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di Andrea Pappalardo

Il cambiamento climatico è sotto la lente di analisi di diversi organi giurisdizionali internazionali (si è ad esempio espressa di recente la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e si è, ad oggi, in attesa dell’epilogo della procedura dinanzi alla Corte Internazionale di Giustizia dell’ONU). Tra questi, figura l’ITLOS (Tribunale Internazionale per il Diritto del Mare) che, il 24 maggio scorso, con decisione all’unanimità, ha reso un parere consultivo sulla richiesta depositata dalla COSIS, una commissione di piccoli Stati insulari dei Caraibi e del Pacifico, minacciati dagli effetti del cambiamento climatico (https://volerelaluna.it/ambiente/2023/09/12/il-diritto-del-mare-e-il-cambiamento-climatico/).

Oggetto dell’advisory opinion, gli obblighi specifici degli Stati di ridurre, alla luce della Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare (UNCLOS), le emissioni antropiche di gas serra per proteggere l’ambiente marino dalle conseguenze del riscaldamento climatico (come l’innalzamento, il riscaldamento o l’acidificazione dei mari). Nonostante il parere non sia vincolante, la portata delle questioni sottoposte e l’autorevolezza del Tribunale ragionevolmente condizioneranno presenti e future iniziative – giudiziarie e non – sia a livello nazionale che internazionale: più in generale, è interessante lo sguardo sul tema climatico dal punto di vista del (diritto del) mare, nonché l’attenzione riservata al raccordo tra i vari strumenti di diritto internazionale.

Il mare, come noto, svolge più funzioni nell’ecosistema, tra cui quelle di fonte di approvvigionamento (si pensi anche solo semplicemente alla pesca) e di cuscinetto di assorbimento di calore e di CO2. Intuitiva, quindi, l’interdipendenza tra gli oceani e le condizioni dell’intero pianeta, anche dal punto di vista climatico e ambientale. In questa prospettiva “olistica”, si muovono le linee di ragionamento dell’ITLOS.

1) Le emissioni di gas a effetto serra rappresentano “sostanze inquinanti” ai sensi dell’UNCLOS, il cui art. 1(1)(4) considera inquinamento «l’introduzione diretta o indiretta, a opera dell’uomo, di sostanze o energia nell’ambiente marino ivi compresi gli estuari, che provochi o possa presumibilmente provocare effetti deleteri quali il danneggiamento delle risorse biologiche e della vita marina, rischi per la salute umana, impedimenti alle attività marine, ivi compresi la pesca e altri usi legittimi del mare…»;

2) gli Stati (numerosissimi) parte della convenzione UNCLOS hanno l’obbligo di mitigare gli impatti del riscaldamento globale sul mare (tramite la riduzione di fonti inquinanti e la tutela dei “pozzi” di assorbimento dei gas, tra cui, appunto, gli oceani);

3) gli obiettivi degli accordi di Parigi del 2015 (contenimento surriscaldamento nella misura di gradi 1.5 rispetto all’epoca preindustriale e azzeramento emissioni gas serra nella seconda metà del secolo) non esauriscono necessariamente gli impegni degli Stati alla luce dell’UNCLOS, la quale convenzione impone agli Stati di assumere tutte le necessarie misure per prevenire, ridurre e controllare l’inquinamento marino a causa delle emissioni di gas serra. Da questo punto di vista, gli obblighi degli Stati secondo il diritto del mare, dunque, si accompagnano coerentemente – e si aggiungono – alle previsioni dell’intero impianto normativo internazionale in materia climatica, fornendo le premesse di distinte responsabilità in caso di violazione;

4) pur in assenza di un obbligo di risultato (cioè di raggiungimento di obiettivi), il Tribunale del mare sottolinea il criterio di una rigorosa e stringente due diligence a carico degli Stati per parametrare le misure (legislative, amministrative, esecutive) idonee per prevenire e ridurre i rischi di danni per emissioni climalteranti. La presenza di riconosciuti rischi “gravi e irreversibili” impone, poi, un approccio improntato al principio di precauzione, un continuo monitoraggio secondo la migliore scienza e fonti autorevoli (quali i rapporti dell’IPCC, Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico), nonché una imprescindibile collaborazione tra Stati;

5) infine, non manca il richiamo ad aspetti di equità globale, che si sostanzia nella responsabilità differenziata in funzione delle diverse capacità inquinanti, vulnerabilità e disponibilità economiche e organizzative dei singoli Stati.

Se ne ricava, nell’insieme, una decisione che àncora le scelte politiche a specifici obblighi di protezione dell’ambiente, nonché l’intero pianeta al mare sia dal punto di vista scientifico che del diritto internazionale nei suoi vari comparti. Come in un gioco di vasi comunicanti, un “effetto farfalla” alimenta infatti una circolarità di fenomeni nel pianeta, soprattutto a discapito delle popolazioni più fragili e vulnerabili: sempre più esposte ai danni causati dalle economie delle aree più produttive e alla conseguente necessità di migrare.

Staremo a vedere in che misura la comunità internazionale si farà portatrice delle responsabilità evocate nel parere dell’ITLOS, grazie anche al ricorso alle soluzioni tecnologiche esistenti. Nell’attesa, restano i fori individuali della coscienza, delle scelte di consumo e di valutazione nelle cabine elettorali di ciascuno di noi.

Sorgente: Lo sguardo del mare sul cambiamento climatico


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