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di Alessio Lana

Grazie ad autorità e Ong Zakia Khudadadi e Hossain Rasouli sono riusciti a salire sull’aereo che li ha portati a Tokyo: ma per una settimana non si è saputo dove fossero

La bandiera afghana aveva sventolato alla cerimonia di apertura delle Paraolimpiadi di Tokyo ma nessuno sapeva se i due atleti del Paese sarebbero mai arrivati a destinazione. Visti i disordini all’aeroporto causati dalla presa del potere dei talebani, nessuno avrebbe scommesso che la ventiduenne Zakia Khudadadi, che compete nel taekwondo, e il centometrista ventiseienne Hossain Rasouli ce l’avrebbero fatta.

Diversi tentativi di evacuarli non erano andati a segno, migliaia di persone si erano radunate di fronte ai muri di cinta sperando di entrare nell’aeroporto e i talebani controllavano attentamente Airport Road, la strada che porta ai gate. Così autorità e Ong si sono messe in azione seguendo i due passo passo fin dalle loro abitazioni.

Il Center for Sport and Human Rights di Ginevra, l’australiana Human Rights for All, il comitato paraolimpico francese e britannico e la federazione internazionale del taekwondo hanno collaborato a livello tecnico e legale per far arrivare i due all’aeroporto, aiutarli a smarcarsi tra la folla, compilare i documenti per il viaggio. Hanno anche offerto consigli.

Gli hanno detto, per esempio, di attivare il Gps dei loro smartphone così da segnalare la propria posizione fuori dall’aeroporto e da poter essere guidati dagli attivisti ai gate dove ad accoglierli avrebbero trovato truppe occidentali.

Gli hanno poi consigliato di prendere una sciarpa brillante, nascondervi documenti e soldi, e tenerla negli slip.

Dopo aver passato il check point talebano dovevano tirarla fuori e agitarla in aria «come pazzi».

Questo trucco gli ha permesso di farsi notare dai militari occidentali e di aprirgli le porte dell’agognato aerodromo. Qui però il comitato paralimpico ha perso le loro tracce.

Il ponte aereo ha condotto i due prima a Dubai e poi, dopo ore con il fiato sospeso, a Parigi.

La capitale francese li ha accolti dandogli vestiti e controlli medici, autorità ed interpreti li hanno aiutati a completare i documenti per andare a Tokyo ma soprattutto li hanno tenuti nascosti per una settimana.

Nessuno sapeva dove fossero, meglio tenere lontani i riflettori, e intanto potevano allenarsi all’Institut national du sport, de l’expertise et de la performance, un centro d’eccellenza, e avere il supporto psicologico necessario non solo per competere ma per affrontare una situazione difficile da immaginare. Il Paese che ricordavano stava scomparendo ora dopo ora. Entrambi erano piccolissimi al tempo delle Torri gemelle e Khudadadi, con i suoi 22 anni, probabilmente neanche ricorda com’era l’Afghanistan prima dell’arrivo Usa, venti anni fa.

Finalmente sabato notte i due sono arrivati a Tokyo. «È stato molto emozionante vedere che in qualche modo avevamo contribuito a realizzare il loro sogno», ha detto Andrew Parsons, il presidente del Comitato paralimpico internazionale che li ha accolti all’aeroporto, «Erano ovviamente molto stanchi e un po’ persi. Tutto era stato così veloce per loro».

Purtroppo Rasouli era arrivato tardi per la gara dei cento metri e il comitato gli aveva offerto i 400 metri piani ma l’atleta ha declinato. Quella distanza era una sfida troppo eccessiva e così ha gareggiato nel salto in lungo. Non è la sua specialità ed è arrivato ultimo. La gara di Khudadadi, per la categoria K44, è prevista per giovedì. Difficile fare previsioni ma una battaglia è giù stata vinta: sarà la prima donna afghana a partecipare alle Paralimpiadi dai Giochi di Atene del 2004.

 

Adesso i due vengono tenuti a distanza dai giornalisti. «Gli atleti non vengono qui per avere una copertura mediatica», ha detto Craig Spence, portavoce del Comitato paralimpico internazionale, «sono atleti che realizzano il loro sogno di partecipare ai Giochi paralimpici, e poiché la vita umana, il loro benessere e la loro salute mentale sono la nostra massima priorità, non incontreranno i media durante questi Giochi». Ma Khudadadi e Rasouli sono già due star. Vivranno protetti nel villaggio paralimpico fino alla chiusura delle competizioni, il 5 settembre, e non è chiaro dove andranno dopo quella data ma già diversi Paesi, come l’Australia, si sono offerti di ospitarli.

Sorgente: Gps e una sciarpa negli slip: così due atleti paralimpici afghani sono riusciti a sfuggire ai talebani e arrivare a Tokyo

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