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Migranti. Certo Lampedusa ancora una volta sembra surrogare la funzione politica ed umanitaria che dovrebbe essere dell’Italia tutta e dell’Europa unita nel «suo» mare, il Mediterraneo. Ma il rischio che la novità della Ocean Viking rimanga episodica è forte

Tommaso Di Francesco

Benissimo, finalmente lo sbarco in «discontinuità» autorizzato dal nuovo governo italiano a Lampedusa degli 82 rifugiati della nave umanitaria Ocean Viking. È così buona la notizia, che Salvini già aizza la piazza scatenato gridando all’invasione. Mentre Di Maio ora ministro degli esteri e già vice-premier di Conte 1, sottolinea invece che non c’è nessuna discontinuità rispetto al governo precedente, «l’obiettivo resta sempre la redistribuzione» degli arrivi.

Eppure deve restare chiaro che nemmeno questo sbarco ci sarebbe stato nell’ottica del ministro dell’odio, il signor «voglio i pieni poteri», e se Salvini avesse avuto in mano la carta delle elezioni, dopo 14 mesi di campagna elettorale razziale dal Viminale fatta in aperta rivalsa contro la residuale democrazia costituzionale. Stavolta niente accanimento ideologico contro i migranti e contro le Ong umanitarie e ribelli – una metafora dell’ideologia sovranista dell’esclusione sociale.

Stavolta niente omissione di soccorso e sequestro di persone, crimini per i quali Salvini e non solo lui, se esistesse ancora il diritto internazionale, dovrebbe essere processato.

Ora le 82 persone, bambini, donne, uomini, possono finalmente bere, mangiare, curarsi, sperare, chiedere asilo. Il porto sicuro è Lampedusa, per la legge del mare e il diritto internazionale il «luogo più vicino» alla salvezza; mentre l’attuale sindaco di Lampedusa protesta sulla rotta che riporta i migranti nella piccola isola.

Timoroso del clima cambiato anche a Lampedusa dove la Lega ha travolto alle ultime elezioni gli schieramenti politici tradizionali.

Certo Lampedusa ancora una volta sembra surrogare la funzione politica ed umanitaria che dovrebbe essere dell’Italia tutta e dell’Europa unita nel «suo» mare, il Mediterraneo. Ma il rischio che la novità della Ocean Viking rimanga episodica è forte.

Giacché tutto dipenderà dalla capacità reale di «redistribuzione» – fuggono da guerre e miserie delle quali siamo spesso co-responsabili, se fossero container di merci avrebbero forse maggiore rispetto, anche di linguaggio.

La redistribuzione è il tema all’ordine del giorno del prossimo vertice europeo sui migranti, con la nuova disponibilità di Germania e Francia ad accogliere una percentuale del 25% dei flussi migratori. Siamo lontani però dalla revisione del Trattato di Dublino che prevede che l’accoglienza e la gestione del diritto d’asilo siano tutti a carico del Paese di primo accesso; per una Ue, attraversata da troppe crisi intestine, che resta senza una politica migratoria unitaria, e dove paesi sovranisti e «illiberali» come l’Ungheria restano contro ogni apertura.

Soprattutto il rischio dell’episodicità per la Ocean Viking diventa più evidente se davvero non ci sarà discontinuità rispetto al nodo di fondo, sotteso al dramma delle stragi a mare che hanno trasformato il Canale di Sicilia in una fossa comune: la fuga dalla Libia di un popolo di disperati, centinaia di migliaia secondo l’Onu. Lì, in Libia, sono catturati, ricercati, incarcerati, torturati, uccisi.

È il nodo dell’ingaggio che i due precedenti governi italiani, nell’asse che va da Minniti a Salvini – con l’assenso dell’Ue sulla esternalizzazione delle migrazioni – hanno avviato con le milizie libiche perché recitassero il ruolo di «guardia costiera».

Se quel cordone ombelicale criminale resta attaccato e non rescisso una volta per tutte, non ci sarà alcun cambiamento. Così come se tutti correranno a santificare inesistenti autorità libiche, per una Libia allo sbando dopo la nostra guerra del 2011.

Sorgente: Ocean Viking, bene ma non basta | il manifesto

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