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Fra i dipendenti della struttura anche un cameriere di Rapallo. «L’aereo per Roma è a New York, ma lì c’è il record di contagi»

Una contraddizione: ricevere la lettera di sfratto con l’obbligo di lasciare la casa in quello che è uno dei parchi divertimento più grandi al mondo. Avviso – via mail – recapitato a 200 ragazzi italiani tre giorni fa dalla Walt Disney: entro il 17 aprile dovranno andare via. In piena emergenza coronavirus. Questo, dall’altra parte del mondo: perché i 200 ragazzi italiani – età media, 25 anni – sono tutti lavoratori all’interno del Walt Disney Resort di Orlando, in Florida, il complesso di parchi tematici più grande al mondo.

Prima – il 15 marzo – ai 200 è arrivata la mail con la notizia della chiusura del parco al pubblico. Poi, una manciata di giorni fa, hanno appreso, sempre via mail, di dover lasciare le Disney Housing. Ovvero: i complessi abitativi che ospitano (non gratuitamente, si paga un affitto) tutte le persone – e sono migliaia – che arrivano da tutto il mondo, con la modalità Disney International Programs, per lavorare fra attrazioni, negozi, ristoranti del Resort di Orlando. Fra i 200 c’è Nicola Pocorobba: 28 anni, racconta con un pizzico di orgoglio di essere stato «il primo rapallese e il terzo genovese» ad aver ottenuto il lavoro al mega parco divertimenti della Florida.

È cameriere in un ristorante nella zona del parco Epcot dedicato alla scienza, alle tecnologia e alle culture del mondo. «Abbiamo ricevuto una mail dalla Walt Disney con la notizia che il parco avrebbe chiuso almeno due settimane – racconta Nicola Pocorobba – ce lo aspettavamo, con l’emergenza coronavirus le presenze si erano affievolite di giorno in giorno. Nella comunicazione successiva siamo stati informati che il Disney International Programs sarebbe terminato, non essendo possibile nemmeno prevedere una data di riapertura. Nell’ultima mail ci è stato scritto che entro il 17 aprile dobbiamo lasciare quella che in questi mesi è stata la nostra casa».

Tempistica stretta, strettissima già in tempi normali. Figurarsi in piena emergenza coronavirus: «Siamo un piccolo mondo, qui. Ci sono i padiglioni dedicati all’Italia, alla Francia, all’Inghilterra, al Marocco, al Giappone, alla Cina, al Canada, al Messico, all’America, alla Germania – racconta ancora Pocorobba – C’è chi è già andato via e chi, come molti di noi, è rimasto perché le società per le quali lavoriamo comunque pagavano l’affitto alla Disney. Ora non sappiamo cosa fare, abbiamo paura e chiediamo aiuto alla Farnesina».

I voli da New York a Roma ci sono, i ragazzi già si sono informati: «È vero, ma sussistono due problemi – sottolinea Pocorobba – il primo è economico: siamo ragazzi e non tutti abbiamo la disponibilità di migliaia di euro, pronte, da spendere per il rientro. Il secondo, il più importante: New York è la città con il maggior numero di contagiati e morti in America, non vogliamo rischiare, non vogliamo partire da lì, abbiamo paura. Chiediamo un volo Orlando–Roma, siamo in 200». Dalla Farnesina, la replica: «Il Consolato Generale d’Italia a Miami, in stretto raccordo con l’Unità di Crisi della Farnesina e l’Ambasciata italiana a Washington, segue con la massima attenzione il caso dei connazionali ad Orlando, in Florida. Il Consolato è in costante contatto con i ragazzi ed è al lavoro senza sosta per prestare ogni possibile assistenza e identificare itinerari utili di rimpatrio».

Sorgente: Il parco Disney in Florida sfratta 200 lavoratori italiani: «Ci espongono al pericolo» – Il Secolo XIX

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