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I viaggi di Tarrant, il killer delle stragi in Nuova Zelanda: tracce e misteri

Prima di compiere il massacro delle moschee di Christchurch il giovane australiano ha girato il mondo. Che cosa cercava? Chi ha incontrato?

di Guido Olimpio

L’indagine sul massacro delle moschee muove lungo tre assi, con le autorità neozelandesi chiamate a fronteggiare una situazione inedita, con ramificazioni che vanno oltre confine.

I contatti

Brenton Tarrant ha fatto tutto da solo? Per ora è l’unico incriminato in un’inchiesta dove la polizia cerca possibili complici. Fonti di intelligence citate dal quotidiano The Independent hanno sostenuto che il terrorista, in occasione di un suo soggiorno in Europa, sarebbe entrato in contatto con estremisti xenofobi. Una traccia tutta da esplorare. Nel suo manifesto l’assassino precisa di aver avuto una breve interazione con Anders Breivik, il razzista norvegese condannato per l’eccidio di Utoya e suo presunto ispiratore. Brenton lo chiama il «Cavaliere», aggiunge di avere ricevuto la «benedizione»dei Templari, la fantomatica organizzazione della sua guida. Un legale di Breivik ha però smentito: è improbabile, il mio assistito non può comunicare con l’esterno. Il killer si è vantato dell’appoggio per dare maggiore credito alla sua incursione costata la vita a 49 persone? È un modo per collegarsi a un fronte globale? Sono questi i riscontri che gli agenti devono scovare, sempre che esistano.

Gli spostamenti

Dal Portogallo alla Polonia, dalla Francia all’Islanda. In Turchia, quindi nell’Est Europa, poi Pakistan, il Kashmir, il corridoio di Wakhan, l’Afghanistan, lo Xiniang cinese. Sono alcuni dei luoghi visitati da Tarrant, trasferte — dice lui — autofinanziate con i bitcoin. I neozelandesi hanno chiesto aiuto a questi Paesi sollecitando informazioni. Un amico ha affermato che l’australiano è cambiato molto dopo il periodo sabbatico, che lo ha portato anche in Corea del Nord, in un tour organizzato da elementi di destra Usa. Nei Balcani, invece, ha «toccato» località teatro di battaglie tra cristiani e ottomani, un’immersione storica sulle orme di condottieri, ricordati dalle scritte sui fucili usati nell’attentato. Ci si chiede se durante questi trasferimenti non sia avvenuta una sorta di radicalizzazione. Ipotesi basata anche su quanto scritto dall’assassino, profondamente colpito dalla questione migratoria dopo aver passato del tempo in Francia. Un momento dove vacanza e politica si sono mescolati rafforzando — sempre secondo la sua versione — l’idea di passare all’azione. Vedremo se gli inquirenti troveranno riscontri. Un’evoluzione — accompagnata dall’uso del web — che ha portato ad accostarlo ai percorsi dei tagliagole dell’Isis. Due realtà che ormai si somigliano per modus operandi, comunicazione e persino linguaggio. Entrambi parlano di «crociati», guardano al passato per giustificare il presente.

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Il documento

Le 74 pagine diffuse dall’australiano sono state riviste in tutte le salse. Per molti è la prova della sua preparazione, dell’ossessione xenofoba. Per altri, si tratta di un testo raffazzonato, pieno di trabocchetti e parole usate con l’unico scopo di innescare la rissa. Una presa in giro per media e analisti. Alcuni hanno cercato di depotenziarne il valore, sostenendo che l’uomo è un killer di massa che si è messo il mantello posticcio dell’estrema destra. Interessante che in un passaggio Brenton scriva: «Pensate che io sia un agente federale, uno del Mossad, un infiltrato? No, non lo sono — giura — però potrebbero esserlo il prossimo, dunque è bene avere un sano scetticismo».

I sospetti

Le parole riecheggiano i sospetti e le tesi cospirative che spuntano in occasione di eventi eclatanti e attentati. Ogni cosa può diventare «strana»: dai viaggi — perché è stato così spesso in Turchia? si chiedono alludendo a manipolazioni — allo stesso documento. Di sicuro il lungo post sulla Rete ha finito per monopolizzare l’attenzione, le polemiche che sono seguite hanno distolto — solo in parte — dalla strage. Il punto è però un altro. Dobbiamo uscire dallo schema. Attaccare un luogo di culto ma anche una scuola è comunque una forma di terrorismo. Tarrant aveva cinque armi (alcune modificate per essere più letali), munizioni e si è addestrato al poligono, ha sparato da terrorista. E come bersaglio ha scelto due moschee.

Sorgente: corriere.it

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