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di Lorenzo Vagni

L’esito delle primarie del Partito Democratico segnerà la certa vittoria di Nicola Zingaretti. Il Presidente della Regione Lazio batterà largamente i propri avversari Martina e Giachetti divenendo nuovo segretario del PD.

La campagna elettorale condotta nei mesi scorsi da Zingaretti aveva come obiettivo quello di accreditarlo come volto nuovo alla guida del partito e come possibile artefice di una svolta a sinistra del PD. Una simile retorica è stata possibile grazie alla strategia attuata da Zingaretti, pressoché durante tutta la propria carriera politica, mantenendo un atteggiamento di apparente distacco dalle politiche di governo del PD, limitandosi a ricoprire esclusivamente la veste di amministratore locale. Se da una parte tale strategia aveva contribuito a relegarlo finora ai margini della politica nazionale, dall’altra ha permesso a Zingaretti di presentarsi all’opinione pubblica come figura non compromessa con le politiche filo-padronali e antipopolari promosse dal proprio partito al governo del Paese, e ha gettato quindi le basi per la sua vittoria contro avversari (Martina e Giachetti) che, al contrario, risultavano pienamente corresponsabili di queste politiche.

Sembrerebbe quindi legittimo chiedersi se la segreteria di Zingaretti potrebbe rappresentare un cambiamento sostanziale nel Partito Democratico o se, al contrario, non dimostri una mera continuità con il passato, al netto di alcune differenze del tutto marginali.

Chi è Zingaretti?

Iscrittosi in gioventù al PCI, al suo scioglimento nel 1991 diventa il primo segretario della Sinistra Giovanile, l’organizzazione dei giovani del PDS, fino al 1995, anno in cui viene nominato presidente dell’Unione Internazionale della Gioventù Socialista e vicepresidente dell’Internazionale Socialista, entrambe cariche che mantiene fino al 1997. Nel frattempo inizia il suo percorso nella politica romana, venendo eletto nel 1992 al Consiglio Comunale di Roma. Dal 1998 al 2000 è responsabile delle relazioni internazionali dei DS, per poi essere eletto segretario del partito a Roma. Dal 2004 al 2009 è eurodeputato, per poi tornare a svolgere il ruolo di amministratore locale, ricoprendo dal 2008 al 2012 l’incarico di presidente della Provincia di Roma e dal 2013 quello di presidente del Lazio.

La politica locale: la sanità

Durante gli anni in cui ricopre incarichi locali, si è reso fautore di una progressiva politica di tagli alla sanità. In nome della razionalizzazione delle spese, la giunta Zingaretti ha effettuato riduzioni di strutture, personale, posti letto, reparti, primariati e distretti sanitari, nonché tagli alle spese relative a beni e servizi sanitari. Negli ultimi 8 anni (di cui va però ricordato che i primi 3 afferiscono alla presidenza di Renata Polverini) la Regione Lazio ha perso 16 ospedali (tra i più grandi il Policlinico Casilino, privatizzato proprio dalla giunta di centrosinistra), 3600 posti letto e il 14% del personale. Buona parte di questi tagli sono stati effettuati applicando pedissequamente le indicazioni della spending review dei governi succedutisi negli anni, non praticando in tal senso alcuna discontinuità con tali politiche. Per contenere le ricadute causate da questi tagli, Zingaretti ha costituito a partire dal 2014 le “Case della Salute”, ossia dei presidi sanitari su cui convogliare i casi meno urgenti, che i pronto soccorso non erano più in grado di gestire, in modo da decongestionare gli ospedali. Queste strutture dovevano avere una funzione palliativa a fronte della mancanza di interventi reali sulla sanità pubblica.

Un reportage della trasmissione Piazzapulita del gennaio 2018 evidenziava come lo stesso personale medico riteneva la creazione di tali strutture un’operazione dagli scarsi vantaggi e puramente propagandistica[1]. D’altro canto i dati testimoniano non solo come durante gli anni di presidenza di Zingaretti le liste d’attesa per una visita, e di conseguenza i relativi tempi, si siano accresciute fino a superare il limite indicato dalla legge, ma anche secondo un recente studio, il Lazio si posizioni al secondo posto per tempo di attesa nei pronto soccorso, superato soltanto dalle Marche[2]. Secondo lo stesso studio, il Lazio, alla luce delle inefficienze nel sistema sanitario, si colloca al secondo posto dopo la Campania per la mobilità passiva, ovvero la propensione dei propri residenti a curarsi presso strutture di un’altra regione.

Nonostante questa situazione di difficoltà per la sanità pubblica, nel 2014 Zingaretti si schierò a difesa delle clinche private, facendosi portavoce con l’allora ministro Beatrice Lorenzin delle richieste dell’AIOP (Associazione Italiana Ospedalità Privata) circa la modifica di alcuni provvedimenti in procinto di emanazione da parte del governo.

