subito, “al più tardi entro la fine dell’anno”. Resta invece attivo in Russia nel settore più strategico del gas e non abbandona l’enorme progetto Yamal con il russo Novatek. Ne abbiamo scritto qui.

Perché non mettere a disposizione dei rifugiati ucraini gli yacht e gli chalet sequestrati agli oligarchi russi? L’audace proposta arriva da Valérie Pécresse. La candidata Les Républicains all’Eliseo, positiva al Covid (con il contagio che aumenta in Francia), è stata obbligata a intervenire da remoto ieri sera alla trasmissione tv di France 2 “Elysée 2022”. La proposta piace anche al candidato comunista Fabien Roussel che considera che Pécresse gliel’abbia copiata. Insomma, mentre l’offensiva russa continua in Ucraina e i leader occidentali decidono nuove sanzioni contro Mosca, continua in Francia la strana campagna per l’Eliseo. Con i media che si dividono a fatica tra guerra e elezioni e Macron sempre assente dal dibattito. Secondo una recente inchiesta Ipsos, a quindici giorni dal voto, il 38% dei francesi che pensano di andare a votare non ha ancora deciso per chi. Soprattutto si teme l’astensione. Sempre l’Ipsos ci dice anche che solo il 67% dei francesi è “sicuro” di votare al primo turno del 10 aprile. Una partecipazione che può sembrare alta, ma che non lo è in Francia per le presidenziali, sola elezione che in genere riesce a riempire i seggi. Già nel 2017 l’astensione era stata del 22%. Cinque anni dopo potrebbe superare il 30%. Sarebbe un record. Più del 28,4% di quel famoso 21 aprile 2002, giorno del confronto choc tra Chirac e Le Pen padre. I meno convinti di andare a votare sono i giovani (18-24 anni): solo il 53% per l’Ipsos. E solo il 57% degli operai. Anticipando l’indifferenza dei francesi per lo scrutinio, vera o ipotetica, TF1, la rete tv più seguita, ha persino deciso di rinunciare alla tradizionale serata-fiume post voto: la trasmissione in cui si commentano i risultati del primo turno, resi noti alle 20, durerà solo un’ora e mezza, lasciando spazio alle 21:20 a un popolare film con Jean Reno che promette un’audience maggiore. La sensazione che l’esito di queste elezioni sia già scritto in anticipo, il disorientamento di molti elettori di sinistra che non sanno chi scegliere tra una nuvola di candidati, la maggior parte dei quali non supera neanche il 10% nei sondaggi, potrebbe alimentare l’astensionismo. Proprio sul piano dei sondaggi, negli ultimi giorni si registrano alcune novità. Macron, pur restando in testa delle intenzioni di voto al primo turno, ha perso qualche punto, scendendo sotto il 30%: è al 28,5%, secondo l’ultimo sondaggio Ifop.

Il suo programma, presentato per quattro ore alla stampa la settimana scorsa, non avrebbe convinto: per il 61% dei francesi, non li aiuterà a migliorare il loro quotidiano.

Salgono gli estremi. Marine Le Pen sembra assicurarsi il ballottaggio (20%). A cui però ora auspica anche Jean-Luc Mélenchon (salito al 14-15%). Pécresse e Zemmour scivolano invece sotto il 10%. Zemmour, attaccato in giustizia da associazioni contro l’omofobia, tenterà domenica un meeting a Trocadero, davanti alla Tour Eiffel, che però non aveva portato fortuna né a Sarkozy nel 2012 né a Fillon nel 2017.

Sorgente: Pecunia non olet: Gli affari francesi in Russia – infosannio – notizie online

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