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Covid Usa, 2,5 milioni di contagi: un infettato su 4 nel mondo vive qui: colpito il Sud trumpiano

Dal Texas alla Florida, il ritmo è ormai di 40mila casi al giorno. Il ministro della Salute Azar: «La finestra si sta chiudendo, abbiamo poco tempo per riportare la situazione sotto controllo». Ma Trump minimizza

di Giuseppe Sarcina

Il virus sarà pure cinese, ma la pandemia all’americana è ormai una realtà originale e sconcertante. Il contagio avanza al ritmo di 40 mila nuovi casi al giorno. La curva, unico caso tra i Paesi sviluppati, ha due gobbe. Al picco di metà aprile, circa 35 mila positivi ogni 24 ore, si è aggiunto questo di fine giugno. Dall’inizio dell’emergenza ci sono stati 2,5 milioni di casi e 125 mila morti. Lo sciame del Covid-19 si è spostato verso Sud, nella cosiddetta Sun Belt, colpendo in particolare Texas, Florida e Arizona.

Banditi da New York

Negli ultimi giorni la somma dei positivi in questi tre territori è stata pari alla metà del totale nazionale. Prendiamo i nuovi casi registrati il 27 giugno. Texas: 6.000; Florida: 9.500; Arizona: 3.700. In altri termini la fascia meridionale che si estende da Est a Ovest è diventato il focolaio più attivo, occupando il posto che New York aveva ad aprile. La crisi sanitaria sta provocando cose mai viste in America. Qualche mese fa il governatore della Florida, Ron DeSantis, aveva sospeso l’ingresso dei concittadini newyorkesi nel suo Stato. Adesso è il governatore di New York, Andrew Cuomo, a bandire i viaggiatori provenienti da otto Stati, compresa la Florida.
Il pendolo dei provvedimenti costituisce la prova migliore di quanto sia mancato e continui a mancare un minimo di coordinamento all’interno degli Stati Uniti.

Ultima chiamata

Alex Azar, ministro della Sanità dell’amministrazione Trump, ieri ha fatto il giro delle tv per avvertire: «Abbiamo poco tempo per riportare la situazione sotto controllo, la finestra si sta chiudendo». Un messaggio completamente diverso da quello diffuso dal presidente, nei comizi, via Twitter o nelle interviste. Trump non si smuove: l’aumento dei casi è collegato all’incremento dei test. Azar, più volte considerato prossimo all’uscita, ha acrobaticamente cercato di conciliare la linea della Casa Bianca con le allarmanti evidenze dei numeri. Ha chiesto agli americani di «rispettare le distanze sociali, indossare la mascherina e praticare le precauzioni igieniche».
A Washington i repubblicani guardano i sondaggi elettorali, al momento in rovinosa caduta. Qualcuno, come il senatore Lamar Alexander è andato diritto al punto: «Sarebbe molto utile se il presidente indossasse la mascherina. Potremmo sbarazzarci di questo dibattito politico per cui chi la porta è contro Trump e chi non la porta lo sostiene».

Ripensamenti

La zavorra ideologica, introdotta dalla Casa Bianca, si sta rivelando micidiale. Greg Abbott, governatore del Texas, è prima trumpiano e poi repubblicano. Aveva imposto il lockdown il primo aprile scorso e lo ha tolto 30 giorni dopo ansioso di compiacere la base texana di Trump, che è anche la sua. Abbott si è fatto beffe della mascherina e non ha neanche preso in considerazione gli avvertimenti del virologo Anthony Fauci: aspettiamo ancora qualche settimana a riaprire. Il «liberi tutti» è scattato il 31 maggio, giorno del Memorial Day che segna l’inizio dell’estate. Spiagge affollate, gente ammassata in locali e ristoranti. Atmosfera festosa e spensierata. In Texas, come in Florida e, in parte in Louisiana, Mississippi e Alabama. Il conto arriva adesso.

Test e ospedali

I dati mostrano che l’equazione trumpiana, «più test più casi», non regge. In Texas, per esempio, l’incremento dei contagiati è più che proporzionale rispetto all’aumento dei tamponi. Detto in numeri: per tutto il mese di maggio, il 5% dei test è risultato positivo. Dal 14 giugno a oggi la percentuale è salita, fino ad arrivare al 13% del 26 giugno. L’euforia, come spesso capita, si è subito trasformata in ansia. Ieri le immagini in arrivo da Dallas mostravano lunghe file di auto in coda per raggiungere le postazioni dei test drive-in. A Houston, la città più colpita, i letti per la terapia intensiva sono quasi al completo. A Miami, in Florida, la media giornaliera dei ricoverati adesso si aggira sui 900 pazienti, contro i 750 di metà aprile.

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