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Christophe Guilluy è un pragmatico, in tutti i sensi del termine. «Il mondo va preso per quel che è» ha più volte ripetuto durante l’intervista. Geografo di formazione e sociologo per vocazione, non crede ai dibattiti «pro» o «contro» i macro-temi del nostro tempo (immigrazione, multiculturalismo, mondializzazione). Nondimeno, questi fenomeni lo affascinano e costituiscono il corpo delle sue riflessioni, il cui cuore resta però sempre la classe popolare che costituisce, secondo lui, il fondamento vero della società. Nato e cresciuto ai bordi della metropoli parigina, a Seine Saint Denis, Guilluy spende la maggior parte della sua vita a contatto con le realtà popolari della sua città. Frequenta gli alloggi sociali e cerca di comprendere i problemi concreti della realtà in cui vive. Le sue prime diagnosi risalgono agli anni ’90: le classi popolari non comunicano più né fra loro, né con le élites dominanti. Lo shock della mondializzazione consiste nel fenomeno per cui il popolo non vive più nelle zone urbane: un unicum della storia. La società liquida ha sostituito quella tradizionale così che il collegamento fra le classi popolari e il mondo culturale e politico si è spezzato. Le metropoli diventano le nuove cittadelle medievali, in cui la borghesia « cool » vive tranquilla, al riparo da quella Francia periferica che, lontana dagli occhi e lontana dal cuore, ingrossa le fila dei partiti populisti.

Una conversazione lunga, densa, durante la quale ha parlato quasi solo lui. Uno degli argomenti salienti della conversazione, l’Italia, dato che l’intervista si è svolta a soli tre giorni delle elezioni italiane.

MEG: Ha vinto la voce del popolo, o, come anche si dice, il populismo. Se lo aspettava? Qual è il suo bilancio di questi risultati?

CG: Innanzitutto voglio specificare che quando parlo di classi popolari mi riferisco al senso più ampio del termine. Non le riduco cioè agli esclusi, ai poveri o agli abitanti delle periferie. Indago in senso più largo sul divenire delle categorie modeste sotto l’impulso della mondializzazione. Per quanto riguarda l’Italia, penso che il risultato delle elezioni rispecchi la situazione sociale italiana. In Italia si mette spesso in risalto la frattura fra Nord e Sud, frattura che è innegabile e storica ma che non esaurisce la complessità del Paese. L’Italia “periferica” del Mezzogiorno ha votato Cinque Stelle, partito populista. Eppure il populismo ha vinto anche al nord, dove la Lega ha riscosso un grande successo nei settori operai e dei piccoli lavoratori indipendenti: si tratta di una clientela molto specifica fatta di gente che, pur non trovandosi nelle stesse condizioni delle classi popolari del sud, ha comunque paura perché vede la sua situazione sociale degradarsi sempre di più.

MEG: E che si sente anche minacciata da flussi migratori massicci di cui l’Italia, per ragioni geografiche, risente particolarmente…

CG: Ovviamente. Il multiculturalismo è la seconda tappa della mondializzazione, mentre la prima è la scomparsa della classe media occidentale. Per multiculturalismo intendo quella società in cui l’altro non diventa il sé. L’altro mantiene la sua religione la sua cultura e la sua identità, il che non vuol dire che siamo in aperto conflitto, ma resta una distanza. Quando l’altro non diventa il sé, è tuttavia necessario sapere “a quanto ammonta” questa alterità. Si tratta di una persona, due, dieci, diecimila? Non è la stessa cosa per chi deve vivere a contatto diretto con l’alterità. Questa angoscia è sempre più forte quando si proviene da un ambiente popolare, perché non si hanno “i mezzi della frontiera”. L’immigrazione di massa a cui assistiamo oggi non è che un corollario della mondializzazione economica: apertura delle frontiere e libero scambio tanto delle merci quanto delle persone. Nell’attuale logica di mercato, il multiculturalismo s’impone come qualcosa di inevitabile. In più, il fenomeno dell’immigrazione di massa e del multiculturalismo tornano utili alla classe dominante nel momento in cui permettono di distogliere l’attenzione dalla questione sociale e del conflitto di classe. Si elimina sul nascere ogni possibilità di rivolta. Oggi non ci sono più le condizioni per un’autentica rivolta.

