0 13 minuti 3 anni

Dalle carte dell’inchiesta sull’associazione mafiosa gestita dalla cantante-ereditiera emerge uno spaccato incredibile della nuova criminalità italiana, tra i casalesi, Gabriel Garko e Palamara. Quando diceva: “Io c’ho dietro la camorra ma tu, esattamente, ndo ca… vai?”

“Aho a Piè. Io c’ho dietro la camorra. Tu, esattamente, ‘ndo ca… vai?”. Con una battuta, fulminante, Bettozzi Anna, in arte Ana Bettz, starlette, eriditiera milionaria, capo di un’associazione mafiosa che trafficava petrolio di contrabbando a spese dello stato secondo quattro procure antimafia (Roma, Napoli, Catanzaro e Reggio Calabria), regala uno spaccato straordinario di un pezzo del nostro Paese: un luogo senza più bordi, dove tutto si mischia, sovrappone senza potersi più distinguere. E così le aspiranti starlette diventano camorriste, cantano alle feste di Berlusconi o di magistrati la sera, mentre la mattina fatturano centinaia di milioni con i capi clan. Pagano attori famosi per fingere relazioni sui settimanali, sfilano sul tappeto rosso del festival di Cannes dopo aver portato milioni di euro criminali in contanti da una parte all’altra del confine a bordo di Rolls Royce.

La storia è quella raccontata in decine di migliaia di pagine dalla Guardia di Finanza e i carabinieri del Ros dopo più di tre anni di indagini: un vorticoso giro di denaro, società fittizie e traffico di petrolio di contrabbando, che ha permesso a gruppi camorristici e ‘ndranghetisti di arricchirsi, sulle spalle dello Stato, di quasi un miliardo di euro. Non pagando le tasse e frodando l’Iva. Un sistema sofisticato che ha avuto ulteriore ossigeno negli ultimi 12 mesi, grazie alla crisi di liquidità causata dalla pandemia. Risultato: 71 arresti, un miliardo di beni sequestrati.

 

 

Il centro della storia, che non è né commedia né farsa, ma mafia, tremendamente mafia, è questa signora romana di 63 anni, Anna Bettozzi, in arte Ana Bettz, personaggio dalle mille sfaccettature: aspirante starlette, poi cantante un po’ stonata, diventa ereditiera del petrolio, dopo aver sposato l’imprenditore Sergio di Cesare, morto tre anni fa, all’inizio dell’inchiesta. La Bettozzi, anzi la Bettz, non ama stare dietro i riflettori. Ma davanti. E’ vicina di casa in Sardegna di Berlusconi, regina di molte terrazze di Roma Nord che prova a usare come trampolino, senza riuscirci però, per la sua carriera da cantante. Pubblica un paio di dischi, riesce a cantare anche qualche festa in Sardegna a casa del presidente del Consiglio, ma nulla più. Alla morte del marito eredita una fortuna. Il tesoretto è nella Maxpetroli, società che commercializza prodotti petroliferi. L’azienda – secondo la ricostruzione che ne fanno Finanza e Ros – non naviga però in ottime acque. Anzi. E per questo la Bettz chiede un’iniezione di liquidità ad amici.

Purtroppo però gli amici sono gli uomini del clan Moccia che, come spiega il procuratore capo di Roma, Michele Prestipino, “storicamente ha fatto registrare la propria presenza in regime di monopolio dei prodotti petroliferi”. L’iniezione di liquidità arriva. E anche la protezione del clan di Afragola che scoraggia i tentativi estorsivi di altri gruppi criminali come i Casamonica. Ed è importante. “La Bettozzi diventa così – scrive il gip Tamara de Amicis nell’ordinanza di custodia cautelare – il capo indiscusso dell’organizzazione, della persona più di tutti “esperta” della materia anche grazie a quanto imparato dal marito. Nulla si muove senza il suo assenso; è lei che intavola il rapporto con Alberto Coppola e, tramite lui, con tutto il gruppo napoletano dal quale riceve cospicui finanziamenti per la propria attività illecita, remunerando adeguatamente gli investimenti fatti da costoro”.