I tagli praticati non riguardano soltanto la sanità, ma anche molte società partecipate. Zingaretti si è reso artefice di dismissione di quote, privatizzazione e scioglimento di molte di queste società, praticando tagli da centinaia di milioni di euro, al punto da suscitare nel 2014 la soddisfazione dell’allora commissario per la spending review, Carlo Cottarelli. La svendita del patrimonio regionale ha coinvolto anche gli immobili: emblematica in tal senso è stata nei primi mesi del 2018 la privatizzazione, con il beneplacito del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, a Roma di un edificio storico rinascimentale, Palazzo Nardini, ceduto con una base d’asta assolutamente modica e mettendolo in vendita come potenziale struttura turistico-ricettiva di lusso; alcuni comitati definirono la privatizzazione dell’edificio “un’operazione speculativa di alto livello“.

Costruttori e speculazione edilizia

Proprio riguardo la speculazione edilizia, la giunta Zingaretti non solo non ha mai costituito un argine a tale pratica, ma ha altresì promulgato norme atte a favorirne l’ulteriore proliferazione. Tra i provvedimenti peggiori in tal senso vi è la legge numero 7 del 22 ottobre 2018[3], che, riguardo la procedura di approvazione dei piani nelle aree naturali protette, ha introdotto un limite temporale di 7 mesi oltre il quale una proposta di piano edilizio viene approvata d’ufficio per silenzio-assenso; questa delibera rappresenta un enorme regalo alla speculazione, nonché un incentivo ad ulteriori cementificazioni e consumo di suolo. Un’altra legge che rappresenta un favore ai costruttori, che a Roma costituiscono uno dei settori più influenti della grande borghesia, è la numero 7 del 18 luglio 2017[4], che garantisce, la possibilità di demolire e ricostruire edifici con un premio di cubatura del 20%.

D’altronde Zingaretti non ha mai avuto intenzione di disconoscere gli interessi privati della speculazione edilizia a Roma. Paradigmatico è il fatto che ai tempi della segreteria dei DS a Roma si fece promotore di una cena di finanziamento a cui parteciparono alti dirigenti del partito, tra cui Walter Veltroni e Piero Fassino, e una delegazione di costruttori, di cui alcuni sono nomi di spicco dei “palazzinari” romani (Francesco Gaetano Caltagirone e Pietro Mezzaroma in primis), elogiati in quell’occasione dallo stesso Zingaretti come esempio di “sensibilità democratica”. Durante la presidenza della Provincia di Roma fu tra i primi a congratularsi con Eugenio Batelli per la sua elezione a capo dell’ACER (Associazione Costruttori Edili di Roma e Provincia).

Altro esempio di progetto sostenuto con forza da Zingaretti era quello delle Olimpiadi nella Capitale, ipotizzate per il 2020 o per il 2024, del cui comitato promotore era a capo Luca Cordero di Montezemolo, con il quale lo stesso Zingaretti aveva mostrato convergenza circa la necessità di costruire nuove infrastrutture per tale evento, e ignorando la follia speculativa manifestatasi a Roma già in occasione dei Mondiali di Nuoto del 2009.

Recentemente invece è tornata sotto i riflettori la questione della nuova sede della ex Provincia di Roma. Il grattacielo del costruttore Parnasi al Torrino, acquistato dalla Provincia di Roma – ora divenuta Città Metropolitana –  ai tempi della presidenza Zingaretti, è tornato nel mirino della Corte dei Conti. Durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario, nella sua relazione, il Procuratore della Corte dei Conti del Lazio Andrea Lupi ha parlato di un danno di oltre 200 milioni di euro da parte dell’ex Provincia di Roma per l’acquisto della sede di via Ribotta, con tanto di istruttoria in atto per accertare i responsabili.

Dalla parte delle imprese

La sua vicinanza agli interessi delle imprese si riflette anche su alcuni provvedimenti riguardo l’istruzione: un esempio di ciò è la sponsorizzazione, durante la presidenza della Provincia di Roma, presso l’Università di Roma Tre di un’iniziativa chiamata Innovation Lab, che prevedeva l’ingresso nell’ateneo di grandi imprese (tra cui Vodafone, Barilla, Coca-Cola, Philips, McDonald’s), le quali prendevano visione di progetti redatti dagli studenti, finanziando quelli che giudicavano ad esse vantaggiosi; questo denota il sostegno di un modello di istruzione piegato agli interessi di profitto delle imprese, anziché su quelli degli studenti e della collettività.