Il voto populista risulta così dalla combinazione di due insicurezze, quella economica e quella culturale. Negli anni 2000 ho inventato il concetto di insicurezza culturale. A Seine Saint Denis, dove sono nato, c’erano diversi proprietari che si lamentavano del fatto che la gente se ne andava da certi quartieri senza una ragione apparente: non c’era criminalità e la qualità di vita era piuttosto buona, eppure gli abitanti partivano. Ho cercato di capire il perché e ho scoperto che la gente se ne andava nella stessa misura in cui gli immigrati arrivavano. In una società multiculturale, la posta in gioco è il rapporto minoranza-maggioranza. Ora, il classico bobo parigino (bobo=radical chic) dispone di ciò che io chiamo “i mezzi della frontiera”. Avere i mezzi della frontiera significa, ad esempio, vivere in un quartiere di immigrati a Parigi o a Milano, ma avendo la possibilità di scegliere il proprio appartamento. Se compro un loft a Belleville (quartiere radical chic parigino ad alto tasso d’immigrazione), posso essere sicuro del mio vicinato. Nell’immobile in cui vivo ci saranno persone più o meno simili a me, no problem, posso continuare a votare a sinistra e per la open society. E potrò anche scegliere la scuola per i miei figli, perché posso permettermelo economicamente e perché conosco la gente giusta. In queste condizioni, gestisco il multiculturalismo, posso dire di essere aperto, in una parola: sono cool. Il problema della borghesia di oggi sta proprio nel suo essere cool, buonista e piacevole. Si tratta di una borghesia che, in effetti, non si riconosce più come tale e che contribuisce alla distruzione delle classi sociali.

MEG: Cosa intende esattamente per scomparsa della classe media occidentale?

CG: Il grande segreto della mondializzazione sta nella scomparsa della classe media occidentale, rimpiazzata dalla nuova borghesia finanziaria e culturale che ritroviamo nelle grandi capitali del mondo. Prenda un aereo, oggi, e vada dove vuole: New York, Londra, Tokio, Milano… incontrerà sempre le stesse persone, con la stessa mentalità. Parlano la stessa lingua, vedono la stessa gente, fanno le stesse analisi. Si tratta di un fenomeno davvero affascinante. Vado spesso a Firenze (adoro Firenze) e trovo dei parigini… che parlano italiano! Questo è l’effetto diretto di trent’anni di ricomposizione sociale, economica e geografica. La scomparsa della classe media occidentale è anche la scomparsa delle categorie modeste che la costituivano ieri, che si sfaldano verso il basso e verso l’alto. Verso il basso, diventano le nuove categorie popolari che globalmente vivono ai margini dei grandi flussi finanziari e del mercato del lavoro; verso l’alto, si uniscono alla borghesia culturale e finanziaria (si tratta però di uno scarso 25%). E così, pian piano, le classi popolari si sono unite al Fronte Nazionale. Prima gli operai, poi gli impiegati, poi le regioni industriali, poi quelle rurali e infine le piccole città. Si tratta di un fenomeno progressivo che ha avuto inizio negli anni ‘80 e che continua ancor oggi.

MEG: Entriamo nel tema della crisi delle sinistre europee che perdono i voti delle classi popolari a favore dei populismi di destra. A cos’è dovuta questa crisi? E secondo lei, i nuovi populismi rappresentano davvero il popolo o, come dicono alcuni, parlano solo alla sua pancia cercando di convincerlo con argomenti irrazionali?

