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(Fabio Amendolara e François de Tonquédec – La Verità) – La sessione della Leopolda 11 sulla Giustizia e contro il giustizialismo, twitta Matteo Renzi, «resterà negli annali». Un attimo dopo indossa una giacca scura e introduce il grande tema dell’inchiesta sulla fondazione Open.

Per lo show ha preparato delle slide da mostrare ai suoi ospiti sul grande display piazzato proprio sopra la grafica che ricorda una vecchia trasmissione radiofonica. L’arringa comincia con queste parole: «La questione processuale si vedrà in Tribunale. Se guardiamo i dati dei processi penali più o meno terminerà in Cassazione nel 2027. Mettetevi comodi, c’è tempo».

Il fu Rottamatore scalda subito i suoi: «È impressionante il fatto che le 92.000 carte, che noi ancora non abbiamo letto, sono il frutto di un lavoro che ha portato centinaia di uomini della Finanza, tantissime persone che sono state sottratte dal loro lavoro sulla criminalità, a discutere di cosa? Del reato di finanziamento illecito alla politica».

Per Renzi il punto di partenza è «che il tema del contendere non è il finanziamento illecito. Il tema è la seconda parte della frase, è quel “finanziamento illecito alla politica”». E spiega: «Questi denari sono andati a una fondazione, che è un istituto giuridico previsto delle leggi. Ma secondo il pm la fondazione in realtà era un partito. Qual è la sostanza? La differenza è che se i soldi vanno alla fondazione vanno rendicondati con un modulo che chiameremo A. Se vanno a un partito vanno rendicondati con un altro modulo, il modulo B. Ma questo porta più svantaggi che vantaggi».

Il leader di Italia viva però si dimentica di dire che, se gli imprenditori avessero usato il modulo B, i soldi sarebbero andati all’intero partito, invece che agli uomini più vicini a lui. Quello che proprio il Bullo non riesce a mandare giù è che i magistrati ritengano Open la cassaforte della sua corrente: «Chi decide cosa è politica e cosa non è? Se è un magistrato a decidere, la libertà democratica è a rischio».

In realtà, gli inquirenti evidenziano «quanto emerge in ordine alle reali circostanze che hanno portato all’esaurimento delle finalità statutarie e allo scioglimento della fondazione Open con verbale del Cda datato 29 giugno 2018». E risultano «direttamente collegate al quadro seguito»: «All’esito del referendum del 4 dicembre 2016»; «alle dimissioni di Matteo Renzi dalla segreteria del Pd»; «alle elezioni politiche del 4 marzo 2018».

Dunque a decidere cosa fosse davvero Open, sarebbero stati i suoi stessi componenti all’atto dello scioglimento. Poi passa a quello che definisce il «secondo tema», ovvero «come si entra nella vita degli altri». E dice: «Si entra nei telefonini e si tira tutto ciò che si può tirare via».

A quel punto spara ad alzo zero su chi indaga: «Noi in questa vicenda non abbiamo rubato un centesimo né violato norme, altri non so. Hanno violato norme e Costituzione. Non mi preoccupano i giornalisti polemici né i grillini, mi preoccupa il silenzio di chi sa di cosa si sta parlando».Le protagoniste, nell’arringa di Renzi, sono le toghe: «Vi segnalo che un magistrato, sulla rivista di Magistratura democratica, ha scritto che attorno a Renzi va stretto un cordone sanitario. […] Quando saremo giudicati potremmo sapere se quel pubblico ministero per caso appartiene a Md?».

Al sistema che avrebbe creato per sfruttare i social dedica non poco spazio, rivendicando la volontà di distruggere l’avversario politico anziché sconfiggerlo: «Di Maio ha detto che dall’analisi delle carte di Open Renzi voleva distruggere i 5 stelle. Ci sono volute le carte di Open? Io non so se è un reato distruggere i 5 stelle. Io penso che sia stato un reato non riuscire a farlo. La distruzione ovviamente era politica».

Poi attacca Pier Luigi Bersani: «Tra i testimoni del procedimento c’è Bersani. È arrivato a dire “Renzi ha una cassa personale all’interno del partito.” Non so come abbia fatto a dire una cosa del genere. Vorrei ricordare che Bersani ha ricevuto 98.000 euro dai Riva a Taranto. Io ho lavorato per mettere a posto quella città martoriata. Non so quanto costano i caffè a Taranto, ma ora mi spiego perché è così nervoso Bersani».

Poi se la prende con D’Alema, che «ha distrutto il Monte dei Paschi di Siena, cosa che nemmeno la peste e le guerre erano riuscite a fare». Ultima questione: «La pesca a strascico»: «Per continuare l’operazione del cordone sanitario non bastava l’invasione di campo nella sfera della politica. Bisognava andare nella sfera personale. I pm vanno a prendere da 40 persone che hanno creduto nel disegno della Leopolda i loro supporti informatici. E così sono uscite le mie email, anche quelle da presidente del consiglio […]. Quando un pm prende la corrispondenza di un parlamentare sta facendo una cosa enorme. Se deve farlo deve utilizzare delle procedure, chiedendo alla giunta per le autorizzazioni». In realtà quello che è stato acquisito è il contenuto dello smarthphone di Carrai, indagato.

Le autorizzazioni serviranno se e quando i magistrati vorranno usare quei dati contro Renzi. Che prosegue: «E nel telefonino di Carrai ci sono le email che producono due cose, il mio conto corrente e la mail di Rondolino».

Per un bonifico con Carrai da 5.000 euro parte una segnalazione di operazione sospetta alla Banca d’Italia. «E da lì si arriva a spiattellare il mio conto corrente. Mettono questo conto negli atti. Cosa c’entra con Open? Nulla».

Renzi non dice che allegato alla segnalazione non c’è solo il suo estratto conto, ma tutti quelli «dei rapporti beneficiari dei bonifici» effettuati da Carrai oggetto di approfondimento. Sulla mail di Rondolino, però, sorvola. E chiude così la questione. Alla fine ripete che non ha paura e che andrà fino in fondo: «Vogliono processarci per aver fatto politica?», si chiede. E la risposta è questa: «Chiederemo ricompense e lo faremo col sorriso».

Sorgente: E’ la Leopolda o Arcore? – infosannio

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