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Dall’Egitto allo Yemen, dalla Libia all’Iraq: la maggior parte delle armi italiane è esportata da 5 anni nelle zone più calde del pianeta. Con buona pace della Costituzione, che ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie. Ecco in anteprima un’analisi dettagliata dell’ultima relazione del governo in materia

Ancora una volta sono Africa settentrionale e Medio Oriente le principali zone di destinazione delle armi e dei sistemi militari made in Italy. Nell’area di maggior tensione del mondo (guerra in Siria e Yemen, conflitti in Libia e Iraq), nella quale persistono gravissime violazioni dei diritti umani (Egitto e monarchie del Golfo) e dei diritti dei popoli (come palestinesisaharawicurdi) è stata diretta anche nel 2020, per il quinto anno consecutivo, la gran parte degli armamenti esportati dal nostro paese.

Lo si ricava dalla lettura della “Relazione sulle operazioni autorizzate e svolte per il controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento” inviata alle Camere lo scorso 27 aprile, ma non ancora pubblicata nel sito del Senato.

Autorizzazioni all’export di armi italiane: le destinazioni negli ultimi 5 anni

Il trend di esportazioni militari record verso i paesi nordafricani e mediorientali, i cosiddetti “Paesi Mena”, è stato inaugurato dal governo Renzi nel 2016 (8,6 miliardi di euro di operazioni autorizzate verso questa area del mondo, pari al 58,8%) ed è proseguito nel 2017 durante il governo Gentiloni (4,6 miliardi, pari al 48,5%) e nel 2018 con al governo prima Gentiloni e poi Conte (2,3 miliardi, pari al 48,3%), nel 2019 con i governi Conte I e II (1,3 miliardi, pari al 32,6%) e, appunto, nel 2020, col governo Conte II (1,5 miliardi, pari al 38,7%).

Nell’insieme, le esportazioni militari verso l’area Mena ammontano ad oltre 18,4 miliardi di euro, pari a poco meno della metà (il 49,8%) di tutte le autorizzazioni rilasciate nell’ultimo quinquennio: una cifra che supera ampiamente quella delle licenze per armamenti dei Paesi Ue-Nato (13,9 miliardi, pari al 37,9%).

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Destinazione dell’export di armi italiane nel 2020 – Fonte: Relazione Presidenza del Consiglio dei ministri (Maeci)

Minaccia alla pace: un problema politico

Il perdurare e la consistenza di queste operazioni indicano con chiarezza la politica delle esportazioni militari da parte dei recenti governi alla quale il parlamento – che ha la funzione di controllo dell’attività dell’esecutivo – dovrebbe dedicare una specifica attenzione.

La legge n. 185 del 1990 stabilisce infatti che le esportazioni di armamenti «devono essere conformi alla politica estera e di difesa dell’Italia» e che le operazioni devono essere «regolamentate dallo Stato secondo i princìpi della Costituzione repubblicana che ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali».

Esportare la metà dei sistemi militari italiani a Paesi di fuori delle principali alleanze politiche e militari dell’Italia (Ue e Nato), ed in particolare nella zona di maggior tensione del mondo e a regimi repressivi, non può più essere considerato un tema marginale o irrilevante. Non solo perché riguarda la politica estera e di difesa del nostro Paese, ma per le pesanti ripercussioni sulla sicurezza e la pace nella regione, soprattutto in considerazione del forte incremento delle spese militari e della corsa agli armamenti da parte dei Paesi del Nord Africa e Medio Oriente.

 

Nomi delle armi italiane esportate e lista dei prodotturi

Un approfondito esame di queste esportazioni è reso necessario anche in considerazione del tipo di sistemi militari destinati ad Africa settentrionale e Medio Oriente. Le forniture inviate a questi paesi comprendono, infatti, tutto l’arsenale bellico terrestre, aereo e marino.

Limitandoci all’ultimo quinquennio, tra i principali contratti figurano i 28 caccia multiruolo Eurofighter Typhoon al Kuwait del valore di 7,3 miliardi di euro autorizzati nel 2016 al gruppo a controllo statale Leonardo (leggi Armi italiane ai regimi autoritari).

La commessa, l’anno successivo, del Qatar per 24 Typhoon di cui Leonardo è parte insieme al prime contractor britannico BAE Systems e il contratto, sempre con Doha, di Fincantieri per quattro corvette, una nave anfibia e due pattugliatori, tutti comprensivi di sistemi di combattimento e di missili, del valore di oltre 3,8 miliardi di euro (leggi Export armi: Italia sfiora il record vendendo ai regimi autoritari).

E, ancora col Qatar, nel 2018, per la fornitura da parte di Leonardo di 28 elicotteri NH-90 del valore di oltre 3 miliardi di euro fino all’anno scorso, quando la nuova entrata, l’azienda M21 Srl, si è aggiudicata la licenza per 2 midget submarines del valore di 190 milioni di euro: sono mini-sottomarini che potrebbero essere impiegati con funzioni di sorveglianza, ma anche per incursioni e attacchi alle navi mercantili e alle petroliere nel Golfo Persico.