CG: Penso che un partito sia l’emanazione del suo elettorato. Prenda per esempio il Fronte Nazionale: all’inizio era un classico partito di estrema destra, ultra liberale e con una sociologia molto meno sociale di quella che ha oggi. All’epoca Jean Marie Le Pen era contro lo Stato e contro il servizio pubblico. In effetti, non faceva altro che riflettere le opinioni del suo elettorato. Negli anni ‘90 la classe operaia ha cominciato a unirsi al Fronte Nazionale, che nel frattempo si è sempre più proletarizzato e ruralizzato. Il Fronte Nazionale oggi è più proletario di quanto non lo fosse il partito comunista negli anni ‘60.

MEG: …addirittura?

CG: La sottoscrivo. Perché? Perché oggi il Fronte Nazionale così come la Lega o il movimento Cinque Stelle sono composti esclusivamente dalle classi popolari: non ci sono intellettuali al loro interno, a differenza del partito comunista degli anni ‘60, che poteva contare su un’élite culturale forte e rappresentativa del popolo. è per questo che oggi i populismi non funzionano: un partito non può essere rivoluzionario senza essere in connessione con le élites culturali. Penso che una società giusta non sia una società priva di un alto e di un basso, ma una società nella quale chi sta in alto si fa carico delle aspirazioni di chi sta in basso. Il PC aveva fior di intellettuali, di accademici e di artisti che erano sinceramente al fianco della classe popolare. Oggi, in seguito alla secessione delle élites, questa comunicazione non c’è più e abbiamo così un partito come FN che esiste dagli anni ‘80 e che pure non ha alcun vero sbocco politico perché non ci sono intellettuali che lo rappresentano. Ad ogni modo, i partiti sono sempre l’emanazione del loro elettorato. E, per rispondere all’altra parte della sua domanda, è proprio per questo che la sinistra è morta. Quando Delanoë è stato eletto sindaco di Parigi nel 2001 io dissi “se la sinistra guadagna Parigi, perderà il popolo”. È esattamente ciò che è successo. Al tempo ero molto vicino alle sinistre e c’erano ancora molte persone che con me si chiedevano come connettere la classe popolare alle élites. Quando la sinistra ha cominciato ad adottare la sociologia del bobo parigino, ha perso il popolo: si è sempre prigionieri del proprio elettorato.

Credo che oggi i partiti populisti non siano altro che la cassa di risonanza del popolo. E penso che sia rassicurante credere che Matteo Salvini sia solo un manipolatore. Ho avuto la stessa conversazione con un giornalista tedesco poco tempo fa, sa, i tedeschi hanno ancora paura del loro passato, temono che da un momento all’altro il loro vicino di casa si alzi dal letto con l’idea di riattivare il Terzo Reich. Anche da voi, in Italia, si è ricominciato a parlare di fascismo e di antifascismo in concomitanza con il rafforzamento dei partiti populisti. Sulla base di queste paure, ci convinciamo che i populisti siano vittime di continue manipolazioni e lavaggi del cervello. Per quanto mi riguarda, non credo agli intellettuali che analizzano questi fenomeni dall’alto e fanno le loro analisi seduti in poltrona. Cerco di calarmi interamente nelle realtà popolari e quello che vedo è che le persone fanno la loro diagnosi. Non ci si sveglia fascisti da un giorno all’altro, penso piuttosto che ci sia un vero problema sociale che viene troppo spesso ridotto in modo semplicistico a una forma irrazionale di neo-fascismo. C’è un certo disprezzo ma anche una certa arroganza nell’atteggiamento che sottintende che “noi, in alto, dobbiamo rieducare il popolo, che è stupido” in modo quasi fascista. Questo disprezzo di classe punta a rassicurarci sul nostro modello sociologico. Penso che le cose potranno cambiare solo se noi, dall’alto, saremo capaci di fare la nostra rivoluzione culturale, ma perché ciò accada si devono eliminare il disprezzo e l’ostracismo di classe.

Maria Elena Gottarelli

Sorgente: Intervista a Christophe Guilluy, “oggi si elimina sul nascere ogni possibilità di rivolta” | IASSP

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