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In tutta l’Islanda oltre 600 chilometri quadrati perduti in venti anni a causa dei cambiamenti climatici

REYKJAVIK. Non cercate Okjökull sulle mappe. Non avrete risposte. Perché Okjökull non esiste più. Ora è Ok, come la parola più conosciuta al mondo. «Ma ci sarebbe da dire “per nulla ok”», sottolinea JónGnarr, vulcanico sindaco di Reykjavik che a “Not Ok”, documentario sul ghiacciaio scomparso, ha dato la propria voce narrante.

C’era una volta Okjökull. Dovrebbe quindi iniziare così questa storia di Islanda e cambiamenti climatici, di ghiacciai che si assottigliano fino a scomparire. E perdere il “diritto” acquisito nei secoli di potersi definire tali. Per il glaciologo Oddur Sigurðsson «ora Ok è troppo piccolo per portare il titolo, perché per adattarsi ai criteri i ghiacciai devono essere abbastanza spessi da affondare e muoversi sotto il loro stesso peso. Ok non lo è più». Ok oggi è solo un vulcano, uno dei tanti distribuiti a macchia di leopardo nell’isola che negli ultimi anni ha fatto sognare milioni di turisti, ritrovando una sua identità, linfa vitale per una realtà abbattuta dalla crisi economica, rinata grazie alla sua natura, il suo verde e il suo nero della roccia vulcanica a perdita d’occhio, le cascate e i suoi quattrocento ghiacciai.

Che ora si sciolgono: 11 miliardi di tonnellate di ghiaccio si perdono ogni anno, denunciano gli scienziati. Okjökull non è stato il primo, non sarà l’ultimo, ma è il più importante. È morto, e un monumento lo ricorderà.L’appuntamento è per il 18 agosto. Partenza in carovana, per chi vuole, dalla capitale, per spostarsi verso nord-est, in un viaggio nel ricordo di un ghiacciaio.

Il memoriale

E l’inaugurazione del monumento, un memoriale voluto dai ricercatori della Rice University, a Houston, negli Stati Uniti: «Nei prossimi 200 anni tutti i nostri ghiacciai dovrebbero seguire lo stesso percorso di Ok. Questa targa è perché si sappia cosa sta succedendo e cosa deve essere fatto. Solo tu sai se lo stiamo facendo», si legge.

In fondo, la frase «415ppm CO2», un riferimento alla quantità record di anidride carbonica registrata nell’atmosfera nel maggio di quest’anno. L’idea è di un ricercatore universitario, il professor Cymene Howe: «È il primo memoriale al mondo per quello che si definisce “ ghiaccio morto”. Insieme si scioglie anche l’identità islandese».

L’attrazione turistica

In inverno la neve rende l’area di Ok ancora selvaggia, quasi inaccessibile. In estate è il nero della roccia lavica a dominare il panorama. Raggiungere i quasi 1.200 metri è una passeggiata, il vulcano un immenso cappello da osservare. L’ultima eruzione risale ai tempi del Pleistocene, da quando l’Islanda è una terra abitata (1200 anni, circa) documenti e mappe non fanno che ricordarne il suo stato. Nel 1890 quest’area era coperta di ghiaccio per 16 chilometri quadrati. Oggi per poche centinaia di metri, e dalla vetta è ancora possibile osservare i fratelli sopravvissuti: l’Eiríksjökull, che arriva a 1.672 metri. Il resto è acqua che alla fine di ogni inverno si riversa verso il mare. Oltre 600 chilometri quadrati di ghiacciai perduti dal 2000 a oggi, si stima, più di duemila metri quadrati dalla fine del diciannovesimo secolo, quando raggiunsero la loro estensione massima. Oltre il sette per cento del volume totale dei ghiacciai islandesi si è sciolto. Kaldalónsjökull e Eystri Hagafellsjökull secondo l’istituto di Glaciologia islandese si ritirano di 100-200 metri l’anno.

E anche la suggestiva laguna Jökulsárlón ne paga le conseguenze: una delle mete preferite dai turisti, che possono navigare tra iceberg vecchi di millenni, sta perdendo il suo core business, il ghiaccio. Dai numeri, una spiegazione: nella capitale Reykjavik la temperatura media dei 12 mesi è di 5,1 gradi, 0,8 in più del periodo 1961-1990. Ad Akureyri, nell’estremo nord, si è saliti di 1,3 gradi, arrivando a 4,6. Troppi per permettere ai ghiacciai di sopravvivere.

Sorgente: Una targa per il ghiacciaio sciolto “É tornato ad essere un vulcano” – La Stampa

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