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Con l’offerta di greggio che non è certamente destinata a crescere, è sufficiente uno stemperamento della tensione sui dazi per innescare un nuovo trend rialzista. Eni e Tenaris i purosangue di Piazza Affari

Su un piatto della bilancia, quello più osservato dai trader, c’è l’offerta, ovvero la produzione mondiale di greggio. Sull’altro piatto la domanda, guidata dai paesi consumatori netti di petrolio dove la Cina figura al primo posto, seguita più a distanza dall’Eurozona. Quando il primo piatto diminuisce di peso a causa di tensioni geopolitiche in grado di ridurre il livello della produzione globale (Arabia-Iran, Iraq, Turchia-Siria, Libia, Venezuela, Ecuador), oppure a causa di embarghi (Iran, Venezuela), eventi naturali (uragano Dorian) o decisioni Opec o Opec+ (produttori Opec più Russia, che si gioca il secondo posto nella classifica mondiale dei produttori assieme all’Arabia Saudita), allora il prezzo del petrolio aumenta in modo anche veloce. Quando invece diminuisce il peso dell’altro piatto costituito dalla domanda, legata soprattutto all’andamento dell’economia mondiale con particolare riferimento al primo consumatore che è la Cina, il prezzo del greggio tende a scendere in modo graduale in un’ottica di medio periodo; cosa che accade anche in presenza di un tendenziale rafforzamento del dollaro, visto che costituisce la valuta di denominazione delle quotazioni del greggio, rendendone più caro l’acquisto per i consumatori appartenenti alle aree valutarie che si stanno indebolendo contro la divisa Usa.

Questa è l’esatta fotografia della fase attuale, destinata a sopportare improvvise variazioni di peso su entrambi i piatti della bilancia che sono in grado di provocare sensibili oscillazioni di prezzo nel breve termine, o perfino modificare al rialzo il trend ribassista di più ampio respiro del petrolio. L’Eia, l’Energy Information Administration Usa, vede infatti il prezzo del greggio nel secondo trimestre 2020 su livelli inferiori, anche se di poco, rispetto a quello attuale. La causa è imputata alla debolezza della domanda , dovuta all’ulteriore rallentamento dell’economia mondiale (il rallentamento economico è sincrono per il 90% dei Paesi) causato dalla battaglia sui dazi, con una frenata storica da parte della Cina e con l’Eurozona vicina alla recessione. Anche l’Opec concorda con questa visione, tant’è che già nel meeting di inizio dicembre verrà affrontata la proroga per tutto il 2020 dei tagli alla produzione che scadranno a marzo. Questo, assieme allo stato di forza del dollaro, è il fattore ribassista di ampio respiro sul secondo piatto della bilancia, che potrà cambiare solo in vista di un progressivo rasserenamento e normalizzazione dei rapporti commerciali tra Washington e Pechino, o che potrà mitigarsi in presenza di una perdita di forza del biglietto verde, come potrebbe avvenire se la Fed proponesse una nuova fase di quantitative easing.

Sul primo piatto della bilancia le crescenti tensioni militari e geopolitiche in Medioriente promettono invece di sostenere, a fasi alterne in concomitanza degli eventi, il prezzo del greggio: oltre ai disordini civili in Iraq e alla guerra sempre più accesa in Libia, l’attacco di metà settembre agli impianti dell’Arabia Saudita e il lancio missilistico di ieri su una petroliera iraniana colpita al largo della costa saudita sono solo due esempi concreti di cosa può accadere sul fronte dell’offerta di petrolio. L’assenza di una riposta americana e saudita all’attacco del 14 settembre espone peraltro l’Arabia ad altre incursioni simili, soprattutto dai gruppi yemeniti più organizzati sostenuti da Teheran, che innalzerebbe pericolosamente la tensione tra l’Iran e Riyad mettendo a rischio la principale via al mondo di trasporto del petrolio che passa attraverso lo stretto di Hormuz.

Quindi, dato che l’offerta di greggio non è certamente vista in aumento, è sufficiente che si riduca un po’ di zavorra sulla domanda per innescare un cambiamento della tendenza dei prezzi nell’ultimo trimestre dell’anno: lo spiraglio di intesa che si è aperto durante la ripresa dei negoziati commerciali tra Usa e Cina nelle ultime due sedute della settimana ha infatti innescato un flusso di acquisti sui settori ciclici di borsa, tra cui figurano i titoli legati al petrolio, sostenendo anche le quotazioni del greggio favorite peraltro dall’attacco alla petroliera iraniana. A piazza Affari Eni  e Tenaris  sono le azioni che seguono più da vicino i movimenti del greggio, sfoggiando al contempo il quadro tecnico più consistente per appoggiare un allungo nelle prossime settimane: per la prima l’obiettivo di guadagno è traguardabile a quota 14,8 euro, per la seconda tra 10,5 e 11 euro. (riproduzione riservata)

Sorgente: Medioriente rovente, spiraglio sui dazi: il doppio appeal del petrolio – MilanoFinanza.it

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