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La relazione del governo sulle vendite di armi nel 2020 non spiega chi ha comprato cosa. Ma nella selva di sigle compaiono contratti singolari. Come le forniture hi-tech alla Turchia o i clienti ignoti di droni bombardieri. Fino alle vendite militari al Vaticano

Gianluca Di Feo

Dovrebbe essere il documento che garantisce la massima trasparenza su uno degli argomenti più scabrosi e più finanziariamente rilevanti: l’esportazione di armamenti prodotti in Italia. E per questo è previsto che vengano realizzate ben quattro relazioni dai ministeri coinvolti – Difesa, Esteri, Economia, Interni – più un rapporto delle Dogane e una nota sintetica della Presidenza del Consiglio. Ma in circa millecinquecento pagine di tabelle, grafici e sigle tecniche manca l’unica informazione decisiva: a chi è stato venduto cosa.

Sfogliando il monumentale dossier che radiografa l’export bellico nazionale nel 2020 possiamo conoscere nel dettaglio ogni pezzo di ricambio ceduto e da quale azienda; quanto ha speso ogni Paese estero e per quali categorie di apparati; quante banche hanno gestito pagamenti. Non c’è però nessun sistema che permetta di incrociare questi dati. E rendere noto – ad esempio – cosa abbiamo fornito e da quali società alla Turchia di Erdogan o all’Egitto di Al Sisi. O a chi siano finite armi delicatissime, come i droni lanciamissili, mimetizzate tra le migliaia di operazioni censite con oscuri acronimi nei rapporti ministeriali.

GLI INCURSORI DEL QATAR

Repubblica ha cercato di analizzare i documenti, per individuare una serie di transazioni a dir poco particolari. La miniera più importante è la relazione della Farnesina, 677 pagine firmate da Luigi Di Maio. Lì c’è il dettaglio dei beni venduti, divisi per contratto. E si può tentare di confrontare la cifra degli importi con quella della spesa di un Paese, per provare a identificare quindi chi ha ricevuto gli armamenti. Un calcolo complesso per ricostruire quella trasparenza negata dal rapporto del governo.

Il primo accordo che spicca è quello per la cessione di due “midget submarine”. Cosa sono? Sarebbe stato importante spiegarlo, visto che il contratto vale ben 190 milioni di euro. Si tratta di mini-sottomarini altamente sofisticati, che servono per compiere incursioni: trasportano sabotatori subacquei in prossimità di navi o di obiettivi sulla costa. In alcuni casi possono avere a bordo siluri leggeri o sistemi da spionaggio. Deve trattarsi di mezzi potenti: secondo la lista hanno un motore diesel e uno elettrico. E dispongono pure di un sonar. Nel pacchetto è anche incluso l’addestramento degli equipaggi. A venderli è la M23 srl di Zingonia (Bergamo). E questo ci permette di fare luce sull’acquirente. Perché il governo Conte nel maggio 2020 ha autorizzato la cessione dei progetti della GSE di Trieste, storica produttrice di battelli per operazioni speciali, alla Al Shamal, una sigla creata pochi mesi prima a Doha, in Qatar.

I due sottomarini quindi sono stati venduti al Qatar, che si è premurato di comprare pure una fabbrica in Lombardia per fabbricarli. Una transazione di rilevanza strategica. Nei bassi fondali del Golfo questo tipo di battelli-spia possono compiere raid clamorosi e proprio in queste settimane sono i protagonisti della guerra segreta tra Iran e Israele, con assalti reciproci contro petroliere e mercantili. Secondo alcuni siti di intelligence, il Qatar vuole acquisirne quattro. Stando ai documenti, il nostro governo ha seguito tutte le procedure di legge. Ma non ha spiegato agli italiani cosa stava avvenendo, coprendo tutto in un mantello di formule burocratiche.

