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Le anomalie nel ricovero della teste anti Cavaliere nel caso Ruby

di ALESSANDRA CORICA e SANDRO DE RICCARDIS

MILANO. Se davvero Imane Fadil è morta avvelenata, a ucciderla dev’essere stata una sostanza rarissima, praticamente sconosciuta e difficilissima da reperire. E finora non individuata da nessuna analisi. La causa della morte di una delle principali testimoni d’accusa nei processi a Silvio Berlusconi, alle Olgettine e agli altri ospiti delle cene eleganti di Arcore, è solo uno dei punti oscuri di questa vicenda, che racconta il calvario di oltre un mese — dal 29 gennaio al primo marzo — vissuto dalla 34enne.
La procura di Milano ha aperto un fascicolo per omicidio volontario, ma indaga su tutte le ipotesi, dall’avvelenamento alla colpa medica.

Le date che non tornano

L’ospedale Humanitas, dove Fadil è arrivata il 29 gennaio, ha detto di aver informato l’autorità giudiziaria della morte della ragazza immediatamente, l’1 marzo scorso. E che il sequestro della salma e delle cartelle cliniche è avvenuto entro le 12 dello stesso giorno. La procura invece, con il procuratore di Milano Francesco Greco, ha sostenuto di aver saputo della morte solo «una settimana fa». È questa, allora, la prima falla nella ricostruzione dei fatti, che al momento non trova una risposta. «Al decesso della paziente, il primo marzo scorso — ha scritto due giorni fa l’Istituto di Rozzano in una nota — l’autorità giudiziaria ha disposto il sequestro di tutta la documentazione clinica e della salma. Il 6 marzo, Humanitas ha avuto gli esiti tossicologici degli accertamenti richiesti, e lo ha prontamente comunicato agli inquirenti». Di certo, negli ultimi giorni, sono stati sentiti in procura i medici, ma anche il fratello di Imane, Tarek, che continua a sostenere la tesi dell’omicidio.

La mancata denuncia

Eppure, se è vero che dieci giorni prima di morire la paziente aveva detto di essere stata avvelenata, la segnalazione in procura sarebbe dovuta avvenire immediatamente da parte del personale medico, come possibile notizia di reato. È questo il secondo punto oscuro della vicenda: le indagini sarebbero potute partire con anticipo e ricostruire le ultime ore della vittima prima del ricovero e le persone che ha incontrato. A oltre due settimane dalla morte, invece, l’inchiesta non ha compiuto ancora il primo passo: l’autopsia sul cadavere, che è in programma a metà settimana, a venti giorni dal decesso. A lasciare perplessi, anche il ritardo nei test antiveleno, chiesti alla Maugeri solo il giorno prima della morte. Fonti di Humanitas sostengono, però, che prima di allertare Pavia, a Rozzano avessero già iniziato a fare esami nei loro laboratori.

Né isolamento né profilassi

Avvelenamento radioattivo: è questa l’inquietante ipotesi emersa nella tarda serata di venerdì. Creando allarme e prefigurando scenari da spy-story. Ma chi l’ha diffusa? È questo il terzo buco nero. A parlarne per prime, fonti ospedaliere che però hanno preferito rimanere anonime. Ieri è stata la clinica Maugeri a smentire l’ipotesi: «Il nostro centro antiveleni non identifica radionuclidi e non effettua misure di radioattività». Infatti il “test esteso”, eseguito a Pavia su richiesta dell’Humanitas dopo venti giorni di cure senza successo, ha analizzato i campioni di siero prelevati a Fadil soltanto per quanto riguarda la presenza o meno di sostanze tossiche. La Maugeri ha trasmesso gli esiti delle analisi il 6 marzo. I risultati? Gli esperti pavesi hanno individuato tracce nel sangue di Fadil di cobalto, cromo, molibdeno e nichel. Metalli tipici di protesi ortopediche e dentarie, con valori leggermente più alti rispetto alla media. Ma non tali da far pensare all’avvelenamento. Senza contare che se davvero ci sono stati sintomi di contaminazioni radioattive, perché la paziente non è mai stata isolata? E perché medici e infermieri non sono stati sottoposti a profilassi?

La diagnosi fantasma

Quel che è certo è che Imane, 34 anni, per un mese vive «un calvario», come lo ha definito il procuratore Greco. E che nella sua cartella ci sono «più anomalie». Si presenta all’Humanitas il 29 gennaio, con una grave “aplasia midollare”. In pratica, il suo midollo osseo ha smesso di produrre globuli bianchi, rossi e piastrine. Una condizione tipica di tumori o malattie autoimmuni. Non a caso, subito dopo il ricovero in Terapia intensiva, la paziente viene sottoposta ad analisi per la ricerca di linfoma o di lupus (una malattia autoimmune che causa l’attacco degli anticorpi degli organi interni).

Nessuna di queste ipotesi si rivela però corretta, gli esami sono negativi. E visto che era stata trasferita prima in Rianimazione, poi in Medicina, e infine di nuovo in Terapia intensiva — continua ad aggravarsi, senza che i medici riescano a identificare la causa del suo male, si ipotizza l’avvelenamento. Che, nel caso di Imane, ha sintomi simili a quelli presentati anche da chi è stato esposto, anche per errore, a delle sostanze radioattive: di qui il salto di qualità, due giorni fa, dell’allarme, al momento però ridimensionato da chi a Pavia ha condotto le analisi.

Sorgente: Imane, da Arcore all’Humanitas i misteri e i ritardi di un’agonia lunga un mese | Rep

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