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I dubbi dell’Antiriciclaggio sulla cessione dell’emittente della Lega che diffonde ancora in tutt’Italia, nonostante lo stop del Mise, il verbo salviniano

di MARCO MENSURATI E FABIO TONACCI

Sulla strana vendita di Radio Padania si allungano i dubbi dell’Antiriciclaggio. Quando nell’estate del 2016 la Lega di Matteo Salvini si liberò in tutta fretta della sua emittente, in molti rimasero stupiti da quell’operazione così fulminea. Oggi, a distanza di poco meno di tre anni, lo stupore di allora assume la forma del sospetto. Ad alimentarlo, oltre ad un paio di faldoni di documenti inediti raccolti da Repubblica, provvedono i report dell’Unità di Informazione Finanziaria (Uif), la squadra di financial intelligence che, per conto di Banca d’Italia, “acquisisce e analizza informazioni sulle ipotesi di riciclaggio”. Parole precise, quelle messe nero su bianco dagli investigatori finanziari. Che permettono di collocare Radio Padania all’interno della galassia di società su cui transitano i fondi della Lega, e che – secondo l’ipotesi della procura di Genova – è stata usata per far sparire i 49 milioni di euro di rimborsi elettorali non dovuti.

Svenduta a un terzo del prezzo
Torniamo al 5 agosto del 2016. Nello studio del notaio bergamasco Elio Luosi si incontrano Alberto Di Rubba, rappresentante della Cooperativa Radio Padania nonché commercialista di fiducia della Lega, e Lorenzo Suraci, proprietario di Rtl 102.5, presente per conto dell’Associazione culturale radiofonica italiana (Acrc). Oggetto dell’incontro è la cessione a Suraci del ramo d’azienda di Radio Padania, che comprende la licenza nazionale comunitaria ottenuta nel 1994 e ben 136 impianti radiofonici sparsi nel nord e nel centro Italia.

Il momento, per la Lega, non è dei migliori. Matteo Salvini è al terzo anno di mandato da segretario federale, e due procure – quella di Milano e quella di Genova – hanno aperto indagini sui fondi del partito. A marzo di quell’anno è arrivata anche la prima condanna: Riccardo Bossi, in primo grado, si è preso a Milano due anni e mezzo con rito abbreviato. Che, prima o poi, alla Lega venga chiesto di restituire i 49 milioni della truffa messa in piedi dal vecchio tesoriere Francesco Belsito, è qualcosa più di un timore.

La vendita dell’asset potrebbe far entrare nelle casse un bel po’ di quattrini, eppure il prezzo concordato tra Di Rubba e Suraci è bassissimo: appena 2,1 milioni di euro, suddivisi tra impianti (162.819 euro) e licenza con avviamento (1,9 milioni circa). Cifre fuori mercato. Prova ne sia che neanche un anno dopo Rtl 102.5 (di Suraci) cede 46 impianti alla Acrc (di un parente di Suraci) al prezzo di 6 milioni. Secondo un perito consultato da Repubblica, il valore reale minimo di Radio Padania oscillava tra i 5-6 milioni. Suraci se la prende a quasi un terzo del prezzo. Non prima di aver fatto inserire nel contratto una clausola che esclude l’accollo di qualsiasi debito pregresso.

L’ombra del riciclaggio
Ora, accade anche che nell’incrocio di due indagini giudiziarie tuttora aperte sui conti della Lega (a Roma e a Genova), spuntino nove operazioni bancarie sospette, oggetto dell’analisi della financial intelligence di Banca d’Italia e di una inchiesta giornalistica di Giovanni Tizian e Stefano Vergine dell’Espresso. Conducono quasi tutte alla Sdc srl, una società costituita nel 2016 a Brescia, che ha per oggetto “attività di supporto alle rappresentazioni artistiche”. E che – scrive l’Uif – “pur essendo formalmente priva di legami con Studio Dea (del commercialista Di Rubba, ndr) risulta avere un sostanziale collegamento con tale società”.

Su due conti correnti della Sdc sono finiti tra il marzo del 2016 e il febbraio del 2018, 368.000 euro: 18.300 provenivano dal presunto finanziamento illecito alla Lega erogato dal costruttore romano Parnasi, attraverso l’associazione Più Voci (su questo indaga il pm romano Paolo Ielo); i restanti 350.000 arrivano dritti dritti dalla vendita delle frequenze della radio. La Sdc – come accade spesso quando si vogliono far perdere le tracce del denaro – dirotta parte di questi 350.000 presso un’altra società, ovviamente sempre appartenente alla galassia leghista. “L’analisi tecnica – scrive Bankitalia – ha evidenziato come l’operatività finanziaria di queste società appare finalizzata alla ricezione di consistenti fondi dalla Lega Nord e da soggetti collegati al partito, sotto forma di pagamento di servizi e di prestazioni professionali, e alla successiva distribuzione di una parte rilevante dei medesimi fondi in favore di beneficiari diversi. Alcune delle suddette società si pongono come mero tramite rendendo conseguentemente dubbia l’effettività – oggettiva e soggettiva – delle prestazioni rese”.

I tre abusi
Ma far sparire i soldi è solo la prima metà del gioco di prestigio che potrebbe essere stato fatto attraverso Radio Padania. L’altra metà è consistita nel resuscitare l’emittente, che dopo la vendita si è “rimaterializzata” e oggi continua a riempire del verbo leghista l’intero territorio italiano. Con la sola accortezza di trasmettere non in analogico ma in digitale. Come può, visto che ha una licenza solo locale e visto che pende una diffida del ministero dello Sviluppo Economico? Grazie alla gentile concessione di Lorenzo Suraci.

La cooperativa Radio Padania, infatti, è socia al 20 per cento del consorzio nazionale Eurodab Italia, fondato e controllato dall’imprenditore calabrese. Non potrebbe, perché secondo le regole dell’Authority delle comunicazioni (delibera 664 del 2009) possono partecipare a consorzi nazionali solo i titolari di licenza nazionale. Di più. Radio Padania trasmette abusivamente anche sul canale 740 del digitale terrestre televisivo, appoggiandosi a una piattaforma che copre tutto il Paese, quindi ben oltre il limite di 15 milioni di potenziali utenti consentito dalla loro licenza. Un triplo abuso che nell’Italia fantastica del governo gialloverde rischiava di passare inosservato. Come la sparizione di 49 milioni.

Sorgente: Tutte le ombre sulla vendita di Radio Padania | Rep

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