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Secondo un recente resoconto, il costo della «War on Terror» per gli Usa e le sue conseguenze sono sconcertanti. Provate a pensare a cosa si sarebbe potuto fare in questi vent’anni con quel denaro

Luke Savage *

All’inizio di questa settimana, durante una conferenza stampa che ha sigillato la fine della guerra in Afghanistan, Joe Biden ha pronunciato quelle che sono probabilmente le parole più incoraggianti della sua presidenza: «Questa decisione che abbiamo preso sull’Afghanistan», ha dichiarato Biden, «non riguarda solo l’Afghanistan. Segna la fine di un’era di vaste operazioni militari volte a ricostruire altri paesi». Considerati i precedenti di Biden, ci sono buone ragioni di scetticismo sulla sincerità di queste parole visto che la sua apologia del ritiro era ovviamente satura della consueta retorica imperialista.

Tuttavia, anche se ufficialmente il governo fa un passo indietro dalla logica che ha guidato la politica estera statunitense dai tempi dell’11 settembre, resta comunque a galla un residuo tossico della cosiddetta War on terror. Gli ultimi due decenni hanno visto l’ascesa di un nuovo paradigma, distruttivo e sanguinario, nella storia del potere degli Stati uniti, assieme alla crescita di una cultura militarista senza precedenti.

Nel corso degli anni tutti i presidenti, tanto i democratici che i repubblicani, hanno proiettato la terrificante potenza militare americana all’estero con catastrofici costi umani. Il risultato è stato una guerra interminabile contro una serie di minacce eteree, dai contorni imprecisi, che ha finito per trasformare anche il tenore di vita all’interno degli Stati Uniti. Dallo sviluppo di un vasto apparato di sicurezza interna fino a politiche migratorie sempre più brutali, lo spirito marziale della War on terror si è infiltrato gradualmente nelle istituzioni più importanti dello stile di vita americano, alimentando spese di sicurezza interna che alla fine hanno stornato da altre priorità trilioni di dollari dai fondi dalla spesa pubblica.

Com’è inevitabile, continueremo ad analizzare a lungo nei prossimi decenni l’eredità tossica degli ultimi anni, ma una recente inchiesta ci offre alcuni numeri indicativi sulle dimensioni con cui le politiche di questi vent’anni hanno contribuito a militarizzare la società americana. E i costi vanno oltre ogni comprensione. Il nuovo rapporto dell’Institute for Policy Studies, intitolato State of Insecurity: The Cost of Militarization Since 9/11, illustra in maniera dettagliata e scioccante le conseguenze umane ed economiche della War on terror. Utilizzando soprattutto dati ricavati dall’Office of Management and Budget (Omb), Lindsay Koshgarian, Ashik Siddique e Lorah Steichen, autori del rapporto, si sono impegnati a calcolare il costo complessivo della militarizzazione della società a partire dal 2001. La loro principale scoperta basta da sola a giustificare la lettura del rapporto: gli Stati uniti hanno speso una cifra sbalorditiva di 21 trilioni di dollari in spese militari negli ultimi due decenni, sia nei propri confini che all’estero.

Ma quel che è più interessante è il modo in cui sono arrivati a queste conclusioni. Dopo aver osservato, correttamente, che i costi economici della War on terror non si limitano alle spese per carri armati, droni e missili da crociera, gli autori includono nei loro calcoli un intero assortimento di spese: da quelle del Department of Defense (DoD) e della Central Intelligence Agency (Cia) fino all’assistenza militare internazionale, ai benefici per i veterani e alle spese di tipo militare sostenute da altre agenzie federali (si è poi scoperto che la War on terror ha arruolato anche la National Science Foundation e la Maritime Administration).

Nei calcoli sono incluse anche le spese per la sicurezza interna. Pertanto nella cifra dei 21 trilioni di dollari risultano anche i fondi allocati al Department of Homeland Security (Dhs) e alla Immigrations and Customs Enforcement (Ice). La ragione è evidente e convincente: «Abbiamo incluso anche i costi di molti programmi del Department of Homeland Security (Dhs)», hanno scritto gli autori, «perché questo ente ha origine dalla risposta agli eventi dell’11 settembre e perché la sua missione principale è quella di tutelare il paese e i confini dalle minacce esterne».

Riassumendo, secondo I loro calcoli qualcosa come 16 trilioni di dollari è andato in spese militari (almeno 7,2 trilioni di dollari ad appalti militari esternalizzati), mentre 3 trilioni sono andati a programmi a favore dei veterani, 949 miliardi di dollari sono stati destinati al Dhs e altri 732 miliardi di dollari alle forze federali. Di conseguenza il budget del Pentagono oggi è più alto di quanto fosse al culmine della Guerra fredda o durante le operazioni in Vietnam, in Corea o nel Golfo Persico, e sostanzialmente ammonta a più della metà del budget annuale delle spese federali. Nonostante questi fondi abbiano raggiunto il loro apice nel 2010, da allora sono scesi in maniera poco rilevante, rimanendo di gran lunga sopra ai livelli degli anni anteriori al 2001 e sicuramente saranno gonfiati nei prossimi anni dal perdurare delle operazioni in Somalia e, tra altre cose, dalla necessità di fronteggiare militarmente la Cina.

In alter parole, l’era della War on terror può essere ufficialmente conclusa, ma il suo impatto sulla società statunitense e sul mondo intero continuerà a farsi sentire negli anni e probabilmente nei decenni a venire. Vent’anni di militarismo americano secondo alcune stime hanno provocato quasi un milione di morti in tutto il pianeta e hanno anche contribuito alla dislocazione di 37 milioni di persone nel mondo.

Come sostengono giustamente gli autori, la scelta di priorità differenti avrebbe potuto produrre una realtà molto diversa da quella in cui ci troviamo oggi. Con una piccola frazione di costi rispetto a quella che la War on terror ha drenato dai fondi del Tesoro, gli Stati uniti avrebbero potuto pienamente decarbonizzare le proprie infrastrutture elettriche, avrebbero potuto cancellare i debiti scolastici, avrebbero potuto estendere di dieci anni i fondi destinati a fronteggiare la povertà minorile negli anni del Covid, avrebbero potuto garantire asili gratuiti e finanziare vaccini contro il Covid per tutta la popolazione mondiale. E fatto questo avrebbero ancora risparmiato dei soldi.

Si tratta di un’analisi sbalorditiva del tipo di società che potrebbero essere gli Stati uniti se le sue élite abbandonassero la propria dedizione verso il militarismo e la guerra.

*Luke Savage è redattore di Jacobin. Questo articolo è uscito su JacobinMag. La traduzione è di Alberto Prunetti.

 

 

Sorgente: Dall’11 settembre 21 trilioni di dollari in spese militari – Jacobin Italia

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