TURCHI INVISIBILI

Non è l’unica sorpresa. Nel 2019 quando Ankara iniziò l’offensiva militare in Siria contro le milizie curde – quelle che avevano sconfitto lo Stato islamico – Repubblica sollevò il caso degli elicotteri da combattimento AT129, prodotti in Turchia con tecnologia del gruppo Leonardo. Gli elicotteri erano in prima linea nell’avanzata dell’esercito di Erdogan. All’epoca molti parlamentari chiesero che le forniture per questo programma venissero interrotte. Invece sono proseguite: nel 2020 sono censite vendite di componenti, dotazioni, visori e altri pezzi necessari per assemblare gli elicotteri in Turchia. Tutto consegnato da Leonardo all’interno di un accordo del valore complessivo di oltre 100 milioni di euro. Alcune volte gli elicotteri sono indicati come T129 altre con il nome di Atak, ma non ci sono dubbi sulla destinazione: nessun altro Paese al mondo li possiede. Il dossier governativo spiega solo che nel 2020 Ankara ha acquistato sistemi bellici per 34 milioni, indicando otto categorie merceologiche generiche. Una è molto inquietante: “007 agenti tossici, chimici o biologici, gas lacrimogeni, materiali radioattivi”. Impossibile decifrare cosa esattamente sia stato esportato: nell’ipotesi minimale, si tratta dei lacrimogeni usati contro i manifestanti che contestano il governo turco. La collaborazione con Erdogan però sta andando oltre. Nel rapporto del Ministero dell’Economia appare la cessione di tecnologia militare per “il progetto Hurjet per lo sviluppo di un sistema per carrello di atterraggio”. Il “progetto Hurjet” è l’impresa più ambiziosa dell’industria aerospaziale turca: costruire un addestratore avanzato con capacità di cacciabombardiere, che dovrebbe compiere il primo volo l’anno prossimo. Le forme esterne somigliano moltissimo all’M346 di Leonardo. E adesso forse si capisce perché.

DRONI A VOLONTA’

Impossibile invece ricostruire l’acquirente di tre droni Astore Er-Bml. Il contratto vale 27 milioni. Secondo le riviste specializzate, l’Astore è la versione potenziata dell’aereo teleguidato Falco di Leonardo: oltre a compiere missioni di ricognizione, ha la capacità di lanciare missili terra-aria. Ci sono poi, seppur di piccoli importi, vendite di sensori per “velivolo Heron Tp”: l’unico noto con questo nome è un aereo robot israeliano, conosciuto anche come Aitan, esportato pure in Francia e Grecia. Molto richiesti i jammer: apparecchiature che disturbano i sistemi di pilotaggio dei droni e li fanno precipitare. Nella lista compaiono pure centinaia di minuscoli Ziphyus navali, che servono per ispezionare i fondali marini, e una squadriglia di Manta, aeroplanini da ricognizione imbarcati su navi: sembrerebbero destinati all’Egitto.

LE FREGATE ALL INCLUSIVE

Lo scorso anno il miglior cliente dell’Italia è stato proprio l’Egitto: ben 991 milioni. Si tratta – come illustrano i documenti – di un quarto dell’importo di tutto l’export, interamente speso per le due fregate Fremm varate per la nostra Marina e rivendute da Fincantieri. Anche in questo caso, incrociando le tabelle si può cercare di fare luce su cosa comprenda il pacchetto per il Cairo: in pratica, le navi sono complete di tutto. La lista include: 18 missili terra-aria Aster15 e altrettanti Aster30 a lungo raggio; 8 missili antinave Otomat; 380 munizioni per i cannoni e 1200 per le mitragliere. Spiccano 60 colpi Dart e 80 Vulcano: in pratica, sono sofisticati proiettili per cannone che agiscono come missili. Pure le dotazioni di sonar, radar e gli apparati di guerra elettronica sono al massimo livello tecnologico. E c’è abbondanza di ricambi, manuali d’uso e, in alcuni casi, corsi d’addestramento per apparecchiature specifiche. Insomma, abbiamo consegnato due navi pronte a entrare in battaglia.

SANTE PROTEZIONI

Ci sono tante voci che non si riesce a ricondurre a un Paese compratore. Ad esempio, il “pattugliatore veloce per sbarco di incursori”: un mezzo navale assai sofisticato, lungo 32 metri, costato ben 29 milioni di euro, istruzione del personale inclusa. E resta ignoto l’acquirente della “Academy Ew”: una struttura per addestrarsi alla guerra elettronica – almeno così viene presentata – al prezzo di 35 milioni. Sorprende che tra le rarissime cessioni alla Libia, per un importo di 5,8 milioni, riappaia il codice “007 agenti tossici, chimici o biologici, gas lacrimogeni, materiali radioattivi”. Sono i lacrimogeni usati contro i migranti nei campi libici? Impossibile dirlo. Infine, un’ultima curiosità. L’Italia ha esportato armamenti pure allo Stato del Vaticano. Sì, c’è un contratto con la Santa Sede, seppur di soli 19.022,38 euro. La particolarità della cifra permette di incrociare i dati e conoscere il dettaglio: si tratta di venti giubbotti antiproiettile e di due “scudi balistici”. Probabilmente la protezione per la scorta di papa Francesco. Ma resta paradossale che la relazione voluta dalla legge per fare trasparenza sull’export bellico renda enigmatico capire persino ciò che abbiamo venduto al Vaticano.

Sorgente: Dai sottomarini del Qatar ai missili di Al Sisi: i misteri dell’export italiano – la Repubblica

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