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Brasile. Il «come» viene prima del «quando». L’ex presidente avrebbe maturato il diritto al regime di semilibertà, ma non vuole che sia firmato dai giudici, ormai completamente screditati, che lo hanno incastrato. «Uscirò da qui solo quando sarò riconosciuto innocente al 100%»

Claudia Fanti

Dal momento in cui è entrato in carcere un anno e mezzo fa, Lula lo ha detto e ripetuto: «Uscirò da qui solo quando la mia innocenza sarà riconosciuta al 100%». E ha continuato a ribadirlo anche quando, il 23 settembre scorso, ha finito di scontare un sesto della pena, ottenendo così il diritto alla semilibertà. Né lo hanno fatto cedere le crescenti pressioni di familiari e amici per convincerlo a uscire di prigione, facendovi ritorno solo di notte o accettando i domiciliari con relativa umiliazione del braccialetto elettronico.

A SORPRESA È ARRIVATA anche la lettera della Procura di Curitiba, firmata da Deltan Dallagnol – il coordinatore del pool della Lava Jato caduto in disgrazia dopo le rivelazioni di Intercept sulla più grande farsa giudiziaria della storia del Brasile – e da altri 14 procuratori ugualmente screditati, in cui, constatata «la buona condotta in carcere» dell’ex presidente, «si chiede al Pubblico ministero federale» di inviarlo «al regime di semilibertà». Nessun sussulto di coscienza, ovviamente, dietro tale richiesta, ma solo una mossa dettata dalla disperazione.

(foto LaPresse)

Con la Lava Jato ormai totalmente compromessa dai messaggi divulgati da Glenn Greenwald e dai suoi colleghi riguardo al complotto giudiziario ai danni di Lula, e la possibilità ora assai meno remota che il suo processo venga annullato, i procuratori hanno giocato d’anticipo, anche in vista dell’esame da parte della Corte Suprema della richiesta di scarcerazione avanzata dalla difesa dell’ex presidente sulla base dell’accusa di parzialità nei confronti dell’ex giudice Sérgio Moro. Richiesta su cui la seconda sezione del Supremo tribunale federale dovrà in breve pronunciarsi, dopo aver già posticipato la decisione prima della pausa invernale con il pretesto di voler attendere una conferma ufficiale dell’autenticità dei contenuti che Intercept continua regolarmente a pubblicare da giugno.

La lettera con cui la Procura sollecita il passaggio di Lula al regime di semilibertà ha avuto, tuttavia, l’effetto opposto, convincendolo ancor di più a restare in carcere un altro po’ nella speranza di poterne uscire poi completamente pulito, con tutte le carte in regola, cioè, per riprendere il discorso là dove si era interrotto: con la candidatura alla presidenza del Brasile. Perché il punto, ormai, non è più se Lula uscirà o meno di prigione – quasi nessuno in Brasile pensa che ci resterà ancora a lungo – ma come ne uscirà.

E SU QUESTO L’EX PRESIDENTE ha le idee chiarissime: «Non scambio la mia dignità con la mia libertà», ha scritto in una lettera aperta divulgata lunedì per mezzo dell’avvocato Cristiano Zanin. «Voglio che sappiano che non accetto di mercanteggiare la mia libertà e i miei diritti». E allo scrittore Paulo Coelho, che gli aveva inviato un messaggio di solidarietà, l’ex presidente ha ribadito: «Non accetterò favori da chi ha lasciato il paese in balìa della menzogna. La verità vincerà. È questo che toglie loro il sonno». A dare ragione a Lula è anche la sua nuova compagna, la sociologa Rosângela da Silva con cui l’ex presidente ha già annunciato che si sposerà una volta uscito di prigione: «La libertà arriverà, ma non porterà la firma di chi ha frodato la giustizia».

NON TUTTI, PERÒ, LA PENSANO allo stesso modo. In molti infatti ritengono che Lula abbia addirittura il dovere di accettare la libertà vigilata, essendo la sua scarcerazione uno strumento fondamentale in funzione di un rilancio del tessuto democratico del paese, gravemente compromesso a partire dal golpe contro Dilma Rousseff. Tanto più che, viene sottolineato, potrebbe comunque continuare a lottare per dimostrare la sua innocenza anche fuori dal carcere. Senza contare poi che, di fronte a un quadro politico in costante evoluzione, perdere questa opportunità, anche considerando l’età di Lula, ormai 74enne, potrebbe rivelarsi una scommessa davvero troppo pericolosa.

Una sostenitrice di Lula (Afp)

TUTTAVIA, SE APPENA SEI MESI FA uno dei suoi più stretti collaboratori, l’ex ministro e braccio destro Gilberto Carvalho, poteva definire «impossibile» una sua assoluzione – per questa, diceva, «bisognerà aspettare che cambi il rapporto di forze in Brasile» – oggi il quadro profondamente mutato alimenta più di una speranza.

Quanto l’edificio della Lava Jato scricchioli da tutte le parti lo ha infatti indicato in maniera assai chiara la decisione con cui la Corte suprema, con sei voti a favore contro tre, ha riconosciuto che, nella fase finale del processo, un pentito non può pronunciarsi dopo l’imputato da lui accusato, ristabilendo così il principio, violato ripetutamente da Moro in decine di processi, compreso quello contro Lula, che è alla difesa che spetta l’ultima parola.

È «l’inizio della fine», ha commentato non a caso la procuratrice Thaméa Danelon, ex-capo della Lava Jato a São Paulo.

Sorgente: Lula presto libero, ma ora è lui a dettare le condizioni | il manifesto

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