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Un Eurofighter Typhoon – Foto: Pixabay

Armi italiane all’Egitto: elicotteri e navi militari

Nel 2020, per il secondo anno consecutivo, è l’Egitto il principale acquirente di sistemi miliari italiani. Alla licenza rilasciata nel 2019 al gruppo Leonardo per 24 elicotteri AW149 più otto AW189, tutti predisposti di mitragliatrici, del valore di 871 milioni di euro (leggi Armi italiane: calano (di poco) gli affari dell’export, proseguono le violazioni), si è aggiunta lo scorso anno l’autorizzazione a Fincantieri di due fregate multiruolo Fremm del valore di 990 milioni di euro, compresi tutti sistemi bellici più avanzati di cui abbiamo già dato notizia (si veda “Armi all’Egitto: Italia punta a commessa del secolo, ma gli attivisti non ci stanno” e “Armi all’Egitto: l’Italia continua a venderle, ma manca collaborazione per Regeni”).

Nonostante il perdurare della repressione interna, anche nel 2020 sono state rilasciate licenze per fornire agli apparati militari egiziani armi leggere, munizioni e apparecchiature per l’addestramento militare.

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L’export di armi italiane tra il 2017 e il 2020 – Fonte: Relazione Presidenza del Consiglio dei ministri (Maeci)

Armi italiane in Yemen: revocate le licenze per bombe all’Arabia Saudita

Il governo Conte si è però distinto, stavolta positivamente, per un atto fondamentale: la revoca delle licenze di esportazione di bombe e missili all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi Uniti. Ne ha dato notizia a fine gennaio la Rete italiana pace e disarmo che, insieme a numerose associazioni, ha espresso «grande soddisfazione» per questo «atto di portata storica»: si tratta della prima revoca per esportazioni di sistemi militari dall’entrata in vigore della legge 185 del 1990 (leggi anche Armi italiane all’Arabia Saudita: il blocco non basta, passano per il Regno Unito).

La revoca di questa licenza – stabilita dopo la sospensione decisa in seguito a una mozione parlamentare nel luglio del 2019 (leggi Bombe italiane in Yemen: pronti a interrompere forniture all’Arabia Saudita) – ha cancellato la fornitura di almeno 12.700 ordigni che venivano utilizzati dalla coalizione a guida saudita nel conflitto in Yemen.

Nello specifico, l’atto governativo ha riguardato sei licenze che erano state rilasciate all’azienda Rwm Italia per esportare bombe di diverso tipo, ma soprattutto bombe aeree della classe MK-80, che avevano come destinatari e utilizzatori finali l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti.

Rwm Italia perde il ricorso al Tar del Lazio

Contro la revoca decisa dal governo Conte si è appellata l’azienda Rwm Italia – che fa parte della multinazionale tedesca degli armamenti Rheinmetall – presso il tribunale amministrativo regionale (Tar) del Lazio. Il tribunale ha rigettato il ricorso dell’azienda in quanto «risultano ampiamente circostanziati e seri i rischi che gli ordigni oggetto delle autorizzazioni rilasciate da UAMA (Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento, ndrpossano colpire la popolazione civile yemenita, in contrasto con i chiari principi della disciplina nazionale e internazionale».

Non solo. La sentenza evidenzia che il ricorso di Rwm Italia non può essere accolto poiché «la salvaguardia e l’incolumità della popolazione civile prevale rispetto a quello della ricorrente alla conservazione della propria quota di mercato».

Armi e «crimini di guerra»

La principale delle forniture riguarda l’invio all’Arabia Saudita di 19.675 bombe aeree del valore di 411milioni di euro che era stata rilasciata nel 2016 (Osservatorio Diritti ne aveva dato per primo la notizia nell’articolo Armi italiane ai regimi autoritari). Si tratta della maggiore esportazione di bombe mai autorizzata dall’Italia dal dopoguerra: una autorizzazione che, per la sua rilevanza e criticità, oltre alle normali procedure di tipo amministrativo, non può non essere stata sottoposta anche ad una valutazione di tipo politico da parte del governo Renzi.

È stata rilasciata, infatti,  quanto erano già noti – e ripetutamente denunciati dal Segretario generale dell’Onu, oltre che da diverse ong internazionali – i bombardamenti della coalizione saudita in Yemen anche sulle aree abitate dalla popolazione civile.

Azioni militari che, come ha documentato un rapporto di esperti delle Nazioni Unite consegnato al Consiglio di Sicurezza nel gennaio del 2017 (leggi L’Onu e le bombe italiane in Yemen), e come ha confermano un successivo rapporto dell’Onu nel settembre 2020, possono costituire «crimini di guerra». Una ragione in più per il parlamento per dedicare una specifica attenzione a tutta la questione delle esportazioni italiane di armamenti.

Sorgente: Armi italiane: metà dell’export a Nord Africa e Medio Oriente

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