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Ma che paese è diventato l’Italia? In quali nascondigli segreti sono maturati negli anni questa rabbia violenta e questo odio cieco che oggi ci sorprende e ci travolge? Perché non ci siamo accorti di questa mutazione genetica e antropologica che ci sta trasformando in un popolo di razzisti, egoisti e indifferenti? E quando è cominciato che siamo diventati brutti sporchi e cattivi?

Gli ultimi episodi di razzismo dimostrano, in modo drammatico, che qualcosa si è rotto nella cultura nazionale e nella coesione sociale. Come se qualcuno avesse spezzato quel filo che, tra alti e bassi, ha tenuto insieme, dopo l’esperienza buia del fascismo, l’umanità, la solidarietà, l’accoglienza, il sentirsi comunità, la spinta ad aiutarsi nei momenti difficili. Insomma, l’essere un popolo e non una somma di individualità.

Ormai non siamo più così: siamo invece rinchiusi nei nostri bunker, pronti a difendere con le unghie e con i denti quel poco o tanto che ci rimane da difendere: dagli immigrati, dai poveri, dai disperati, dai bisognosi. Siamo incattiviti e non abbiamo più la forza di tendere una mano. Abbiamo sempre il pugno pronto a colpire.

Questo sta accadendo attorno a  noi, nei nostri quartieri e nei nostri paesi. Che cosa spinge altrimenti qualcuno a scrivere sui muri dell’androne di un palazzo di Melegnano “italiani, pagate per questi negri di merda” e, sotto una svastica, quell’invito che fa venire i brividi: “ammazza al negar”? Che cosa lo spinge a scaricare tutto il suo odio contro Bakary Dandio, un ragazzo di 21 anni venuto dal Senegal e adottato da una famiglia milanese?

E qual è la molla che ha fatto scattare quel tecnico della Rai che l’altro giorno alla Stazione Termini di Roma ha inseguito un bambino rom che lo aveva derubato e, davanti ai poliziotti che stavano procedendo all’identificazione, ha tirato fuori un taglierino e lo ha colpito gridando “voglio ammazzare gli zingari perché mi hanno rotto il cazzo”? Oppure: che cosa è passato per la testa di quel maestro di Foligno quando ha costretto, in momenti diversi e in classi diverse, un bambino e una bambina figli di una coppia nigeriana a mettersi con la faccia alla finestra e a sopportare gli insulti, “scimmia” e “guarda quanto sei brutto” davanti ai loro compagni? Davvero pensava che quello fosse solo un “esperimento sociale”? E ancora: perché quel consigliere leghista di Amelia ha potuto insultare liberamente Emma Marrone che chiedeva porti aperti dicendole “apri le cosce”?Ecco, sono solo gli ultimi casi, ognuno di voi ne potrebbe aggiungere molti altri per completare questo mosaico del terrore.

Ma appunto: che cosa è accaduto?

L’arrivo della Lega al governo in una posizione predominante ha favorito certamente questo clima, più di quanto l’abbia favorito ai tempi di Bossi e Berlusconi. Le frasi violente del ministro dell’Interno Matteo Salvini, dominus incontastato dell’esecutivo giallo-verde, incoraggiano la crescita di questo razzismo diffuso. Quando chi è al governo si sente in diritto di sequestrare 170 migranti su una nave in mare e poi, forte di una maggioranza, si fa concedere immunità e impunità bloccando l’azione della magistratura, questo significa che tutto è possibile. Che tutto è lecito. Che quello che fino a qualche tempo fa veniva represso, oggi può tranquillamente esplodere in una caccia al migrante che richiama i momenti peggiori della storia.

Sta avvenendo, per colpa di una politica che indica nel negro il nemico pubblico numero uno, una sorta di legittimazione a discriminare, insultare, offendere, colpire. Questa rabbia contro – contro chi è accusato di rubarci il lavoro, l’alloggio popolare, i posti all’asilo, i sussidi sociali e contro chi è accusato di rubarci in casa o rapinarci per strada, secondo la vulgata leghista – si scatena senza freni perché lassù, nei piani alti del Palazzo, oggi c’è chi ha sdoganato il peggio del peggio. Se il rancore e l’odio diventano azione di governo, chi potrà mai fermare chi alza le mani, un bastone o punta una pistola contro?

