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Il paziente umiliato in ospedale insieme al compagno: “L’infermiera era mortificata per le parole del dottore”

ALESSANDRIA. «Dovremmo già essere oltre, ma non associamo quanto è accaduto al Pride». L’assessore comunale alle Pari opportunità, Cinzia Lumiera, ne è convinta: visto che Alessandria ha partecipato con calore e convinzione alla parata dell’orgoglio gay del 1° giugno, non si può associare la città a ciò che viene raccontato sull’episodio in ospedale, cioè di un uomo ricoverato per un grave mal di testa e dimesso con la specifica nell’anamnesi che era omosessuale, con un compagno stabile.

«È grave dal punto di vista etico e sociale – continua Lumiera – e lo dico più da cittadino che da assessore. Visto il periodo in cui siamo, bollare una persona in questo senso mi sembra una cosa abbastanza vergognosa. Se non ci fosse stato il Pride ad Alessandria lo direi comunque».

È successo pochi giorni fa, in via Venezia. Chi lo racconta sente ancora addosso il peso di quella discriminazione. L’ha avuta sulla pelle, l’ha percepita con esattezza. E il suo convivente si sente a disagio: «Da partner della persona ricoverata – dice – non dimenticherò mai il pessimo trattamento che mi è stato riservato da quel medico che era infastidito dalla mia presenza e mi ignorava». Il nome e il cognome lo sanno, non lo scorderanno facilmente. «Dopo una notte al Pronto soccorso – racconta il paziente – sono stato ricoverato in Malattie infettive. La prima persona che mi ha approcciato è stato un medico che si è posto in una maniera non molto carina. Da subito: il mio compagno era in camera con me e ha chiesto a lui direttamente chi fosse. Ha risposto, gli ha detto non proprio gentilmente di uscire dalla stanza. La prima cosa che poi ha domandato a me è stata: “Conferma che è il suo fidanzato?”. Penso che a una coppia di marito e moglie non chiederebbe mai questo tipo di conferma. Questa cosa mi ha stranito e messo a disagio». La prima di una serie: «Mi ha detto che in quanto gay avrei dovuto fare il test dell’Hiv e il vaccino per l’epatite». In pieno orario di visite, ha ancora sollecitato al compagno di andarsene. «L’orario era appena iniziato. Un’infermiera mi ha detto che era mortificata e che chiedeva scusa per il medico. È stato detto anche che non avrebbe potuto fare la notte».

Piccole discriminazione quotidiane, sfociate poi in quelle righe in cui viene segnalata l’omosessualità dopo le allergie. Come se fosse una malattia, come se avesse qualche rilevanza clinica.

«Sono entrato con una febbre con cefalea. Mi hanno fatto fare il test dell’Hiv e sembravano stupiti che fosse negativo. È stato un approccio molto insinuante. La lettera di dimissione è stato troppo. Suggerisce che io sia esposto a certe cose in quanto gay. Come fosse un elemento da diagnosi, un elemento medico. Noi abbiamo la corazza, sappiamo che esistono certi pregiudizi, ma una persona che invece è più sensibile, che somatizza come potrebbe reagire? Metti che il mio medico non lo sappia e io voglia mantenere questa riservatezza? Dovessi farla leggere a mio padre sarei a disagio».

L’avvocato Michele Potè, dell’associazione Avvocatura per i diritti Lgbti- Rete Lenford, consiglia: «Quello che farei è una diffida all’ospedale dove si chieda quantomeno la rettifica del referto». È un comportamento «chiaramente discriminatorio. C’è anche una violazione della privacy. In generale, mi sembra un comportamento medioevale». 

Sorgente: “Omosessuale” scritto sul referto medico “È una discriminazione da  Medioevo”   – La Stampa

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