Anna Betz è donna risoluta. E riesce a tenere però testa anche ai camorristi. “Aho, me state a prendere per c…?” urla al telefono a Coppola, il suo referente, che fino a qualche giorno fa negava fosse uomo di camorra. Sapeva dell’inchiesta, perché aveva spie nella Finanza, all’Agenzia delle Dogane e forse nella magistratura (“erano a conoscenza di un vertice avvenuto alla Dna” annota il gip). ” La Bettozzi – scrive il giudice – che riesce a mantenere saldamente nelle mani della propria famiglia il deposito della Maxpetroli resistendo senza difficoltà alle pressioni del Coppola che, anche forte della provvista di denaro a lui messa a disposizione dal clan Moccia, cerca di insinuarsi nel deposito romano”, senza riuscirci. Non vuole avere a che fare con gente inesperta: “Alberto io non sono abituata così! Perdonami. Perdonami io ho soci che si chiamano Tronchetti Provera e Silvio Berlusconi”, dice al telefono parlando con Coppola.

Durante le numerosi conversazioni i due si scherniscono a vicenda, si chiamano “amore”, fingono di essere fidanzati. In realtà si sono conosciuti nel 2017, “tramite un social network”. Lei ha bisogno di liquidi. Lui già da un po’ “è inserito nel settore della vendita di carburanti e dispone agevolmente di società da utilizzare per le frodi”. Il risultato dimostra la teoria del capo dei magistrati romani, Michele Prestipino: tra imprenditori e mafia c’è “un rapporto che segue un paradigma scolastico per cui c’è un gruppo imprenditoriale che in poco tempo ha moltiplicato 45 volte il proprio volume di affari e lo ha fatto grazie all’organizzazione mafiosa”.

 

(fotogramma)

La Bettozzi, che ben “conosce i meccanismi fraudolenti già contestati al marito dal quale ha ereditato l’azienda, non è affatto una sprovveduta nel coltivare un rapporto apparentemente stravagante”. È Coppola a inserire la Bettozzi nel mondo campano, dove società presentano finte dichiarazioni di intento, fatturando poi fittiziamente.

 

L’immagine di un garage dove hanno sede decine di aziende, gestite di fatto da personaggi di facciata che al telefono si confondono anche sul nome delle società che avrebbero dovuto rappresentare, fotografa il meccanismo utilizzato per frodare il Fisco attraverso teste di legno. “La figura del professionista terzo da nominare amministratore serve solo come specchietto per le allodole e per scaricare responsabilita? – scrivono gli inquirenti – Unica obiezione, bisogna mettere al posto di comando (apparente) una persona credibile, non i soliti “rumeni sdentati”, come sottolinea la Bettz.

“Ancora una volta viene dimostrata l’insufficienza del concetto di infiltrazione per descrivere la presenza massiva nei sistemi economici complessi e delicati, con una vera e propria costellazione di impese mafiose che offrono e mettono a disposizione ingenti risorse finanziarie e offrono straordinaria capacità di garantire servizi illegali come quelli di una rete impressionante di società cartiere per false fatturazioni che consentono straordinari profitti”, ricorda il procuratore di Napoli, Giovanni Melillo.
La Bettozzi usa la mafia per avere denaro e la mafia usa l’azienda della Bettozzi per moltiplicarlo ed entrare in un affare importante.

“Dove ci sono i soldi le mafie intervengono – conferma il procuratore capo di Reggio Calabria, Giovanni Bombardieri – il valore aggiunto di questa indagine è il collegamento con gli uffici giudiziari che ha consentito di operare sequestri in tutta Europa ricostruendo il piano criminale fatto di false fatturazioni e riciclaggio”.
I casalesi, i Moccia, i Formicola. Tutti i clan sono interessati all’oro nero. E riescono a insinuarsi ad alti livelli.  Lo dimostra una riunione avvenuta nel 2019 a Vibo Valentia. Seduti introno a un tavolo ci sono Luigi Mancuso, dell’omonima famiglia, altri personaggi in odor di mafia, due broker, gli interpreti e anche un rappresentante dell’azienda di idrocarburi Kmg, la KazMunaiGaz del Kazakistan. Mangiano e parlano di affari. L’obiettivo è quello di far costruire una boa capace di far attraccare le petroliere, facendo arrivare il petrolio a Vibo Valentia ed evitando di passare dal porto di Gioia Tauro, una zona sotto il controllo di altre famiglie mafiose che avrebbero voluto una percentuale.

