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C’è un modo disperato di uccidersi: il sacchetto di plastica. Il Parlamento italiano lo sta facendo.

È vero che prima ha subito una serie di umiliazioni e di multe e di tentativi di amputazioni. Il fatto nuovo e difficile da spiegare è che ha accettato tutto e ha cercato da solo di aggravare l’imputazione, la umiliazione e la pena. È anche vero che molte delle accuse sono o erano fondate e molte delle dure imposizioni tentate (dette bonariamente “riforme”) potevano avere un senso. Il fatto mai accaduto è l’entusiasmo, la spinta quasi di corsa con cui il Parlamento ha assecondato gli attacchi subiti, e poi, quando poteva, li ha acclamati votandoli.

Però la prova è tremenda. Vuol dire che c’erano persone abbastanza forti e motivate per sradicare pezzi interi di vita e tradizione parlamentare, ma nessuno in grado di fronteggiare ragionevolmente gli attacchi e poi riorganizzare il cambiamento, non come vendetta ma come riforma.

Tutto è cominciato col taglio del vitalizio voluto da un nuovo partito giunto alle Camere in trionfo. Nessuno discute più se lo schiaffo sarà stato in moltissimi casi meritato. Resta la macchia, la cattiva reputazione, la mancanza di stima per chi deve decidere le regole di vita di tutti. Subito dopo è cominciata, nel Parlamento, un implacabile atto di accusa contro una parte del Parlamento stesso: il Senato. Si trattava di sopprimerlo, come un male non più sopportabile, e anzi pericoloso per la vita della Repubblica, con le sue pretese di Camera alta e l’offesa, inaccettabile dei senatori a vita che, come dice Salvini, avrebbero dovuto candidarsi come i veri eletti.

La lotta contro il Senato – benché avvolta in una serie di altre “nuove idee” dette riforme, e identificate nella persona dell’ex primo Ministro, poi ex segretario del maggior partito italiano (fino al 40 per cento di voti), poi (dopo la sconfitta) senatore Matteo Renzi – è caduta sotto una valanga di voti contro. Ma la campagna aveva avuto il suo corso. Adesso, per i cittadini che votano, anche il Senato non merita rispetto e resta una costosa e inutile perdita di tempo. Ma la campagna del Parlamento contro il Parlamento non poteva finire qui. Bisognava tagliare il numero dei deputati e dei senatori o per fare economia o per portarsi al livello di altri Paesi, o per guadagnare tempo e rendere più facile il lavoro del Parlamento. Di nuovo il Parlamento è il giudice e l’esecutore della propria condanna (poi, per altre ragioni, non eseguita) senza che voci autorevoli e indipendenti si levassero a discutere i vantaggi, le ragioni, le obiezioni di così importanti mutamenti costituzionali.

Qualunque complottista deve ammettere che, se c’è un potere forte che vuole la fine del Parlamento, quel potere è solidamente insediato dentro il Parlamento e sa come lavorare a rendere evidente inerzia, malafede e a boicottare se stesso. A questo scopo (il boicottaggio del Parlamento e della sua possibilità di funzionare) vengono usati due espedienti cattivi ed efficaci. Il primo, frequentissimo, è la cosiddetta “bagarre”, parola cara ai media per non nominare autori e colpevoli e far apparire improvvise e violente ondate di disordine in una delle due Camere come “colpa di tutti”. È importante che la “bagarre” avvenga spesso, che gli atti di sfida al rispetto di regole o persone siano frequenti e clamorose. Ed è importante che la inevitabile ripetizione sui social delle immagini peggiori serva ad ancora più discredito del Parlamento. Il secondo espediente è buttare tutto in piazza, magari con gigantesche bandiere nazionali, in modo da far capire, anche attraverso la caricatura gigantesca, tipo Pop art della bandiera, che per poter fare politica bisogna venire in piazza, fra le gente, perché non è possibile in Parlamento a causa della “bagarre” che quelli della bandiera gigante sanno provocare.

Ma se il Parlamento continua rumorosamente a procedere, come una automobile senza marmitta, nel suo chiassoso, lentissimo e inconcludente lavoro, allora si può dare una mano (con grande concorso di tutti) per proporre diecimila emendamenti a una legge detta “Rinascita” che dovrebbe portare sostegno e benefici ai più colpiti, economicamente, dalla pandemia.

La trovata dei diecimila emendamenti non serve a chiarire o migliorare. Serve a impedire. E così il piano è svelato con chiarezza: abolire il Parlamento.

 

Sorgente: Il Parlamento suicida: una morte annunciata – Il Fatto Quotidiano

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