Contro Renzi, ma anche no

Zingaretti ha spesso evitato di prendere posizioni su questioni di politica nazionale, ma nei rari casi in cui lo ha fatto è stato in completa uniformità con la linea del PD, anche di quello “renziano”. Nel 2016 sostenne il “Sì” in occasione del referendum costituzionale. L’unica differenza con Matteo Renzi risiede nella visione di continuità con il centro-sinistra degli anni 2000, ossia all’esperienza ulivista, a cui Zingaretti si richiama più apertamente che non Renzi. Anche a livello di alleanze, Zingaretti non disdegna aperture verso moderati e cattolici, essendo stato promotore attivo della fusione tra i DS e La Margherita nel PD, ed avendo lavorato per l’alleanza con l’UDC in occasione delle elezioni amministrative del 2013. Persino in campo internazionale una tale apertura “a destra” fu promossa da Zingaretti, che si spese per l’apertura da parte del Partito Socialista Europeo, un partito già di per sé profondamente partecipe delle politiche borghesi, ai partiti non socialisti. Anche riguardo una visione di classe, Zingaretti non nasconde la propria vicinanza alla borghesia, avendo dichiarato quale suo obiettivo «unificare in un medesimo schieramento i ceti popolari e più deboli con le forze migliori dell’imprenditoria», come a voler ratificare la volontà di promuovere un progetto politico incentrato certamente non sugli interessi dei primi.

La politica internazionale

In politica internazionale la posizioni di Zingaretti sono del tutto allineate a quelle degli interessi imperialistici di UE e USA. Proprio riguardo i rapporti con l’Unione Europea, non solo ha sempre abbracciato il progetto dell’UE, definendo ad esempio la moneta unica «una sfida enorme, che ebbe successo», ma è un convinto sostenitore della necessità di “più Europa”, ossia di una maggiore integrazione.

Emblematico è inoltre il fatto che, pur sostenendo ufficialmente il processo di pace tra Israele e Palestina, nei fatti si sia sempre schierato dalla parte del primo ogniqualvolta si sia aperta la discussione circa il sionismo e l’occupazione dei territori palestinesi. Anche in occasione della recente crisi in Venezuela, Zingaretti ha fatto propria la posizione dei settori più aggressivi dell’imperialismo, prendendo posizione contro il legittimo presidente del paese, Nicolás Maduro.

L’appoggio al revisionismo

Degno di nota è anche il contributo dato da Zingaretti alla falsificazione della storia in funzione anticomunista. Un primo esempio è certamente la lettura sostenuta e promossa attivamente da Zingaretti circa le vicende del confine orientale, rilette come una pulizia etnica ai danni degli italiani da parte dei partigiani jugoslavi[5], ossia un’interpretazione che nei fatti non differisce da quella della destra neofascista: ciò si è concretizzato dal punto di vista politico con un encomio dell’istituzione, voluta da Alleanza Nazionale, del Giorno del Ricordo («Il Giorno del Ricordo è stata una giusta intuizione, anche se tardiva, per rimettere al centro dell’identità del nostro Paese quanto è accaduto»[6]) e dal punto di vista pratico con il contributo alla fondazione della Casa del Ricordo delle Foibe a Roma nel 2015 ed il patrocinio del film di propaganda fascista Red Land (Rosso Istria). Allo stesso modo la narrazione della Resistenza portata avanti da Zingaretti risulta totalmente falsata, e ciò lo porta a celebrarne elementi a soli scopi propagandistici; non a caso fu proprio Zingaretti a sostenere con forza la Brigata Ebraica e il suo presunto ruolo nella guerra di liberazione[7]. Il capolavoro del revisionismo storico zingarettiano avvenne però nel 2005, quando, da eurodeputato, sostenne e votò una mozione che, utilizzando pretestuosamente l’anniversario della fine della Seconda Guerra Mondiale, equiparava comunismo e fascismo, falsificando totalmente la storia del XX secolo e praticando uno spietato anticomunismo[8].

Svolta a sinistra o solita minestra?

Va inoltre fatta una riflessione sul significato stesso delle primarie del Partito Democratico, ovvero di una votazione che, come anche nelle passate edizioni, non rappresenta un momento di scelta tra varie prospettive politiche, ma una mera lotta interna tra esponenti della classe dirigente per la spartizione delle poltrone: ciò è confermato dal fatto che tutti i candidati si erano espressi favorevolmente al manifesto “Siamo Europei!” redatto da Carlo Calenda in vista delle elezioni europee e contraddistinto da una visione marcatamente ultraliberista, al punto da ricevere l’apprezzamento perfino di Silvio Berlusconi. La vittoria di Zingaretti, non va quindi minimamente ad intaccare la natura del PD, che semmai potrebbe semplicemente vedere il “ritorno all’ovile” degli scissionisti terminati in MDP, dopo uno scontro puramente dirigenziale da parte di chi ha sostenuto totalmente i governi a guida PD.

Quindi nessuna illusione nei confronti della futura segreteria di Zingaretti del Partito Democratico, che rimane un partito del capitale, nemico quindi dei lavoratori.

 

Sorgente: Zingaretti: cronaca di un grande bluff | La Riscossa

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