Nel corso di quel pranzo è anche stato posto un problema: a Maierato, poco distante da dove volevano piazzare la boa, ci sono i depositi dell’Eni. Mancuso ha la soluzione: “ha detto che gli avrebbe fatto ritirare le licenze dagli enti locali e che avrebbero usato anche le cisterne dell’Eni. Questo per dire le mafie non hanno frontiere e sono capaci di interagire con chiunque, a qualsiasi livello. L’operazione si è interrotta perché il collettore tra i broker e Mancuso, Prenestì è stato arrestato per omicidio e tentato omicidio”, ha spiegato il procuratore capo di Catanzaro, Nicola Gratteri.

A Roma, nel frattempo, Ana Bettz cercava un volto pulito per la sua azienda. Sente il fiato degli inquirenti alle costole. Negli atti si legge che sua figlia, Virginia di Cesare, propone a un altro indagato di nominare Giulio Tremonti nel consiglio di amministrazione: “L’amministratore può anche non essere a conoscenza dell’eventuale falsità delle dichiarazioni di intento visto che è il cliente a dichiarare di possedere i requisiti di esportatore abituale ed è l’Agenzia delle Entrate che avalla la richiesti”. L’interlocutore è perplesso. Tremonti si accorgerebbe delle modalità illecite con cui la società opera e perciò non accetterebbe mai un incarico simile. Sarebbe meglio, dicono, individuare un soggetto che abbia in passato rivestito un ruolo nella Guardia di Finanza, che possa bloccare sul nascere eventuali indagini.

Gli indagati sapevano di essere nel mirino degli inquirenti. Ma hanno deciso di non fermarsi e di affinare la loro tecnica. Hanno ad esempio escogitato un trucco per trasportare il gasolio per autotrazione spacciandolo come gasolio agricolo, quindi sottoposto ad accise differenti. Falsificavano gli atti. E se il carburante veniva controllato durante il trasporto i camion erano dotati di leve e pulsanti che facevano esplodere un colorante in grado di cambiare il colore del gasolio per camuffarlo. Il petrolio “sospetto”  finiva poi nelle “pompe bianche” turbando la libera concorrenza del mercato.
E poi bisognava pulire il denaro. E gli indagati sanno come fare. Acquistano macchine di lusso, case, nascondono i soldi in borsoni o in cassette di sicurezza e li investono in attività commerciali, immobili e sponsor tra Ungheria, Bulgaria, Grecia, Malta, Inghilterra e Croazia.

Ma ad Ana Bettz non bastava comandare nel clan. Cercava altro, anche. Il successo. Imperdibili sono le sue interviste a Novella 2000 nelle quali racconta l’amore con Gabriel Garko, l’attore (che ha raccontato anche la sua omosessualità) che tiene a libro paga. 250mila euro, sotto forma di un contratto per la società. Le prove sono contenute nelle telefonate intercettate. La sera del 28 febbraio 2019, ad esempio, Anna Bettozzi arriva alla stazione di Milano. Alle 19.41 chiama Garko e discutono del contratto. L’attore si lamenta: “Si era parlato del contratto in un certo modo…poi a me è arrivato un contratto fatto in un altro….il contratto era da 200mila”. “E quanto doveva essere?”. chiede la donna. “Il contratto doveva essere da cento”. risponde Garko. “100 in nero e 100 in fatturato, sul contratto va messo solo il fatturato. Il cash prima del contratto”.

Qualche giorno dopo sono insieme sul tappeto rosso del festival di Cannes. E’ a bordo della sua Rolls Royce, mentre stava cercando di superare il confine di Ventimiglia, quando viene fermata con 300 mila euro in contanti. Non sa che non è un controllo casuale. I finanzieri, in albergo, le trovano un milione e 700 mila euro. “Mortacci loro”, dice la signora che qualche sera dopo cantava su una terrazza romana a una festa con i magistrati Luca Palamara e Cosimo Ferri. Ieri quando i finanzieri sono andati a metterle le manette per portarla in carcere ha avuto un malore. Ora è in clinica. Ma sa che  un’altra storia sta per cominciare.

Sorgente: Una spia dentro l’antimafia e quelle feste vip sulle terrazze romane, così Ana Bettz comandava la mafia del petrolio – la Repubblica

Please follow and like us:
0
fb-share-icon0
Tweet 20
Pin Share20