Schiaffi, aggressioni, discriminazioni quotidiane. Fino alla tragedia di Umberto, ucciso con un pugno perché gay. A quattro mesi dalla nostra inchiesta “Caccia all’omo” gli episodi sono in continua crescita. E l’asticella si è alzata perché gli aggressori non hanno paura
di Simone Alliva
Lo massacra sul pianerottolo di casa con un bastone a cui aveva conficcato tre chiodi arrugginiti. Colpi alla schiena, a una mano. Non si ferma finché la moglie accanto non lo implora. La vittima rimane a terra. È il vicino di casa. Non sopportava la vista di aver come dirimpettaio una persona transessuale. Prima gli insulti sui social, dal vivo e poi l’assalto. È successo 15 giorni fa a Varcaturo una frazione del comune di Giugliano in Campania. È l’omotransfoba che cresce, è un’onda che sommerge il paese. L’Italia della caccia all’omo, come raccontato da L’Espresso soltanto quattro mesi fa, non è cambiata. L’assalto alle persone Lgbt continua nel benestare di un governo che presenzia a eventi come “Il Congresso della Famiglie”, dove gli omosessuali vengono paragonati a persone malate da curare. L’omofobia lievita, si passa dagli insulti ai calci, dalle offese alle aggressioni fisiche. Ma resta un reato «fantasma», commesso da chi trova la complicità della indifferenza altrui.
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Il ‘j’accuse’ di Natalia Aspesi: «Così il popolo può odiare tutto ciò che lo inquieta con un improvviso bisogno di sangue, di guerra, di trincea. Dopo i cosiddetti Poteri Forti, gli immigrati e l’Europa eccoli lì i nuovi nemici, anzi i nemici di secoli: i gay, o meglio le facili vittime di sempre»
Percorrendo questi ultimi mesi a ritroso ci troviamo di fronte a u n anno nero per le persone Lgbt . Un anno che non risparmia neanche gli attivisti. «“Al rogo”, “pedofilia colorata”, “giù di manganello”, “figli di cani”, “merce da termovalorizzare”, “radere al suolo per il bene dei normali”, “se comandavo io eravate tutte saponette”. Questo è il tenore di commenti che suscitano le associazioni sui social. Il 2 maggio il Presidente di Omphalos LGBTI, Stefano Bucaioni, denuncia alla Procura della Repubblica di Perugia depositando 19 pagini di insulti ricevuti soltanto tra il mese di febbraio e fine aprile.
Proprio aprile diventa il mese più torbido. Un mese che si lascia alle spalle il discusso “Congresso della Famiglia” ma non i suoi miasmi. Mentre ad Arezzo un ragazzo viene strattonato da buttafuori di un locale al coro «Vai via frocio di merda», a Lodi si organizzano seminari sulla felicità vietati alle persone omosessuali: «Possono partecipare solo se desiderano praticare il celibato”. Il 16 aprile a Bologna due ragazzi appena usciti da un locale vengono circondati da sei coetanei: “Hanno cominciato a darci schiaffi, pugni e calci” racconta uno dei due “prima al mio amico, poi a me”. Lo schema non cambia: dalle domande provocatorie (“Hai il pene o la f…?”) alle botte. Fino alle minacce “Se lo dite a qualcuno torniamo con i coltelli”. Sei contro due. Un match irregolare su qualunque ring.
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La violenza passa sui social: a Padova due ragazze nella Casa dello studente Copernico in via Tiepolo, vengono ricoperte di insulti perché lesbiche, viene così chiesto loro di abbandonare lo stabile. Una cortina velenosa che penetra fin dentro i luoghi di lavoro: il 20 aprile una ragazza viene isolata dai colleghi che scoprono il suo orientamento sessuale: “lesbica”.
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Il 3 marzo il sindaco di Potendera Brini sostenuto da Ceccardi e Ziello annuncia fiero: “sono normale nella mia famiglia non ci sono gay”. A Massa, Giulia all’anagrafe nasce come Tiberio, nonostante abbia completato tre anni fa il percorso di transizione al genere femminile, la successiva rettificazione anagrafica tarda ad arrivare per via di una burocrazia lenta e farraginosa. Quarant’anni, operaia in una tintoria industriale trova una casa sul mare: “il sogno di una vita”. Versa i soldi necessari, compila i documenti. Qui il proprietario si rende conto: Giulia un tempo era Tiberio. Cambia idea. Niente affitto. Il 25 febbraio a Roma un ragazzo viene fatto scendere da un taxi. Aveva chiesto all’autista di fermarsi a un distributore automatico per comprare delle sigarette. Gli aveva dato del “tu”. “Del tu lo dai ai tuoi simili, frocio scendi subito”.
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Francesco, 20 anni, aggredito brutalmente a Vittoria, nel ragusano. «L’ultima volta che sono stato in chiesa ho detto una preghiera per loro. Perché penso a quanto affetto gli manca per arrivare a picchiare un semplice passante per strada»
Ci sono vari livelli di omofobia. Si pratica aggredendo con le parole, con i pugni, con i calci. Ostacolando il percorso delle leggi. Favorendo terapie di «riparazione». È un’opera di dissuasione. È il mondo giallo-verde, diviso in normali e deviati. Chi aggredisce non ha più paura né vergogna, si specchia in chi ci governa, nella maggioranza di «normali», della continuità della specie che va protetta, del mondo che precipita e va fermato. Magari con un pugno come quello che ha ucciso Umberto Rainieri l’artista 53enne di origini abruzzesi col nome d’arte Nniet Brovdi. Un pugno in pieno volto che lo ha fatto cadere sull’asfalto dove ha sbattuto violentemente la testa. “Ucciso dall’omofobia” ha raccontato l’ex compagno, Fabio Giuffrè. È quello che resta in questa Italia dove l’unica legge che vige è quella primordiale. La legge dell’odio contro chi non si può difendere. Come Umberto Rainieri. Circondando dal branco. Ora Umberto non c’è più. La caccia all’omo continua.
Sorgente: Gli omofobi non si vergognano più del loro odio. E l’aumento delle violenze lo dimostra – l’Espresso