0 5 minuti 5 anni

Salvini soffia sul rancore e assolve un imprenditore condannato per tentato omicidio di un ladro

Con la consueta affabile ferocia con cui è solito celebrare i suoi Sabati Leghisti soffiando sul fuoco del rancore italiano – c’è evidentemente un metodo anche nella scelta del calendario – il ministro dell’Interno Matteo Salvini battezza il set del carcere di Piacenza per spingere più in là, ancora un po’ più in là, il confine del senso comune – il sentiment, potremmo dire – sulla “legittima difesa”.

Abbraccia fisicamente, idealmente ed emotivamente l’imprenditore Angelo Peveri, che in quella galera sconta una condanna definitiva a quattro anni e mezzo di reclusione per tentato omicidio e, costituendosi come ultima inappellabile istanza del Popolo, da ministro e vicepremier lo assolve da ciò che ha commesso e che un giudice repubblicano, in nome del Popolo, ha accertato al di là di ogni ragionevole dubbio all’esito di tre gradi di giudizio, come la Costituzione repubblicana impone.

“Cercheremo di fare di tutto perché stia in galera il meno possibile, dal mio punto di vista non doveva nemmeno entrarci. Se servirà, andrò da Mattarella”, dice. Per farlo, naturalmente, deve elidere i fatti. E manipolare cinicamente quei due termini – “legittima” e “difesa”, che neppure i legali dell’imprenditore osarono per pudore scomodare durante il processo – per trasformare un giustiziere, quale Angelo Peveri è stato riconosciuto, nella vittima di una legge ingiusta che lui, va da sé, riscriverà. Deve obnubilare l’insignificante dettaglio che il 5 ottobre 2011, Angelo Peveri, dopo aver sorpreso un ladro rumeno a rubare gasolio dall’escavatore di uno dei suoi cantieri sul fiume Tidone, armato di un fucile a pompa, dopo averlo picchiato e fatto inginocchiare, ne simulò l’esecuzione facendo fuoco contro il “condannato” a meno di un metro di distanza, ferendolo.

Un’enormità. Che in un Paese e in un sistema Costituzionale in salute, consapevole del burrone su cui sta ballando maneggiando con cinica spensieratezza termini come “Sicurezza”, “Paura”, “Razza”, sarebbe sconsiderato anche solo concepire. E che, al contrario, Salvini trasforma con instancabile coazione a ripetere in “narrazione”, in cuore dell’agenda politica, facendo leva su un assunto. Che nella solitudine Repubblicana, nessuna sirena risulta più irresistibile dell’impegno a devolvere il “monopolio della forza” dallo Stato, che ne è il custode nei limiti inderogabili della legge, al singolo. Trasformando la sua “percezione” del pericolo, la sua pancia, le sue ossessioni, il suo rancore, il suo desiderio di vendetta, nell’unico inappellabile giudice da cui dipende la vita e la morte di un ladro, di un rapinatore. Tali o presunti tali che siano.

Al cuore di questa feroce “devoluzione” con cui gioca Salvini, è un demone antico quanto l’uomo. Quello del “giustiziere” in nome proprio o della propria comunità. Da cui ci ritenevamo essere stati messi al sicuro dal secolo dei Lumi, dalla tradizione di Beccaria, più banalmente dalla nostra Costituzione repubblicana vigente. Non è evidentemente così. Da consumato imprenditore della Paura quale è, il ministro vende al Paese che le nostre notti con una scatola da cartucce da cinghiale sul comodino al posto della melatonina e un fucile a pompa al posto dell’ombrello, ci rendano più liberi, più sicuri. Soprattutto quando una futura legge trasformerà un tribunale chiamato a decidere sulla “legittimità” della difesa del singolo in un notaio comprensivo di fronte al quale a chi ha sparato sarà sufficiente motivare la sua “ragionevole” paura, liberandosi di orpelli quali proporzione o sproporzione della risposta, concretezza della minaccia.

L’Italia promessa con l’abbraccio ad Angelo Peveri nel carcere di Piacenza è una giungla di fantasmi armati. Un “Fortnite”, un videogioco, dove chi promette di liberarci dalle catene della paura, le sta semplicemente dando un altro giro.

Sorgente: Se il ministro abbraccia il giustiziere | Rep

Please follow and like us:
0
fb-share-icon0
Tweet 20
Pin Share20