0 4 minuti 4 anni

Il presidente della Link Campus University ritiene che il Conte-bis reggerà soltanto nella misura in cui il quadripartito che lo sostiene saprà trovare l’intesa tra provvedimenti concreti e interessi. Contesta però la perdita della capacità di legiferare e l’attitudine a voler riformare il sistema attraverso le leggi elettorali

Il governo Conte-bis reggerà soltanto nella misura in cui il quadripartito che lo sostiene saprà trovare l’intesa tra provvedimenti concreti e interessi di potere. Attraversata dalle tensioni sulla stesura della legge di Bilancio e da tante altre emergenze dall’ilva all’Italia, passando per il Russiagate, per il momento l’alleanza che mette assieme Movimento Cinque Stelle, Partito democratico, renziani e sinistra di Leu è riuscita almeno a garantirsi alcuni mesi di vita, quelli che serviranno per arrivare all’eventuale referendum confermativo del taglio di un terzo del numero dei parlamentari.

“La riduzione del numero di deputati e senatori sarebbe dovuto essere l’ultimo atto di un processo di riforma. Invece si è voluto procedere dalla coda, si è capovolto totalmente il modo di agire”, spiega Vincenzo Scotti a colloquio con milanofinanza.it. L’ex ministro, oggi presidente della Link Campus University, ritiene la modifica “utile e necessaria nel momento in cui riflette il sentimento di ostilità nei confronti del ceto politico cui le campagne stampa degli ultimi anni hanno contributo”. Trascorsi tredici anni dall’uscita del libro sugli sprechi di Stato, la Casta, la riforma voluta dall’M5S si accoda quindi allo spirito del tempo. Nella realtà però anche questa volta si è deciso di non affrontare alla radice la modifica della struttura politico-istituzionale della Costituzione del 1948. “Quando ci si è provato, le proposte sono state respinte con il referendum”. I tentativi di modifica, aggiunge, “hanno sempre oscillato tra l’idea della sovranità parlamentar e il regime presidenziale. La stessa riforma tentata da Matteo Renzi si avvicinava al secondo, senza però centrare le ragioni centrali”.

La questione ricorda Scotti è antica quasi quanto la Repubblica e venne posta già dai padri costituenti. Già Giorgio La Pira, pochi mesi dopo all’approvazione della Costituzione, contestò l’efficacia del bicameralismo. Anche in questa occasione le forze di maggioranza si sono mosse con interventi parziali e senza mettere a fuoco il modello di sistema verso cui puntare. La riduzione del numero di parlamentari dovrà ora essere accompagnata da una nuova legge elettorale per evitare distorsioni. “Ancora una volta ai meccanismi per andare al voto viene affidato il compito di indirizzare il modello istituzionale. Spesso però i risultati non vanno nella direzione che ci si è prefissati. La prima Repubblica cadde sulla spinta maggioritaria e oggi andiamo verso un proporzionale”.

Le conseguenze dei mancati adeguamenti ai tempi si riflettono anche alla qualità della capacità di legiferare. Il continuo ricorso ai decreti fa si che si procede sempre sotto emergenza. Nel corso degli anni, aggiunge l’ex ministro il Parlamento ha visto anche venir meno il ruolo di “guardiano della spesa del sovrano” alle radici dell’istituzione. “Lo vediamo nell’approvazione della leggi di Bilancio, ormai fatte attraverso il ricorso al voto di fiducia e senza la possibilità di incidere”.

Sorgente: Crisi di governo? No finché regge il patto di potere. Parla Scotti – MilanoFinanza.it

Please follow and like us:
0
fb-share-icon0
Tweet 20
Pin Share20