Siamo ormai in presenza di un’escalation che rischia di finire male, molto male, se prima la politica, la cultura, l’informazione, ognuno di noi e di voi, non decideremo di alzare una barriera e di respingere questa idea primordiale dei rapporti tra gli uomini che scava fossati, alza muri, crea separazioni.
E’ una cultura che dobbiamo contrastare con la cultura. Ognuno per la sua parte e nei suoi luoghi: in Parlamento, a scuola, nei posti di lavoro, a casa, al mercato, sulla metro. E dobbiamo farlo con convinzione per evitare che questo Paese scivoli lentamente nella palude del risentimento e dell’odio razziale scatenando una guerra civile che non risparmierebbe nessuno.

Ma nel fare questo, e nel farlo subito, dobbiamo anche chiederci – per evitare di ripeterli – quali errori abbiamo commesso noi, sinistra o centrosinistra o democratici in senso generale, che hanno spalancato le porte a un’idea primitiva dei rapporti umani senza che ci fosse una convincente resistenza. Non è solo questione degli ultimi anni. E’ una storia vecchia che è cominciata quando la sinistra ha lasciato le periferie sole con se stesse, abbandonate nel loro rancore e nei loro problemi e si è rintanata nei quartieri della Ztl. Quando ha consentito o non contrastato abbastanza quel processo di concentrazione degli immigrati nelle zone già difficili delle nostre città senza pensare a una distribuzione più equa e ragionevole. Quando ha abdicato all’idea di favorire l’integrazione con programmi seri e scelte concrete e ha lasciato soli gli immigrati e soli i cittadini, tutti e due costretti a fare i conti con le contraddizioni di una convivenza spesso complicata. Quando infine, per evitare di perdere voti perché non era più popolare stare completamente dalla parte dei migranti, la sinistra ha pensato che in fondo qualche muro andasse alzato e che forse era meglio aiutarli a casa loro piuttosto che farli venire qui a metterci nei guai e costringerci a rincorrere le emeregenze.

Antonio Gramsci la chiamava egemonia. Sì, negli ultimi tempi, la sinistra ha perso la sua capacità di esercitare un’egemonia culturale – certo, non solo sul razzismo – e si è piegata a quella degli altri, pensando che l’unica soluzione fosse fare meglio e con meno cattiveria quello che volevano fare gli altri: tenere i migranti a debista distanza.

Siamo a questo punto, tornare indietro non si può. Ma se avremo consapevolezza degli sbagli commessi potremo capire che bisogna costruire, con pazienza, un’altra idea di società, un’idea di nuova umanità. Possono sembrare parole vintage in questa epoca prigioniera di un falso nuovismo, ma non lo sono perché è proprio questo orizzonte che manca alla sinistra, che manca a noi e che manca al mondo impazzito di oggi.

L’Italia vive una drammatica emergenza democratica. Dobbiamo saperlo, e non girare la testa dall’altra parte. Dobbiamo sapere anche che non se ne esce da soli, ma insieme: con le associazioni, i gruppi, i movimenti, i tanti cittadini che respingono la cultura dell’odio e che già oggi nelle nostre città contrastano il razzismo che si insinua dentro di noi. La sinistra deve aprirsi agli altri, farsi contaminare. Avere l’umiltà di rimettersi in cammino facendosi spiegare la strada giusta da qualcun altro.

Una rivoluzione morale e civile, ecco quel che serve. Sarebbe un bel programma per una nuova sinistra. Forse, quando la smetterà di occuparsi di formulette, di equilibrismi e di dosaggi tra correnti, questa nostra sinistra sbandata se ne potrà rendere conto. Speriamo però che non sia troppo tardi.

Sorgente: Il razzismo emergenza: dobbiamo fermarlo prima che sia tardi – Strisciarossa

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